Mentre infuria un’inquietante ondata di militarismo e di nazionalismo senza precedenti nella storia repubblicana, ci mancavano anche gli appelli economico-patriottici del capo dello Stato, gli inviti del ministro degli Esteri Franco Frattini (sempre zelante con la Casa Bianca) a mandare in Iraq le truppe Nato e il generale Leonardo Tricarico, nientemeno che il consigliere militare del governo, che chiede “leggi straordinarie per l’emergenza terrorismo”. Vediamo. La lotta al terrorismo. Tutto nasce dall’escalation di attentati attribuibili alla rete Al Qaeda che fa capo a Osama Bin Laden, culminati con i tragici attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti. Della rete Al Qaeda, in realtà, non pare che si sappia gran che. Emerge via via il contorno non di una struttura organizzata e interdipendente, bensì di una sorta di intreccio irregolare nel quale del funesto “marchio” di Al Qaeda fanno uso numerosi gruppi locali, in un quadro che qualcuno ha definito “franchising” del terrore.
Se questa è la natura del nemico, vale a dire una rete indefinibile e strisciante le cui maglie sono irregolari e camaleontiche, si capisce che rischia di essere inconcludente o quasi la strategia utilizzata dagli americani e pedissequamente adottata dai loro più stretti e meno intelligenti alleati (come l’Italia di Berlusconi&Co.), che si concreta nel tentativo bellico di “colpire al cuore” il minaccioso avversario.
Il riflesso condizionato della guerra ha colpito l’Afghanistan. Certo, ha dato un colpo al regime del terrore talebano; tuttavia, ha seminato poca pace e poca democrazia, mentre le guerre tra clan e i ritorni di fiamma dei vecchi despoti oscurantisti perpetuano uno scenario di morte e di terrore.
Poi, mentre la prigione globale americana di Guantanamo si riempiva di individui sospetti cui vengono negati i più elementari diritti legali (di pace o di guerra), è stata la volta dell’Iraq. Come noto, la complicità del dittatore sanguinario Saddam Hussein con la rete di Al Qaeda non trova allo stato attuale evidenze oggettive, come ammette a denti stretti la stessa amministrazione Usa. Dunque, a rigor di “intelligence”, attaccare l’Iraq non aveva nulla a che vedere con la lotta al terrorismo.
Tant’è che il pretesto doveva essere la “pistola fumante”, cioè il possesso di armi di distruzione di massa da far certificare agli ispettori dell’Onu i quali, però, si sono dimostrati meno inclini ai brogli di quanto desiderasse il petroliere venuto dal Texas per occupare – senza avere in realtà ottenuto un mandato elettorale degno di questo nome – la Casa Bianca. Risultato, gli ispettori ispezionano e non trovano.
L’attacco all’Iraq non ha ragione. L’Onu non avalla. Ma l’uomo del Texas non può perdere la ghiotta occasione di scatenare una guerra con la scusa della lotta al terrorismo. Di muovere migliaia di miliardi per devastare e poi ricostruire. Peccato che le vite distrutte non si possano affidare alla Corporate di qualche amico texano o collega di governo.
Qualcuno resiste, ma un’accolita di vassalli, valvassini e valvassori – a caccia di accrediti, privilegi e affari – sale sul carro del finto eroe che sfida il grande terrorista.
Non c’è dubbio che un regime come quello liberticida e assassino di Saddam è meglio morto che vivo (ma come lui molti altri tuttora indisturbati al potere); tuttavia c’è preventivamente da chiedersi a quale prezzo e in quale contesto giuridico. Nel caso di Bush e dei suoi sorridenti alleati la risposta è a ogni prezzo e calpestando il diritto internazionale e annichilendo un’organizzazione che faticosamente si è cercato di ricostruire sulle macabre ceneri del secondo conflitto mondiale: le Nazioni unite.
Ora, la domanda è: posto che il terrorismo internazionale ha mostrato drammaticamente la sua pericolosità, possiamo fidarci della strategia adottata da Bush e i suoi per contrastarlo? La risposta, purtroppo, è un inquietante no che sta nei fatti: dall’11 settembre 2001 la spirale terroristica ha registrato un crescendo, le aree di instabilità nel mondo si sono moltiplicate, si contano vittime tutti i giorni e anche in Italia – dove peraltro non si sono fortunatamente registrati attentati o altri episodi di sangue – si sono susseguiti gli allarmi lanciati dal ministro degli Interni Giuseppe Pisanu e da altri esponenti del governo e delle istituzioni sulla base di ricorrenti “rapporti di intelligence” ben veicolati dai mass media.
