Nonluoghi Archivio Inceneritori e “termovalorizzatori”, fabbriche di veleni

Inceneritori e “termovalorizzatori”, fabbriche di veleni

[Riceviamo dal comitato Montagna sana di Belluno e volentieri pubblichiamo]

A quanto pare negli enti pubblici bellunesi c’è ancora qualcuno (pochi ma “attrezzati”) che ritiene di spalancare le porte alla nota lobby dell’incenerimento dei rifiuti, nonostante l’orientamento in direzione opposta del nascente Piano provinciale nonché la scelta di Comuni come il capoluogo orientata alla raccolta differenziata spinta. Il convegno “Energia dai rifiuti”, promosso dalla Comunità montana agordina e dal Bim venerdì 24 marzo 2006, ad Agordo, rivela già nella presentazione proposta dai promotori un’impostazione di parte e fuorviante che sembra voler tendere a minimizzare gli elevati costi sociali e sanitari della scelta di sbarazzarsi dei rifiuti bruciandoli in impianti assai onerosi con ritorni risibili in termini di energia.
Si approfitta della distrazione collettiva e della scomodità di una questione complessa quale la gestione corretta dei rifiuti, per proporre una scorciatoia all’apparenza conveniente ma che nasconde insidie e ricadute sociali che devono consigliare ad autorità pubbliche responsabili, autonome e intelligenti di cancellare dall’agenda politica ipotesi come la costruzione di pericolosi impianti di incenerimento.

Il trucco del bilancio energetico

La cosiddetta termovalorizzazione, infatti, valorizza assai poco, considerato che il bilancio energetico di simili impianti è pessimo (oltre metà dell’energia serve far funzionare la stessa fabbrica di veleni) e tuttavia si traduce in un grosso business per i gestori, soprattutto grazie a una normativa assurda che assicura enormi contributi statali perché equipara l’energia prodotta bruciando rifiuti (e dunque con l’emissione nell’ambiente di sostanze nocive quali le diossine) a quella derivante da fonti rinnovabili come il sole o il vento.

La salute in gioco

Ma questo non è l’unico inganno degli inceneritori e forse nemmeno il più allarmante: c’è di peggio, cioè i rischi per la salute umana e per l’ecosistema.
Insigni studiosi italiani e stranieri indicano chiaramente l’esistenza di ricadute sanitarie negative nelle aree in cui sorgono gli impianti e anche a parecchi chilometri di distanza. Ora siamo in possesso anche di studi epidemiologici che fotografano l’aumento dell’incidenza di una serie di patologie nelle popolazioni interessate dall’attività di impianti di incenerimento.
Nella vicina provincia di Trento, dove da anni le autorità hanno progettato un inceneritore nei pressi del capoluogo, è cresciuta via via l’opposizione, che aggrega tra gli altri anche la Coldiretti, perché i contadini vogliono difendere la qualità dei terreni e delle colture esposte al rischio di essere coperte dalle polveri contaminanti.
In ripetute occasioni, il professor Gianni Tamino ha illustrato i meccanismi concreti mediante i quali il processo di incenerimento prduce sostanze tossiche e dannose per la salute. Lo stesso studioso ha sottolineato l’aleatorietà concettuale di questi impianti nei quali in realtà non si ha il controllo su ciò che si brucia e dunque su ciò che viene scaricato nell’aria, sulla terra, nell’acqua.
La lobby degli inceneritoristi tende a nascondersi dietro la foglia di fico delle “tecnologie di ultima generazione” per banalizzare i rischi sanitari. Senza dilungarci, rileviamo che per quanto efficienti possano essere, le metodologie di filtraggio non consentono di abbattere l’inquinamento e comunque sono sostanzialmente inutili per quanto riguarda le polveri microsottili, cioè la forma di contaminazione maggiormente connessa con le combustioni a temperature elevate tipiche degli impianti più recenti. Il dottor Stefano Montanari dell’Istituto di nanodiagnostica di Modena è molto chiaro in proposito: le polveri microsottili superano tutti i livelli di difesa dell’organismo umano e agiscono anche a livello cellulare provocando tra l’altro sia il cancro sia mutazioni genetiche.
Le evidenze empiriche sono innumerevoli e tali da indurre, quanto meno, ad adottare il principio di precauzione e accantonare ipotesi quali l’incenerimento, tanto più di fronte a un quadro dell’aria già pesantemente compromesso da altre fonti di contaminazione (industrie, traffico) che causano ogni anno in Italia migliaia di morti e centinaia di migliaia di malati. Senza contare che nelle aree montane la criticità aumenta notevolmente per via della morfologia che riducono il ricambio d’aria, come indica la stessa Convenzione delle Alpi chiede maggiore cautela.
Esemplare, in proposito, il caso della vicina Montebelluna, dove i cittadini, di fronte a una giunta comunale che proponeva il “termovalorizzatore” l’hanno mandata sonoramente a casa eleggendo una sindaco donna che ora sta attuando un piano di riduzione e di raccolta differenziata spinta dei rifiuti.

