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Stadio e violenza: un decalogo per prevenire

di Luca Vincenti
Dopo l’ennesimo episodio violento negli stadi, come da copione si apre il consueto processo accusatorio nei confronti dei possibili responsabili del momento: chi ha sbagliato, cosa e perché. Si ricostruisce pezzo pezzo, la microstoria di un evento, di un fatto di cronaca, lo si smonta minuto per minuto e ci si chiede convulsamente perché? Stadio e violenza: un decalogo per prevenire
Posted on Martedì, settembre 30 2003 @ 23:54:46 CEST by nonluoghi

Delitto e castigo
di Luca Vincenti
Dopo l’ennesimo episodio violento negli stadi, come da copione si apre il consueto processo accusatorio nei confronti dei possibili responsabili del momento: chi ha sbagliato, cosa e perché. Si ricostruisce pezzo pezzo, la microstoria di un evento, di un fatto di cronaca, lo si smonta minuto per minuto e ci si chiede convulsamente perché?

Il resoconto dettagliato è un dovere di cronaca, certamente ma la deframmentazione fa perdere le tracce di un fenomeno complesso che ha molte cause, ed altrettante spiegazioni che non si possono ridurre e ad un mero evento di cronaca isolato.

Poi a volto ancora insanguinato, parte il j’accuse che segue la forma di un vero e proprio protocollo; si cercano i colpevoli, si scrivono corsivi sui giornali, si tace per timore.e si punta l’indice verso gli “altri” per alleggerire la coscienza; quasi mai però, ci si mette a cerchio per dividersi le responsabilità e trovare soluzioni che non siano sole pezze su un vessillo oramai liso dall’inconsistenza della materia; l’opinione qualunque.

Il protocollo prosegue con l’arresto dei malfattori, la mostrificazione dei “maledetti” la beatificazione degli innocenti, e l’uscita più o meno a testa alta dei “non colpevoli”; ma dai funerali si esce sempre a capo chino, e qualcuno è pure rosso dalla vergogna.

E dopo la bufera? Il protocollo segue il suo inesorabile percorso. I provvedimenti del Governo, la moderazione dei toni nei dibattiti sportivi televisivi, gli appelli dei familiari delle vittime, i pianti di amici.e a volte quelli dei nemici. Se il fatto è molto grave, si sospendono le partite, se lo è meno si spera solamente che ciò non accada più.

Ma lo spettacolo deve continuare; nulla in contrario, però.

C’è chi studia la storia nel senso specifico della materia almeno in due modi: chi pone alla storia da 2000 anni le stesse domande e trova diverse risposte (spesso è una scelta di comodo poiché ogni giorno cambinao le cose che sappiamo) c’è chi invece alla storia guarda con occhi nuovi, e pone domande diverse per trovare diverse e nuove risposte; questa è una dimensione che ci può portare a capire il perché della violenza nel calcio.

Il problema della violenza negli stadi – sempre che sia un problema – ha bisogno del secondo approccio: di diverse domande, di nuovi interrogativi ai vecchi problemi mai risolti, se si vuole capire cosa sta accadendo.

1) occorre una strategia. Una strategia (ovvero una risposta a lungo termine e non contraddittoria). Questa non è mai stata elaborata.

a) ad ogni episodio violento mediaticamente significativo si dà una risposta con leggi e decreti. Ciò non è sufficiente, contiene l’aggressività per un dato periodo mandando in letargo, in una fase di latenza la violenza, ma poi essendo solo che un ripiego immediato, e non fondandosi su una strategia continuativa, posticipa a tempo ideterminato l’esplosione ultras. La violenza negli stadi è un meccanismo a orologeria che non avendo data e ora impostata sul display, rischia di esplodere quando si verificano complessi e talora sempli fattori contingenti (ferimento accidentale di un tifoso, accoltellamento premeditato di un tifoso, disguido tecnico logistico tra le forze dell’ordine, affronto diretto tra tifoserie, incrocio di treni in stazioni italiane).

b) I provvedimenti del Governo, e quelli delle società di calcio, o altri organismi alatere, vengono decisi in momenti di crisi. La crisi determa la costituzione di una “unità” che si occupa della risoluzione immediata e tempestiva. La risposta spesso non è adeguata alla problematica in questione altrimenti oggi non ci troveremo a fare nuovamente i conti con la violenza.