La strategia antiterrorismo non funziona e lo dimostra penosamente anche il pantano iracheno con il suo stillicidio quotidiano di morti civili e militari e il desiderio di Bush&alleati di ridurre tutto al terrorismo di Bin Laden-Saddam, negando la realtà del territorio e le sue sfaccettature di fronte al perdurare dell’occupazione (in altre parole si assiste a un maldestro tentativo di introdurre “prove” retroattive circa la natura monolitica del nemico, come se la polveriera di Baghdad e dintorni – oggi crocevia di aspiranti “kamikaze” che si mescolano ai miliziani nostalgici del deposto rais – fosse una causa e non un effetto della guerra insipientemente scatenata dall’uomo del Texas).
In questo quadro, purtroppo, la preoccupazione è doppia: c’è l’allarme per il terrorismo, ma anche l’allarme per la tragica inconsistenza politica di chi determina la strategia per combatterlo e che ha, in questo senso, la nostra sorte nelle sue inaffidabili mani.
Non c’è dubbio che da quando Bush-Blair-Berlusconi&Co. sono scesi in campo nella loro crociata, le cose sono peggiorate sensibilmente: il mondo è un luogo meno sicuro, meno libero, meno democratico, in cui si muore più facilmente e più facilmente si può finire in prigione.
Finora della strategia antiterrorismo di Bush e dei suoi adepti fanno le spese soprattutto gli innocenti; i terroristi, invece, continuano ad agire con spaventosa puntualità. Negare che qualcosa non va in questa strategia non sarebbe onesto neppure per il più incallito elettore repubblicano del Texas profondo; anche perché a morire sono, oltre agli iracheni, principalmente cittadini americani.
Ma cambiare rotta non fa parte del dna degli eroi sedicenti come Bush o Berlusconi. Eccoli, dunque, a premere ancora sull’acceleratore: adesso vogliono trascinare nel pantano iracheno la Nato, per allargare l’avventura militare che probabilmente abbandoneranno tra non molto, lasciandosi alle spalle una raccapricciante distesa di cadaveri e una dilaniante guerra civile frammista a fiammate terroristiche e camuffata da transizione democratica.
Le mosse dei battistrada bellici, Bush&alleati, non lasciano intravvedere alcuna volontà di battere nuovi terreni, di rivedere radicalmente la malconcia strategia, di ripensare tutto insieme con le Nazioni unite, ascoltando le ragioni dei partner dissidenti, coinvolgendo la comunità internazionale (a cominciare dai Paesi arabi) nell’opera innanzitutto diplomatica per disinnescare la polveriera irachena, facendo passi realmente incisivi per sbloccare l’inferno mediorientale (altro scenario in cui Bush&Co. con la loro strategia bellica sono entrati di riflesso nelle sofferenze israeliane e palestinesi come elefanti in cristalleria).
Ma il dialogo, la diplomazia, la politica di pace non è il punto di forza del gruppo di missionari della democrazia a colpi di cannone. D’altra parte, che cosa aspettarsi da chi scatena una guerra o vi si accoda nonostante la popolazione sia contraria?
E mentre volano i caccia e scorre il sangue, mentre le imprese di guerra e di pace (a cominciare da quelle dei colleghi e degli amici) fanno affari sulla morte e sulla presunta rinascita civile, scorre un altro film sullo sfondo della strategia antiterrosismo che non ferma i terroristi.
Il film della negazione di un accordo globale per contrastare la crisi ecologica e il cammino suicida sul baratro dell’entropia planetaria: gli Stati Uniti di Bush si chiamano fuori, vogliono continuare a inquinare il pianeta come prima o più di prima (ai danni ci penseranno i superstiti), la Russia di Putin si accoda e l’Italia di Berlusconi ovviamente ha già scelto da che parte stare anche questa volta (d’altro canto, che cosa attendersi da un governo che di fronte a un blackout elettrico notturno di domenica comincia a sbraitare con toni sconnessi che il problema è stata la chiusura delle centrali nucleari, come se il problema fosse stato l’approvvigionamento e non un guasto alla rete? Gli stessi sbraitoni, poi, che si ricordano di tanto in tanto che il nucleare produce piccoli problemini come le scorie mortali).