L’alternativa: riduzione, riciclo, riuso

Per fortuna in Italia oltre alla lobby degli inceneritoristi nel nome del bsuness esistono numerose esperienze concrete di gestione consapevole della questione rifiuti.
Oggi la via sensata, che coniuga rispetto della salute e sostenibità economica, è quella della riduzione della produzione di rifiuti (da indurre anche tramite l’azione legislativa) e della raccolta differenziata spinta porta a porta con tariffa puntuale (più residuo finale produci più paghi, più sei virtuoso nel riciclo più risparmi). Si tratta di un sistema che funziona anche in alcune zone del Veneto (vedi distretti di Padova e di Treviso).
Tra l’altro, è interessante notare che il modello della differenziata spinta (che raggiunge il riciclo/riuso di oltre l’80% dei rifiuti) implica un residuo da smaltire in discarica che è inferiore alla quantità di scorie rimanenti in un processo di incenerimento. Con la differenza, tra l’altro, che per queste ultime è necessario il conferimento in discarica per rifiuti speciali, tossici e nocivi.
Non c’è ragione di buon senso che, oggi, possa suggerire la rischiosa scorciatoia dell’incenerimento invece di un piano serio di raccolta differenziata porta a porta. È ovvio, tra l’altro, che la presenza di un inceneritore, che per funzionare necessità di quantità minime di materiale da bruciare, è un freno del riciclo e un incentivo della produzione di rifiuti (e in molti casi addirittura dell’importazione!) nell’arco di decenni. Nel novembre scorso il presidente della Provincia di Trento, Lorenzo Dellai, dichiarò: «Oltre una certa percentuale di differenziata l’impianto non sarebbe più conveniente dal punto di vista economico».
Infine, stupisce, nel caso dell’iniziativa della Comunità montana agordina e del Bim, che si tiri fuori dal cassetto il tema dell’incenerimento (tra l’altro confondendo le carte con richiami alla questione energetica) proprio nel momento in cui il comune capoluogo, con indubbio coraggio, muove i primi passi nella direzione della differenziata spinta, cioè di una gestione dei rifiuti compatibile con le esigenze della salute umana e del rispetto dell’ambiente naturale.

Comitato montagna sana – Belluno

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Montagna sana Belluno è costituito da un gruppo di cittadini che si adoperano per sostenere le politiche di gestione sostenibile in materia di rifiuti, viabilià, trasporti, produzione, consumi e per denunciare le iniziative dannose per la salute delle persone e dell’ambiente naturale.

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[Nota di Nonluoghi]

Il convegno sui termovalorizzatori ha indotto il presidente della Provincia di Belluno, Sergio Reolon, a ribadire a chiare lettere che è esclusa qualsiasi opzione riguardante la costruzione di simili impianti.
Sul Gazzettino, edizione di Belluno, di domenica 26 marzo 2006, Reolon (Margherita) dichiarava tra l’altro: «La costruzione di un inceneritore non è all’ordine del giorno e non si farà. Per qualcuno, in particolare per i privati, i rifiuti possono rappresentare un business. Gli enti pubblici hanno invece il dovere di cercare e trovare le soluzioni migliori per i cittadini e per l’ambiente».
Due giorni prima, sul Corriere della Alpi di Belluno, il presidente, che guida una giunta di centrosinistra più Rifondazione, interveniva in polemica con il presidente della società emanazione della Provincia di Belluno che gestisce due discariche, Raffaele Riposi: “Se vuole partecipare a quel convegno – ha scandito – prima si dimetta dal suo incarico”.
Non rimane che augurare ai politici che hanno scelto la via di una corretta gestione dei rifiuti di poterla presto mettere in pratica al meglio e a quelli che sostengono la scorciatoia del business delle immondizie bruciate di ricordarsi che sono chiamati, innanzitutto, a tutelare la salute dei cittadini, anche inducendo un’inversione di tendenza nella produzione di rifiuti che invadono l’ambiente trasformandosi in una mina vagante per i più e in una miniera d’oro per pochi.

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Questo sito nacque alla fine del 1999 con l'obiettivo di offrire un contributo alla riflessione sulla crisi della democrazia rappresentativa e sul ruolo dei mass media nei processi di emancipazione culturale, economica e sociale. Per alcuni anni Nonluoghi è stato anche una piccola casa editrice sulla cui attività, conclusasi nel 2006, si trovano informazioni e materiali in queste pagine Web.

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