[Con l’approssimarsi dell’ottantesimo della morte di Piero Gobetti riproponiamo questo scritto dall’archivio di Nonluoghi del 15 febbraio 2001]
1901- 1926. Venticinque anni di una vita in cui Piero Gobetti disegna una nuova idea d’Italia, reinventa il liberalismo e il socialismo, scopre talenti quali Eugenio Montale e Felice Casorati, fonda tre riviste quali Energie nuove, Rivoluzione liberale, il Baretti, nelle quali scrive tutta l’intelligenza dell’epoca. Crea una casa editrice, scrive saggi, critiche teatrali, tanto da diventare il critico di Ordine Nuovo la rivista di Antonio Gramsci, libri come “Paradosso dello spirito russo”, “Risorgimento senza eroi” e l’ormai celebre “Rivoluzione liberale”. Norberto Bobbio afferma che se Croce e Gramsci fossero morti a venticinque anni sarebbero ricordati , il primo , come un giovane studioso di storia locale troppo presto strappato agli studi, il secondo come una sicura promessa di un giornalismo insieme colto e polemico.
Un miracolo? Un santo laico ? Ci sarebbe la tentazione di affermarlo. Indubbiamente qualcosa di irrepetibile nella cultura e nella politica italiana. A cento anni dalla sua nascita, non possiamo non ricordarlo per far sì che i giovani si avvicinino alla sua grande personalità. Oppositore intransigente del fascismo, morì in esilio a Parigi, a seguito delle percosse subite da una squadra fascista qualche mese prima a Torino.
Oggi riposa al Père Lachaise, a Parigi, monito morale a noi tutti.
Se si leggono i suoi scritti c’è il grande sforzo di rigenerare le idee e i valori, una tensione, una passione che sia in grado di dar nuova vita agli schemi dell’organizzazione politica. Montale lo ricordava come il compagno di strada “eguale a noi, migliore di noi, l’uomo che fu cercato invano da una generazione perduta, l’uomo che ci ostiniamo ancora a cercare nella parte più profonda di noi stessi”.
Gobetti è un fenomenale organizzatore di cultura, di ideali, di giovani, che oggi chiameremo emergenti, ma soprattutto di rinnovamento morale e ideale, di un nuovo Risorgimento. Nell’attuale momento di deprimente stagnazione e di pericolose fughe verso idee che pensavamo ormai morte, Gobetti appare quanto mai attuale.
Chiede sempre ai suoi collaboratori serietà ed ardore. Intende la politica come missione spirituale.
Nella grande rivoluzione spontanea degli operai di quegli anni, Gobetti individua un grande tentativo di “realizzare non il collettivismo, ma un’organizzazione del lavoro in cui gli operai, almeno i migliori, siano quello che sono oggi gli industriali”.
Gobetti si propone attraverso la rivoluzione liberale di formare una classe politica che abbia chiara coscienza delle sue tradizioni storiche e delle esigenze sociali nascenti dalle partecipazioni del popolo alla vita dello Stato. Di fronte al fascismo Gobetti si oppone d’istinto, con un appello all’azione che accompagni l’analisi del momento storico, in quanto la cultura non può essere solo pedagogica, ma deve essere azione ed elemento della vita politica.
Come sfida al regime i libri della sua casa editrice porteranno impresso il motto greco: “Che ho a che fare io con gli schiavi?” e tutto il suo impegno appare incentrato contro la “normalizzazione”. Le sue armi sono puntate contro il disarmo morale, contro l’arrendevolezza fatalista degli oppositori al fascismo.
In Lettera a Parigi, articolo scritto ad un amico immaginario nell’ottobre 1925 su “Rivoluzione Liberale” (la rivista fu sequestrata), Gobetti lascia un testamento politico e morale che sembra scritto per molti aspetti ai giorni nostri: ”Ma esiste in Italia un gruppo di uomini nei partiti e fuori dai partiti che non ha ceduto e non cederà. (…) La loro rettilinea protesta, salva i quadri dell’Italia politica futura. Nessuno di essi diventerà ministro o grande burocrate (…). Tra le illusioni universali il cervello di questi uomini funziona, la folla e il successo non hanno prestigio sulla loro volontà di dirittura, sul loro animo non servile. Se tra gli antifascisti ci saranno dei disertori, se molti oppositori troveranno più comodo combattere il fascismo aderendovi, l’antifascismo che qui ti ho descritto non ne sarà minimamente sorpreso”.
Grazie, Piero Gobetti.
Nato a Torino nel 1901, Piero Gobetti fu esponente della sinistra liberale progressista, collegata con Gaetano Salvemini. Fu arrestato a ripetizione nel ’23-24 dalla polizia fascista, la sua rivista Rivoluzione liberale venne sequestrata. Nel settembre del ’25 fu picchiato a sangue a Torino, lasciato esanime sulla porta di casa. Poi scappò in Francia ma le lesioni non gli lasciarono pace e il 15 febbraio 1926 cessò di vivere.
SU GOBETTI NONLUOGHI LIBERE EDIZIONI HA PUBLICATO NEL 2003 UN LIBRO DI EMILIANO SBARAGLIA, CON PREFAZIONE DI MARCO REVELLI: CENTO DOMANDE A PIERO GOBETTI