Sembra un incubo, un tonfo nel passato; si ha la sensazione di dover ricominciare dall’ABC. Gli oligarchi del potere, rètori di una religione mercantile coniugata con le meno cristiane espressioni del cristianesimo, interpretano in modo raggelante questo ritorno al medioevo del razionalismo e lo traducono in appagante disponibilità di gratificazione alle masse dei teleutenti indottrinati, per i quali il potere democratico è un bene indisponibile, certo, ma anche per nulla desiderato data la quantità di bisogni (veri o indotti) soddisfatti dal sistema, fino a riempire la “domanda” del singolo e dei gruppi.
In queste condizioni può capitare che un signore a capo di un governo e di un’istituzione sovrannazionale si permetta di definire in circostanze ufficiali “leggende” il genocidio di un popolo (quello ceceno) perpetrato da uno degli amici che dopo l’11 settembre ha avuto licenza di uccidere, purché chiudesse un occhio sugli affari di guerra dei colleghi.
Può capitare che vengano via via sottratte le libertà individuali e di gruppo; che i diritti democratici siano progressivamente sacrificati sull’altare della LORO strategia di lotta al terrrorismo internazionale.
Può capitare, in una lettura storica più generale, che l’effetto epocale della presunta strategia antiterroristica sia di invertire la tendenza della crescita democratica globale; di interrompere la propulsione della democrazia nelle sue varie articolazioni (giustizia sociale, partecipazione, uguaglianza eccetera). Può capitare che le istanze pacifiste e ecologiste vengano soffocate e travolte da rinascite nazionalistiche e bellicistiche; che il cammino della nonviolenza nelle sue diverse esplicazioni, a cominciare dalla diplomazia popolare e dall’antimilitarismo libertario, finisca schiacciato dal peso enorme di un nuovo oscurantismo militare globale e locale che criminalizza le radicalità “antisistema”.
Può capitare che agitare la fallimentare strategia contro il terrorismo e evocare tutti i giorni i pericoli che corriamo noi tutti (LORO sanno proteggerci, fidiamoci), sia utile per celare i fallimenti del dogma mercantile, i danni provocati su scala locale e globale dal neoliberismo. Il mercato uccide? Stiamo creando precarietà, malattia e morte tra i cittadini? “Non abbiamo tempo per discuterne ora, siamo occupati da un’emergenza, lasciateci lavorare”.
Può capitare anche che esplodano il razzismo, l’antisemitismo e l’intolleranza generalizzata; che un senatore della Repubblica si permetta di evocare i forni crematori per gli immigrati senza che ciò scateni un caso nazionale e internazionale; passa in sordina, i Tg sempre più di regime, tronfi di nazionalismo e vuoti di informazioni, non ne parlano. Eppure non avevamo capito male, quel signore proprio di forni crematori aveva parlato; ma era solo una “battuta”.
Può capitare che ministri laburisti in Gran Bretagna e leghisti in Italia si trovino d’accordo nel dotare i richiedenti asilo (cioè profughi di guerra o perseguitati politici) di un braccialetto elettronico collegato a un satellite, in modo da garantire la sorveglianza continua di queste persone che altrimenti, parola di un altro esponente del partito di governo Lega Nord, “scappano come i leprotti davanti al cacciatore” (un terzo rappresentante di questa forza politica anni fa aveva suggerito di “vestire gli immigrati da leprotti per far esercitare i cacciatori”, un tribunale della Repubblica lo ha prosciolto dall’accusa di istigazione all’odio razziale. Domanda: che cos’è, allora, l’istigazione?).
Può capitare che si agitino quotidianamente polveroni locali e globali per nascondere i reali processi di sottrazione della libertà e del benessere alle persone normali e per ostacolare le dinamiche democratiche e nonviolente di emancipazione (l’unica emancipazione concessa, o imposta dal club dei Bush mediante guerre di esportazione, è il modello neoliberista di economia e di pseudodemocrazia sotto sorveglianza speciale).
Politica, mass media e scuole (gran parte di queste agenzie formative, in Italia più che altrove, sono nella disponibilità del governo) svolgono ruoli centrali di catalizzatori di questa deriva antidemocratica e deresponsabilizzante, che chiede deleghe in bianco e semina distrazione.
Per chiudere, riporto semplicemente una serie di notizie di oggi e, in fondo, una dichiarazione fatta ieri da Gino Strada.