c) I provvedimenti rispondono ad un fatto specifico, mirato tagliando fuori la totalità delle problematiche. È la scelta del tubo forato, che viene sostituito pezzo pezzo, piuttosto che in blocco. Ciò comporta maggiore dispendio di energie, risorse, e non contestualizza il problema nella sua dimensione storica politica e sociale. Al nuovo esplodere della violenza, le analisi riprendono dal punto di rottura, senza guardare il problema che nasce dalla sorgente.

d) I provvedimenti sono quasi esclusivamente coercitivi (misure di diffida, decreti legge, ecc.). Su ciò si lamentano i diretti interessati all’ordine pubblico (Polizia, Carabinieri) che si trovano a fare da cuscinetto tra opposte tifoserie spesso quando lo scontro è già in essere. Gli effetti sono innalzamento della violenza, minore rispetto della fiugra istituzionale, senso di insicurezza del cittadino – non ultrà – che nonostante il dispiegamento di agenti, percepisce la possibilità di essere potenziale vittima di un episodio violento.

2) Occorre concepire che i media nel fenomeno della rappresentazione del calcio e della violenza (tv e carta stampata) hanno effettivamente un peso consistente nell’influenzare i comportamenti esteriori dei tifosi. Se è scontato che i media influenzano i consumi, le scelte politiche, le mode dei giovani perché non si accetta che il modo di rappresentare la notizia posta in un modo piuttosto che in un altro ha un effettivo valore sugli ultrà? Per dovere si dica che responsabilità non significa condannare i media nel loro lavoro quotidiano, ma far si che finalmente si dia il peso giusto alla notizia violenta rappresentata.

a) Il mondo ultrà vive di autocelebrazione, in parole povere l’indentità micro-individuale che si trova compressa nel tram tram della vita quotidiana ha la possibilità di essere spettacolarizzata con una forte attività all’interno del gruppo di appartenza. Il banale quotidiano lì può divenire eccezionale, spettacolarizzarsi. I media offrono la cassa di risonanza adeguata. Avviene nelle coreografie, nelle attività di beneficenza ma ahimè anche nella violenza che è uno, e non l’unico, perno dell’aggregazione. Il gruppo si nutre dei propri atti, la violenza è l’atto di conferma su ciò che “siamo”. I media danno la garanzia di rappresentazione attraverso la trasmissione di immagini agghiaccianti per il cittadino, esaltanti per l’ultrà. “Dopo la partita ci si chiude a casa o nel nostro club a vedere gli scontri di poco prima, in gruppo si ride e a vicenda ci riconosciamo”. “il Fabbro è davvero impossibile non riconoscerlo.” (un ultrà della Juventus, Figthers).

b) Il fenomeno della “scomunica” e della “comunione”. Esso riguarda la commistione/conflitto di interessi tra ultrà, giornalisti, forze politiche. Il fenomeno si è presentato inizialmente con la veste della scomunica.

Dopo gli anni ’80 la violenza negli stadi si è inserita sempre più nei palinsesti televisivi, sui quotidiani. Ai primi episodi i media hanno reagito con la giusta deplorazione, con lo sconfessare episodi violenti, e con l’indignazione degli spettatori, dei giornalisti, dei politici che non desideravano avere nulla a che spartire col teppismo calcistico. Sui quotidiani si usano parole pesanti contro gli ultrà. Provengono dalle maggiori penne, e dai loro rabbiosi corsivi: bestie, infami, vigliacchi, codardi, barbari, chi dice bastardi! Molti i giornalisti aggrediti per queste ragioni e per altre.
Questa parabola si chiude con l’omicidio Spagnolo che dimostra tutta le sua violenza; esso è preordinato nell’agguato e nell’intenzione di ferire. Anche lì si spara nel mucchio, con insulti facendo cadere come un sasso lo stile sulla carta stampata. Dopo il ’95 si ha una fase di latenza. Gli scontri diminuiscono, aumentano le diffide, c’è repressione. La fase dura circa tre anni. Il calcio entra in crisi con vari scandali, fallimenti; il seguito non è più quello di un tempo.
Noia o amarezza? Il calcio ha bisogno degli ultrà, il pallone è scoppiato, mette pezze sul cuoio scivoloso. Allo spettacolo miliardario deve aggiungere tutto quello che nella grande cornice. Se il calcio fagocita tutto, non riesce ad assimilare del tutto gli ultrà che oggi e domani qualche sprazzo di violenza lo danno sempre. In sintesi non sono gestibili! I giornali sportivi devono vendere, e tra i lettori vi sono sempre più ultrà. Sembra che il netto confine tra ultrà e non (tifosi semplici) venga via via assottigliandosi. Il target commerciale si è sovrapposto e confuso? Forse. La scelta di mercato è abbassare il tono della polemica.
Questo vale per tutti. Dai signori del calcio, ai club, agli ultrà che se pizzicati ora iniziano a rischiare grosso. Abbassare il tono fino al silenzio? Per certi aspetti conviene. Nelle piazze si festeggiano le coppe, il trionfo, la permanenza a “pelo” della prorpia squadra del cuore in A o in B. Lì nelle piazze sono tutti – o quasi – immersi nella fontana a fare il bagno, a braccio a braccio senza insulti, senza rancore dimenticandosi per un attimo chi sono e da dove vengono.
Giornalisti, ultrà, calciatori, qualche donna dello spettacolo e perché no? qualche politico. È questa la fase della “comunione”: la bicicletta non funiziona più se si pedalòa soli. Occorre un tandem, c’è chi guida, e c’è chi pedala. C’è chi a volte si scambia anche il posto, forse peggio il ruolo.

