di Gabriele Lo Iacono
Diversi anni fa ho letto da qualche parte che i polli regolano il consumo di cibo basandosi sulla luce: finché ce n’è mangiano, quando è buio smettono. Ho letto inoltre che gli allevatori sfruttano tale particolarità comportamentale per farli mangiare di più, e quindi farli crescere più rapidamente, accrescendo i loro guadagni: è sufficiente tenerli in un ambiente illuminato da luce artificiale.
Una miriade di comportamenti dell’uomo e degli altri animali vengono regolati in parte da stimoli esterni. Per esempio, le donne sanno che per piacere di più agli uomini possono mettere in evidenza le labbra e il seno, oppure possiamo rendere un cibo più o meno appetitoso a seconda del modo in cui lo prepariamo e lo serviamo. Il senso comune e i libri di psicologia e di etologia traboccano di insegnamenti di questo tipo.
Ma la storia del pollo mi pare emblematica. Questo uccello è per noi un simbolo: “sei un pollo” significa “sei una persona poco accorta, facile da abbindolare, stupida”. Il pollo stupidamente si ingozzerebbe senza chiedersi se ha fame o meno. Il suo destino biologico è “mangiare finché c’è luce”: una regola molto semplice che governa un comportamento così essenziale per la sopravvivenza. I commercianti di polli conoscono la psicologia di questo animale, assumono il controllo di un meccanismo normalmente regolato dalla natura (l’alternanza del giorno e della notte) e lo governano in modo da poter lucrare maggiormente sulla stupida e abbreviata esistenza dell’uccello.
Mi viene in mente questa storia del pollo e della luce quando guardo la televisione, leggo il giornale, ho a che fare con commercianti o faccio la spesa. I movimenti, le affermazioni, la strategia complessiva del comportamento del venditore sono una serie di mosse studiate scientificamente per indurre all’acquisto, dalla stretta di mano del venditore ambulante che ti fissa negli occhi e ti dice “ciao amico”, alla commessa del negozio di abbigliamento che ti dice “le sta proprio bene”, alle colossali strategie di lancio dei nuovi prodotti e dei nuovi contratti di telefonia.
Nella progettazione, nella produzione, nella vendita e nel rinnovamento del prodotto niente viene lasciato al caso: la confezione, il nome, i mezzi e i modi con cui verrà pubblicizzato; l’abbinamento con luoghi, eventi e persone (primi fra tutti i testimonial); la scelta o la creazione dei punti vendita, la collocazione negli scaffali dei supermercati, la creazione degli appositi espositori e via dicendo. Quando compriamo un oggetto paghiamo nel prezzo anche i cervelloni che sono riusciti a indurre questo nostro comportamento.
Le merci vengono presentate così efficacemente, e spesso sono di una qualità così elevata, che basta vederle per innamorarsene. Se entro in un centro commerciale vengo sopraffatto dalle lusinghe di mille oggetti diversi che potenzialmente, magari con qualche piccolo sacrificio, potrebbero essere miei. Se comprassi tutto quello che mi piace non avrei tempo che per fare shopping. Se comprassi tutto quello che potrebbe servirmi, o tutto quello che è come le cose che già possiedo, ma un po’ più bello, comodo da usare, più semplice da far funzionare, meno ingombrante, più nuovo, più trendy, più tecnologico, più espressivo della mia personalità, o se mangiassi sempre il cibo più light, più biologico, interiore e spirituale, veloce da preparare potrei continuare la mia rincorsa infinita di istanti di felicità come un consumatore modello.
Se per indurci all’acquisto non è sufficiente l’attrazione del prodotto che, quando tutti i nostri desideri e bisogni sono già soddisfatti, può darci qualcosa in più, il venditore scruta la nostra intimità alla ricerca delle debolezze, delle paure, del senso di inadeguatezza, e rivolta il coltello nella piaga. “Vergogna ciccione, fai schifo!” è stato a lungo il motto con cui una nota venditrice televisiva ha cercato di piazzare i suoi intrugli. A volte anche chi faticosamente cerca di sottrarsi alla manipolazione mediatica della mente e basare invece la sua vita su solidi principi morali viene afferrato per la collottola e scaraventato nuovamente nel fango. Sulla copertina dell’opuscolo di un centro estetico si vede una donna di forme tondeggianti con lo sguardo luminoso e un bel sorriso gioioso e spensierato; la scritta che accompagna l’immagine è “L’importante è essere belli dentro”. Apri l’opuscolo e ti viene urlato in faccia “BUGIARDA!”; accanto c’è l’immancabile giovane seducente e seminuda. La pubblicità si annida nei dialoghi che fai con te stesso per cercare di non perdere la ragione sotto i colpi di chi ti vuole infelice per venderti pericolose illusioni. L’industria della dieta e del fitness crea e alimenta, con la complicità di certa editoria, i disturbi dell’immagine corporea e dell’alimentazione per spremere denaro alle prede fiaccate dal ritmo e dalla forza del martellamento.