Generale Leonardo Tricarico, ex comandante delle forze aeree italiane durante la guerra del Kosovo e adesso consigliere militare della presidenza del Consiglio: “Non si può pensare di gestire una situazione di emergenza come questa con leggi ordinarie. Per garantire la sicurezza dei cittadini è necessario rinunciare ad alcuni diritti e privilegi. La nostra legislazione prevede norme che regolano il tempo di pace, ma che spesso si rivelano
inadatte per fronteggiare situazioni di crisi. Dunque vuol dire rivedere alcuni principi in modo da consentire alla collettività di difendersi. Quella contro il terrorismo è una guerra e come tale va combattuta. La prima norma da modificare è il diritto alla riservatezza. Quando l’amministrazione americana ha chiesto i dati personali di tutti i viaggiatori verso gli Stati Uniti, l’Italia si è trovata in grave difficoltà perché questo non è consentito dal nostro ordinamento. Ci sono voluti otto mesi per arrivare a un accordo di massima, ma una soluzione reale non è stata ancora trovata. Esistono dei casi in cui per tutelare la privacy del singolo ci si trova nell’impossibilità di svolgere una efficace attività di prevenzione. [secondo provvedimento] L’approvazione di alcune procedure che possano essere applicate in via ordinaria in caso di pericolo. Penso alla chiusura degli spazi aerei, degli scali aeroportuali,
alla soppressione di alcuni collegamenti. Durante la guerra del Kosovo io finii sotto inchiesta proprio per aver preso misure di questo tipo. È un rischio che non si può e non si deve più correre. Così come è impensabile che il provvedimento di espulsione per sette integralisti islamici firmato dal ministro
dell’Interno Giuseppe Pisanu scateni critiche e polemiche. Se esiste la prova che alcune persone sono pericolose per la sicurezza nazionale, non solo è giusto ma è sacrosanto. E in quel caso mi pare che gli elementi raccolti fossero sin troppo evidenti. E questo non riguarda soltanto le persone.
Ci sono luoghi di culto dove si incita all’odio e alla violenza, dove si reclutano nuovi militanti, dove si fabbricano e si vendono documenti falsi.
Centrali del crimine nei confronti delle quali attualmente non si può prendere alcun provvedimento. Penso alla possibilità di interdire alcuni luoghi nel momento in cui rappresentano un rischio per i cittadini. So bene che la libertà di religione va tutelata in ogni modo, ma non quando c’è il pericolo che
prevarichi la libertà degli altri”.
(Dicchiarazioni fatte al Corriere della Sera di oggi)
Paolo Cento, vicepresidente della commissione Giustizia: “Le affermazioni del generale Tricarico configurano una vera e propria situazione di emergenza al di fuori della Costituzione e confermano che l’Italia è un Paese in guerra nonostante l’articolo 11 del dettato costituzionale. Bisogna sapere se le dichiarazioni del generale Tricarico sono condivise da Palazzo Chigi e in caso contrario è del tutto evidente che l’attuale consigliere deve essere rimosso dal suo incarico. Deve essere comunque chiaro che la lotta al terrorismo sta fallendo a causa anche di questa guerra e che semmai il problema è come rafforzare la democrazia e quindi la tutela dei diritti, compreso quello della privacy, dei cittadini.
Sui provvedimenti da lui suggeriti, come la chiusura degli spazi aerei e degli scali internazionali, la cacciata di islamici in base a valutazioni di pericolosità autonome da un giudizio di condanna della Magistratura, la stessa chiusura di alcune moschee, è evidente che se diventassero realtà
sarebbero in netto contrasto con alcuni principi fondamentali della carta costituzionale. Anche per questo non rimane altra strada per uscire ad questa situazione di una svolta della politica italiana in Iraq attraverso il ritiro dei soldati italiani e un’immediata e autorevole azione dell’Europa
presso l’Onu”.
Giuseppe Pisanu, ministro dell’Interno: “In materia di contrasto al terrorismo nessuna misura potrà, neanche sotto il pretesto dell’eccezionalità, compromettere i diritti costituzionalmente garantiti ai cittadini. Ogni eventuale iniziativa legislativa per combattere il terrorismo verrebbe ovviamente sottoposta alle valutazioni del Parlamento, nel rigoroso rispetto di quei poteri di indirizzo e controllo ai quali il ministero dell’Interno si è sempre attenuto e intende attenersi”.