c) La fase della comunione ha aperto posti nell’ovale della gara sociale. In termini poveri una strana coppia, anzi un terzetto va formandosi da qualche tempo. La domenica l’ultrà si scontra, il lunedì si dà la notizia dei tafferugli, velatamente, a tratti sterile mero resoconto si intende, e il mercoledì si va tutti in trasmissione; come sotto alla fontana, ci si bagna il capo d’acqua e ci si assolve dai reciproci peccati andando tutti a battesimo. Al “tutto calcio” in tv la regola è essenziale; che si parli di calcio mai di violenza. La tendenza della “comunione” è molto forte nelle tv locali che devono strappare spettatori per una questione di audience, visto che si parla di sport chi assicura un target migliore se non i calciatori e capi ultrà? Del resto chi non conosce gli uni e gli altri? La comunione comunque è anche presente sulle reti nazionali, forse nascondendo la mano e facendo cadere l’acqua dall’ “alto”. Inutile dire che finchè ci sarà comunione e commistione di ruoli, il giornalista, il politico, la stella dello spettacolo, il calciatore sarà posto in una posizione difficile. Un’abiura alla violenza è del tutto impossibile in queste condizioni.

3) Occorre concepire che il fenomeno ultrà raccoglie moltissime realtà politiche, storico-culturali e sociali. Lo scontro avviene per le ragioni appena dette, ma ricordiamo che lo scontro è un modello implicito nella cultura ultrà; esso avverrebbe comunque, ma i retaggi dei gruppi aggiungono sempre nuove motivazioni alle vecchie. Il fenomeno è trasversale. Dobbiamo tenere conto dunque:

a) Realtà politiche. La politica è uno dei fattori di scontro. Non in tutti i casi, ma ha forti matrici ideologiche. Alcuni scontri si fondano sullo schema radicale destra e sinistra. Sapere ciò significa potere prevenire su situazioni già in partenza certe al confitto. Si Veda Ancona-Ascoli. Lo scontro è ricercato in forza di questa motivazione, anche se non è il solo. Gli ascolani è tifoseria di estrema destra, gli anconetani è una tifoseria di estrema sinistra. Alle motivazioni politiche si aggiungono quelle locali, il carattere di derby e la volontà di affermazione del primato regionalistico di un gruppo sull’altro.

b) Realtà storico-culturali. La cultura è uno dei fattori che segna i conflitti. Gli ultrà del Bolzano hanno percorsi storico-culturali diversi dalla realtà che vivono quelli del Palermo. L’esempio più evidente è quello a più matrici tra Verona-Napoli. Si scontrano per più ragioni: i Veronesi ritengono di far parte di una città produttiva, mentre il sud è improduttivo. Gli stessi si ritengono orgogliosamente razzisti di destra, (razzismo qui si rilfette nella contrapposizione “Nord” sud). I veronesi ritengono i napoletani sporchi, delinquenti, contrari ai valori dell’ordine al quale l’ideoloogia veronese si rifà. Ritengono i napoletani conigli, parolai. I napoletani pensano di essere migliori perché non servi delle regole come i Veronesi, non autoritari ma solari, ed essere napoletani è un vero orgoglio. Ma il motivo primo per cui si odiano è perché si percepiscono davvero diversi, agli antipodi. Sembra paradossale ma molti gruppi ultrà si odiano invece perché sono davvero simili, e vogliono battersi per arrivare ad affermare questa loro desiderabile diversità e superiorità.