È difficile sottrarsi ai messaggi di TV, manifesti pubblicitari, radio, riviste e giornali, perché crediamo che i media ci presentino la realtà vera, non quel misero spiraglio di vita che ci resta quando corriamo al lavoro o intravediamo le quattro facce dei nostri mediocri conoscenti. Come dovremmo essere e come dovremmo comportarci per valere qualcosa lo possiamo imparare dalla pubblicità televisiva o dai conduttori dei programmi TV, i veri punti di riferimento del nostro mondo. È ancora più difficile sfuggire quando le persone che ci presentano i nostri modelli e quelle che vogliono i nostri soldi e i nostri voti sono le stesse. Quando possiamo essere certi che, leggendo un articolo o ascoltando una notizia, non stiamo effettivamente assecondando i progetti di un crocchio di allevatori, riuniti provvisoriamente dall’intenzione di influenzare certe nostre scelte manipolando le nostre coscienze?
In passato la parola “comunicazione” evocava in me l’affascinante possibilità di sentirsi uniti, conoscersi e capirsi per collaborare e aiutarsi. Ormai questa parola ha una connotazione infida: è diventata sinonimo di manipolazione, aggiramento delle barriere opposte dalla ragione alle forze che ti inducono a fare qualcosa sfidando la tua volontà, nell’interesse del potere e del denaro.
Come i nostri acquisti, anche il nostro comportamento in cabina elettorale è regolato da una serie di stimoli esterni che poco hanno a che vedere con la natura delle esigenze che il voto dovrebbe servire a soddisfare. La propaganda politica ? lo sanno anche i polli ? è ormai studiata scientificamente e con minuzia ossessiva dai preparatissimi curatori di immagine dei candidati. Le idee e le azioni politiche hanno un peso ormai molto minore nel determinare il comportamento di voto rispetto a una serie di altri fattori che a rigore di logica non hanno alcuna rilevanza per la soluzione dei problemi della società.
La frequenza delle apparizioni pubbliche dei candidati politici sembra essere il primo ingrediente del successo elettorale. L’immagine del partito e degli uomini viene curata come i vari aspetti del prodotto commerciale: la scelta del nome e del simbolo è importante e va effettuata tenendo conto di tutte le possibili risonanze, armonie e disarmonie; sono fondamentali il volto, l’aspetto, l’età, la voce, le inflessioni, le espressioni dei candidati. Il loro passato, le loro amicizie, la loro vita familiare sono miniere dove scavare per trovare i difetti di immagine degli avversari. Sappiamo tutti che negli Stati Uniti, da sempre più avanti di noi in tutto ciò che riguarda l’allevamento dei polli, uno degli aspetti che determinano la forza o la debolezza del candidato è la cartella clinica. Sappiamo quanto profonda sia stata la crisi di immagine di Clinton durante la vicenda Lewinsky. Altri elementi fondamentali in ogni Paese sono le affermazioni pubbliche sui temi sentiti dalla gente, di cui si tiene costantemente il polso con sondaggi lampo, reali o inventati.
L’immagine è tutto; è la luce nel pollaio. Ho appreso su una rivista che solo pochi sprovveduti ormai compaiono alla televisione con un abito diverso da quello più efficace: vestito scuro, camicia bianca, cravatta rossa. I discorsi pubblici, tenuti in luoghi e occasioni sceltissime, sono preparati meglio delle recite teatrali. Gli slogan e l’evocazione di immagini ad alto impatto emotivo sono più efficaci di mille fatti. Se un candidato vuole evitare errori grossolani deve sapere quali parole non dire mai in pubblico e quali riferimenti non dovrebbero mai mancare in un discorso. Il confronto politico efficace consiste perlopiù nello screditare gli avversari mettendone a nudo i difetti di immagine; stiamo ora assistendo alle prime battute della campagna di denigrazione reciproca fra “la maschera dei comunisti” e “uno degli uomini più ricchi del mondo”. Non è mai stato un mistero che Berlusconi abbia guadagnato gran parte del seguito che è riuscito a raccogliere con un uso efficace della comunicazione. Ma ora anche il suo principale avversario, Rutelli, fa curare la sua immagine da uno dei più fini conoscitori di polli degli Stati Uniti ed è egli stesso l’immagine giovane e bella del centro-sinistra.
Continuo a indignarmi quando mi accorgo che il mondo diventa sempre di più l’allevamento di polli di industriali e politici. Non voglio essere un pollo, mi impegno per sottrarmi al mio destino di pennuto e nel mio piccolo cerco di resistere. Ma vedo che intorno a me ci sono molte galline accondiscendenti e felici del buon becchime che arriva abbondante anche di notte.