Il segretario di Stato americano, Colin Powell: “Invitiamo con urgenza l’Alleanza atlantica ad esaminare come potrebbe fare di più per sostenere la pace e la stabilità in Iraq, che ogni dirigente ha riconosciuto come fondamentale per tutti noi”.
Il ministro degli Esteri Franco Frattini alla riunione ministeriale della Nato a Bruxelles: “Noi pensiamo che sia venuto il momento di considerare un ruolo più diretto dell’Alleanza nel fornire una cornice di sicurezza per il processo di stabilizzazione a medio termine in Iraq”.
Il ministro delal Difesa Antonio Martino: “Una delle misure di sicurezza che adotteremo in Iraq è quella di rinunciare, purtroppo, all’impiego dei carabinieri in città dove i militari sono a contatto con la popolazione. Dopo Nassiriya si è rivalutato il rischio, che da medio-alto è divenuto altissimo. Continueremo però la missione con gli stessi scopi umanitari, con il favore della popolazione locale, in condizioni di sicurezza maggiori di prima”.
Enrico Jacchia, direttore del Centro di studi strategici: “Tutte le autorità responsabili ci ricordano in modo perentorio che cresce ogni giorno anche in casa nostra la minaccia del terrorismo integralista. E allora perché non dire che siamo anche in Iraq per condurre con i nostri alleati la lotta comune a questa minaccia comune, e perché non dirlo, dopo il sacrificio dei nostri caduti, con una punta di orgoglio?”.
Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica, custode della Costituzione e (calpestata a più riprese dall’attuale compagine governativa) e già protagonista di innumerevoli richiami all’amore del tricolore: “I miei viaggi in Italia, con i sorprendenti esempi di vitalità, di inventiva, di flessibilità che trovo in ogni provincia, non mi consentono di condividere quella retorica del declino che sta diffondendosi e che rischia di fiaccare le nostre capacità, la nostra volontà di reagire. Viviamo un momento cruciale per lo sviluppo del made in Italy. Made in Italy, cioè fatto in Italia, è il marchio più forte del mondo. Lo dimostrano recenti ricerche: nei prodotti italiani il consumatore cerca un’emozione che gli consenta di condividere uno stile di vita, una visione estetica della qualità che è unica al mondo, inimitabile. La sfida è di mantenersi all’altezza di questa immagine. Per riuscirci si tratta solo di
rimboccarsi le maniche e operare con determinazione. Serve un salto culturale, una strategia di sistema di lungo periodo, la capacità di convincere innanzitutto il consumatore italiano a scegliere con convinzione ed orgoglio un prodotto italiano.
Non dobbiamo pensare alla delocalizzazione come a un fenomeno preoccupante, ma come a una necessità che può diventare una opportunità, a patto che il sistema industriale la sappia vivere con intelligenza tenendo in Italia la parte creativa del processo produttivo e, con essa, parte del valore aggiunto”.
Gino Strada, medico e fondatore di Emergency: “Ho visto una grossa ondata di militarismo che ovviamente si accompagna sempre all’ignoranza e all’uso della bugia. Dimenticandoci alcune cose fondamentali: abbiamo inviato i nostri soldati semplicemente perchè qualche irresponsabile vuole fare favori all’amico George, all’amico Vladimir, a tutta quella banda di criminali che sono tutti amici fra di loro. Per questo abbiamo non soltanto partecipato a una guerra di aggressione, ma hanno messo a rischio, in particolare il presidente del Consiglio e coloro che hanno votato per l’invio dei militari italiani, che siano nel governo o nell’opposizione, la sicurezza di noi cittadini italiani. Adesso si parla di rischio di terrorismo. C’è un rischio di ritorsioni, perchè noi abbiamo partecipato a una aggressione, come era quella in Afghanistan. L’unica soluzione è che i cittadini ritornino a far sentire la propria voce, con il voto e con la mobilitazione. Si deve parlare di classe politica criminale. L’appello per il cessate il fuoco si rivolge ai terroristi, non solo ai terroristi islamici, a quelli che si fanno saltare in aria, ma a tutti i terroristi in primis al signor George Bush che guida il più grande Stato “canaglia” del mondo. La gente inizia ad aver paura. Paura di andare allo stadio, al supermercato, di prendere la metro.
L’unico modo per eliminare questa paura è ritirare le nostre truppe da tutte le missioni che non siano missioni di peace keeping autorizzate dalle Nazioni Unite».
(Zenone Sovilla)