A Milano – nelle carceri di San Vittore, Bollate e Opera – sono detenute dall’11 marzo scorso 25 persone. Devono rispondere di vari reati, il più grave dei quali è già sinistramente noto a chi abbia seguito le vicende seguite al G8 di Genova del 2001: è il reato di devastazione e saccheggio, che si contraddistingue per la cospicua entità della pena, che prevede un minimo di otto e un massimo di quindici anni. A Milano, a rendere particolarmente odiosa la situazione, ci sono due cose: l’uso disinvolto della carcerazione preventiva e il modo con cui furono eseguiti gli arresti. Partiamo da quest’ultimo aspetto. L’11 marzo a Milano ci fu una “manifestazione antifascista” organizzata per contestare un corteo di Forza Nuova, formazione di estrema destra. La manifestazione degenerò ad opera di un gruppo di attivisti-teppisti che incendiarono auto e motorini, assaltorono un’edicola e una sede di An… Fu un comportamento assolutamente da condannare (e condannato da quasi tutti). Il problema è che quando la polizia decise di passare all’azione, arrestò chi gli capitava a tiro, indipendentemente da ciò che ciascuno avesse fatto. E’ così che sono finite in cella persone che si erano limitate a partecipare a una manifestazione, che non ne avevano previsto (né potevano prevederne) la degenerazione, che semplicemente erano presenti al momento del contrattacco delle forze dell’ordine. Un gruppo di ragazzi, per dire, è stato preso all’interno di un palazzo: si erano rifiugiati lì per proteggersi dai lacrimogini e dagli scontri. Ora sono tutti in cella e con un’accusa dalla quale è difficile difendersi, visto che non si contestano, caso per caso, reati specifici, ma più in generale le azioni violente addebitate collettivamente a chi partecipava alla manifestazione.
Questo modo di agire ha avuto un terribile precedente a Genova, dove è in corso un processo – contro 26 imputati – che riguarda persone incriminate in base alla stessa logica: erano sul “luogo del delitto” mentre venivano compiuti dei reati. Anche a Genova si contesta la devastazione e saccheggio – reato, sia detto per inciso, ben più grave di quelli contestati ai settanta e più agenti rinviati a giudizio per i fatti della Diaz e di Bolzaneto e praticamente sicuri di salvarsi grazie alla prescrizione -, la diversità, semmai, è che gli inquirenti genovesi hanno escogitato la figura della “compartecipazione psichica”, per definire in qualche modo il coinvolgimento di chi non ha commesso azione dirette.
Questo è il quadro. Poi c’è il fatto che la detenzione dura da oltre tre mesi, col risultato di mettere a repentaglio anche il posto di lavoro di molti degli arrestati, persone incensurate che si sono trovate alle prese con una situazione abnorme, via via aggravata da un uso quanto meno disinvolto dell’azione penale e da un’interpretazione molto libera delle norme sulla custodia cautelare.
Siamo di fornte all’ennessima pagina nera dell’Italia dei diritti incivili.