4) Occorre concepire che non sempre ultrà è sinonimo di disagio sociale. Molti capi ultrà utilizzano la curva come canale di mobilità sociale, politica, economica.

a) Bisogna considerare che nascere in Italia a nord a sud ad est o a ovest, significa nascere in luoghi che hanno differenti realtà culturali, economiche diverse e queste realtà hanno un punto di congiuntura con la realtà ultras che il tifoso vive. Pur considerando che esitono realtà dove l’affermazione e la scalata sociale è più difficile, ogni capo ultrà di un dato gruppo locale ha raggiunto livelli di leadership che uno spettatore di bocce non si sognerebbe nemmeno.
C’è chi si è accontentato di presenziare in televisione e parlare con comunicati uffciali a nome di un gruppo e se più fortunato parla a nome dell’intera curva. C’è invece chi si è “preso” questo ed altro. Ha aperto negozi di materiale della sua squadra e gruppo, ha ottenuto biglietti dalle società, cene coi giocatori e presentazioni uffciali durante il cambo di guardia da una presidenza all’altra, svolge servizio d’ordine retribuito negli stadi (sig!). Il tutto è stato ottenuto col consenso, dei suoi “collaboratori”, con la violenza sui suoi “collaboratori”, con il consenso delle società, con la violenza sulle società o calciatori, con le comparse in tv, con le interviste sui quotidiani, con l’aiuto di politici interessati al “serbatoio di voti”.
Tutto questo assomiglia a un disagio? C’è anche chi scambia favori, ovvero chi ha una tantum di disordine che può creare.e dall’altra parte vi è chi una tantum può tollerare. Certo; purchè lui gestisca il suo gruppo e lo riporti alla ragione nel momento giusto. Il dato ultimo è che esistono una marea di capi ultrà arricchiti, che non hanno mai subito una diffida, si mantengono con i biglietti e le sciarpe, ed organizzano trasferte per i subalterni; questi ultimi probabilmente qualche diffida per “l’onore” del gruppo l’hanno ottenuta.

b) Essere ultrà e violento non compromette necessariamente l’integrazione nella normale vita quotidiana.
Se nelle fontana ci si bagna assieme in reciproca comunione e si dimenticano i rancori tra rivali, tra vicni di casa (tanto meglio se della stessa fede) ci si cosparge il capo di cenere. “Scrivi quello che vuoi, i miei vicini sanno chi sono”, dichiarò a un giornalista de il “Mercantile” un ultrà con le manette preso a braccetto tra due carabinieri ed arrestato dopo un Atalanta-Genoa.
Se la malediazione è sinonimo di caduta di stile, di brutalita e la scomunica non da gloria a nessuno, la comunione sembra davvero eccessiva. Gli ultrà spesso godono di buona stima, non solo a livello “condominiale”, ma anche cittadino e a livello di palinsesti.

5) Occorre una maggiore responsabilità da parte delle società calcistiche che allestiscono il business del calcio e da questo ne traggono indotti. In termini poveri che esse stesse come società di profitto – molte quotate in borsa – si sobbarchino dei costi di gestione delle risorse della propria impresa, nella fattispecie calcistica.
Con questo sono da intendersi i costi derivanti dalla mobilitazione delle forze di pubblica sicurezza durante l’anno, i danni relativi agli incidenti, gli atti vandalici (per lo meno quelli causati in un’area limitrofa allo stadio). Del resto se io sono proprietario di una fabbrica e creo un disastro ambientale, pago io o la mia assicurazione. Ciò è un fatto di diritto, non più etico e morale.
Di fatto se non esistessero i club calcistici l’evento violenza negli stadi non si verificherebbe. È vero che la violenza accadrebbe nelle strade, ma in questo caso l’onere sarebbe statale, non più a carico dei privati o delle imprese. In tal caso la polizia interverrebbe e alla fine dell’anno di redigerebbe il bilancio dei costi e delle nuove risorse da allocare. Inutile dirlo, i club calcistici non sono organi statali e l’esborso non è dovuto, ma concesso.

6) Occorre educare allo sport. Se le socetà di calcio fossero tassate in merito ai costi sostenuti per l’ordine pubblico e i relativi atti di vandalismo il Governo potrebbe investire le proprie risorse in altri ambiti, ad esempio in progetti di educazione allo sport e di prevenzione (esempio: l’esperienza di Genova con 3600 studenti locali).

