di Luca Vincenti
Il sogno della mia vita è sempre stato fare il giornalista; sì, dico quel genere di giornalisti che non hanno paura di nessuno, che scrivono quello che pensano e a volte davvero pensano quello che scrivono senza dire bugie.
Io amo e ammiro quei pochi giornalisti sottopagati che fanno inchieste verità, non vanno in analisi per i sensi di colpa, e la sera si rifiutano di ninnare i politici per farli addormentare sulle loro ginocchia. Appunto, dicevo delle bugie. Fin da piccolo non sono mai riuscito a dirne mezza. I miei genitori sostenevano che non ero abbastanza bravo e persuasivo nel raccontarle. Appena ci provavo divenivo pallido, mi morsicavo la lingua, venivo subito scoperto e punito ancora prima di riuscire a terminarle.
Per penitenza mi ninnavano sulla lavatrice in fase di risciacquo, facendomi venire il singhiozzo che mi passava solo dopo la centrifuga.
Io, ero figlio d’arte. Mio padre era un capo redattore di un quotidiano nazionale e aveva imparato a scrivere alle 150 ore serali. Prima faceva l’installatore di caldaie a pellets per una ditta dell’Africa Subsahariana; capite bene, per raccomandarlo al giornale quella volta occorse sudare molto. Per l’attività intellettuale non era davvero portato. A scuola masticava gomma pane e sniffava tabacco da fiuto per non addormentarsi e scaldare il banco.
Mia madre invece era una politica di professione. Era salita al potere dopo lo scandalo delle tangenti date ai ministri per le “forniture di riviste pornografiche e gadget vari nelle caserme di polizia”. Lei si trovò in un battibaleno al vertice della carriera perché rimasta la sola a piede libero nella lista dei candidati.
Qualche mese più tardi accusarono anche lei di tangenti con l’aggravante di aver distribuito materiale hard negli uffici delle forze dell’ordine e di aver fatto salire oltre misura il livello di testosterone tra gli agenti di pubblica sicurezza che ora si erano innamorati del loro lavoro e non volevano più smontare dal servizio di pattuglia. Gli agenti perquisivano giorno e notte giovani no global sottoponendoli a continue perquisizioni e a dettagliate ispezioni corporali.
Il reato contestato a mia madre era gravissimo: favoreggiamento alla masturbazione tra gli organi dello Stato.
Provarono ad arrestarla, ma lei si difese con tutto rispetto, dicendo che da ricerche sociologiche recentemente pubblicate risultava evidente che l’onanismo abbassa l’aggressività e la violenza anche tra soggetti narcisisti e psicolabili.
Non riuscirono ad arrestarla; oramai “godeva” dell’immunità parlamentare e di troppi passaggi televisivi per essere abbattuta politicamente.
Mia madre vinse perché è una donna logorroica!
Talmente logorroica che nemmeno oscurando i ripetitori della tivù con tutti i piccioni di Piazza Venezia la par condicio riuscì ad azzittirla. Per fermarla provarono a farle bere un cocktail natalizio a base di vischio. Lei non si azzittì, ma ebbe uno scompenso di tiroide ed ingrassò brutalmente.
Così lo Stato passò la pratica alle teste di cuoio, ma fallirono. Nonostante il tentativo di camuffamento in borghese vennero riconosciuti da mia madre perché indossavano la divisa casalinga; quella da inquisizione. Era un completino intimo in pelle nera disegnato dallo stilista “Fini” per l’occasione del G8.
Ah ecco sì. Poi l’incarico passò ai testimoni di Geova, che con un blitz si catapultarono all’alba in ogni via della città, per stanarla casa per casa. Quella di stanare casa per casa è un’abitudine che prima della guerra all’Iraq avevano solo gli americani…
Ma dicevo dei testimoni di Geova che irruppero nell’appartamento di mia madre alle 7 del mattino, brandendo bibbie rilegate in pelle e ne uscirono qualche ora dopo con un kit sadomaso a batterie a lunga durata impiantato nell’asola dei jeans.
Scusatemi mi sono perso. Io non so dire bugie, ma in compenso dico molte sciocchezze, dico cose così assurde, talmente assurde che potrebbero accadere anche qui da noi. in Italia. Dicevo delle bugie, è di questo che vi volevo parlare.
Il mio problema è che non riesco a dirle e papà e mamma erano seriamente preoccupati. Dicevano che erano assolutamente escluse dalla mia carriera la professione dell’assicuratore, dell’agente immobiliare e del giornalista.
Per quella del politico secondo loro avevo ancora molte speranze. Potevo percorrere il canale preferenziale della corruzione, della concussione o del falso in bilancio per presentarmi alle nuove elezioni e vincerle in modo schiacciante facendo passare il tutto come un nuovo approccio alla teoria economica neo-liberalista.
Ma questa è un’altra storia, riguarda chi suona il pianoforte, fa cabaret sulle navi e nei ritagli di tempo fa politica promettendo di creare occupazione.
È dall’infanzia che ho un mito di giornalista; è Superman.