In sintesi

10 “raccomandazioni”

1) Rinuncia alla trasmisssione di immagini di incidenti negli stadi.

2) Rinuncia all’inquadratura delle curve in tempo di “guerra” e in tempo di “pace”. Inutile vietare striscioni che poi vengono fatti entrare e inquadrati a tutto campo dagli operatori e commentati dai cronisti.

3) Rinuncia dell’elaborazione della notizia violenta, condimento improprio, spettacolarizazione della stessa. Il dovere dell’informazione è garantito anche con un dispaccio, l’accuratezza è altra cosa; riguarda la professionalità e il risultato finale che si vuole ottenere.

4) Moderazione, rispetto delle regole della comunicazione nei dibattiti televisivi. L’aggresività verbale, lo sciovinismo degli ospiti e dei conduttori ha in sè i germi di una violenza che è principalmente verbale, ma innesca meccanismi istituzionalizzati e legittimati di prevaricazione che a livello collettivo possono generare, alimentare, o indurre a pensare che sia lecito, ammissibile o tollerato lo schernimento, la derisione e la demonizzazione dell’avversario calcistico. Ognuno del resto alle provocazione reagisce come sa, come può, o vuole.

5) Rinuncia da parte degli emittenti televisivi, radiofonici, e della carta stampata ad avere come ospiti, intervistare, intrattenere gli spettatori, lettori, ascoltatori servendosi di esponenti di gruppi ultras. Il meccanismo è sempre lo stesso; nel week-end si condannano pubblicamente (quando avviene) in settimana si invitano ai dibattiti televisivi e si intervistano, assolvendoli dalla condanna.

6) Maggiore coinvolgimento dei calciatori in merito agli episodi di violenza. La beneficenza la fanno anche gli ultrà, dunque non basta per sensibilizzare. Occorrono spot televisivi ad opera del Governo ed elaborati ad hoc. Elaborati affinché siano equilibrati (né comunione né maledizione, ma sensibilizazione) e permettano di far crescere i giovani con un messaggio positivo dello sport. (ricordare le vittime, le loro storie, i loro errori e usare testimonial)

7) Maggiore lealtà e disciplina all’interno del rettangolo di gioco. I calciatori nel bene o nel male sono un modello di riferimento e condotte che contengono in sè la provocazione, l’insulto la violenza fisica andrebbero perseguite con maggiore severità da parte di chi ne ha competenza.

8) Chiudere di fatto – e non in teoria – il rubinetto delle sovvenzioni dei club calcistici verso gli ultrà. I finanziamenti possono avvenire in diversi modi: cessione gratuita di biglietti, servizi di sicurezza e scorte con ultrà a stipendio, accordi sotterranei per il noleggio di Pullman vetture per raggiungere il luogo della trasferta. L’attuale situazione crea un doppio legame, una commistione che non permette una linea societaria autonoma, equilibrata, scevra da valutazioni indipendenti dei club.

9) Pagamento dei costi e dei danni derivanti dalla violenza negli stadi a carico delle società di calcio. Queste si pongono sul mercato come veri e propri oligopoli, imprese gestite razionalmente da amministratori, e dirigenti i quali traggono profitto dalle loro operazioni commerciali. Che tra i costi da sostenere – come operatori razionali – considerino anche quelli derivanti dal controllo sociale e dalla restituzione del danno arrecato.

10) Controlli fiscali e tassazione alle entrate dei club di tifosi e relativa regolarizzazione del tesseramento all’interno dei club che ha sede fisica e non virtuale. Accertamento che i proventi siano frutto di regolari transazioni tra tifosi e tifosi e non di fonti trasversali. Regolarizzare la posizione amministrativa, e la loro costituzione formale.

Qui non si riportano le leggi, le direttive, i provvedimenti tradizionali. Questi fanno parte dei punti dal 10 in giù. Non si può pensare di fare delle leggi e rispettarle senza che vi siano le premesse coerenti e istituzionali per una loro applicazione. Tante leggi isolate non fanno parte di una strategia, di un corollario, ma oggetti spesso contraddittori che aumentano la complessità piuttosto che ridurla.

Luca Vincenti
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http://www.lastradalibri.it/LIBRI%20COSTANZO.html

http://www.nonluoghi.it/feno.html

http://www.nonluoghi.it/vincenti.html

http://www.tarantosupporters.com/2001-2002/diari_di_una_domenica_ultra.htm

http://www.lupii.as.ro/cart_ultr.htm

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