di Francesco Codello
Esiste ancora la democrazia nel nostro paese? E altrove?
A questa domanda non è poi così semplice rispondere. La difficoltà principale sta nel non lasciarsi trasportare dalla sloganistica più superficiale o peggio strumentale. Di volta in volta che le situazioni di equilibrio di potere mutano, assistiamo a un ridicolo, ma tragico, dibattito tra sordi, nel quale sono quasi sempre prevalse affermazioni ed accuse tra schieramenti diversi, e poche analisi approfondite. Certamente per chi ha la preoccupazione rivolta nel consolidare ed eventualmente attirare votanti, le frasi e gli slogan ad effetto sono molto utili a tal fine. Ragionare senza paraocchi sembra stia diventando sempre più difficile. Rientrano in questo schema ambedue gli schieramenti politici italiani, sia il centrodestra che il centrosinistra. Cambiano solo le accuse: neofascismo o illiberalismo.
Tutto ciò mi interessa veramente poco e quindi non mi soffermo oltre (purtroppo anche tra movimenti cosi detti antagonisti sembra talvolta prevalere questa tendenza e questa stupidità).
Allora proviamo ad articolare un ragionamento un po’ diverso.
La democrazia si è sviluppata in occidente con alcune caratteristiche particolari che però sono talvolta diverse nelle proprie manifestazioni.
Tentativi fallimentari
Le libertà che la caratterizzano e che provengono dalle rivoluzioni del sei-settecento (inglese, americana, francese), sono diventate ormai patrimonio culturale acquisito e assimilato anche se, sistematicamente e periodicamente, compaiono tentativi più o meno espliciti di riduzione o di soppressione di queste con diverse giustificazioni. Tentativi che alla lunga si dimostrano sostanzialmente fallimentari perché la cultura democratica diffusa è in grado di limitare quantomeno i danni e di arginare le reazioni più o meno mascherate.
Fatta questa premessa, per chiarire subito che certe teorie allarmistiche sono quantomeno improprie, occorre però considerare che le cose sono comunque in fase di cambiamento, e che le forme di democrazia non sono tutte uguali.
Che cosa sta veramente mutando e quali sono i connotati del cambiamento cercherò ora di spiegare con lo scopo principale di comprendere anche le strategie che naturalmente poi dovranno essere pensate e discusse per allargare sempre più gli spazi di libertà e autonomia individuale e sociale.
Tutto questo (forse troppo) in uno spazio ridotto e con facile comprensione per tutti.
Vediamo con ordine alcune questioni.
La democrazia parlamentare, come storicamente affermatasi, è ormai di fatto in via di ridimensionamento a favore della concentrazione di poteri nelle mani dell’esecutivo (che diventa sempre più deliberativo) e le elezioni che diventano sempre meno centrali nella determinazione delle scelte politiche ed economiche.
Questo accade in modo trasversale agli schieramenti e quindi in modo sostanziale e non sporadico. Risponde alla logica della globalizzazione delle decisioni (G8 – WTO – UE – ecc.) da un lato, dall’altro alla scelta strategica del decisionismo e del protagonismo dilagante.
Questo modello di democrazia inoltre assume sempre più i connotati di un tipo di formazione del consenso legato pochissimo all’esercizio della partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica (partecipazione che invece trova soddisfazione ampia nella vita sociale), e promuove altre forme di coinvolgimento però assolutamente strumentali.
Da segnalare anche la presenza e la potenza aumentata delle varie lobby che sono molto più garantite ed ammesse, persino teorizzate e ricercate, che determinano in modo forte le decisioni del governo nazionale ed internazionale.
La democrazia rappresentativa è in forte declino in tutti i paesi industrializzati e una fase nuova è ormai evidente. A determinare le decisioni contano molto di più delle elezioni, l’azione strutturale delle varie lobby, il ruolo carismatico e populista dei vari leader che hanno personalizzato interamente il confronto politico, e i sondaggi di opinione.
Tutto questo, credo evidente a tutti gli osservatori disincantati, non significa però che non si viva più in un sistema democratico tout-court, ma semplicemente che le democrazie moderne sono più indirizzate a creare il consenso che preoccupate di garantire il dissenso.
Postdemocrazia
Colin Crouch ipotizza, in un suo recente lavoro, che si viva in un sistema postdemocratico (C. Crouch, Postdemocrazia, Bari, Laterza, 2003). Questa definizione mi pare molto azzeccata per diverse ragioni. Innanzitutto perché quel «post» significa essenzialmente che tutto ciò di cui la democrazia è stata portatrice, le varie espressioni della libertà e le forme delle partecipazione, sono patrimonio sostanzialmente acquisito e però i poteri politici stanno, in parte lo hanno già fatto,modificando i meccanismi per la formazione del consenso.
Le recenti crisi di credibilità dell’intera classe politica (tangentopoli, scandali, ecc.) pareva, ai più sprovveduti, significare un sussulto di dignità collettiva (ed in parte sicuramente lo è stato), ma la Politica ha saputo trasformare la propria sostanza e apparenza, creando, più in sintonia con i tempi internazionali e con i meccanismi dello sviluppo del capitalismo globalizzato, nuove forme di esercizio del potere e di formazione del consenso.
È interessante notare che la deferenza verso il politico di professione, propria degli anni passati, si è oggi trasformata in un atteggiamento molto più compromissorio tra i due poli della relazione. Da una parte possiamo dire infatti che i politici manipolano sistematicamente l’opinione pubblica attraverso mezzi ben più potenti di quelli usati in un recente passato, da un’altra prospettiva di osservazione possiamo invece notare come sia sempre più importante e presente la preoccupazione di capire le opinioni dell’elettorato sempre più coinvolto mediaticamente.
La democrazia dei sondaggi, la partecipazione emotiva e simbolica propria della moderna politica, manifesta ambedue queste tendenze e trasforma sistematicamente il rapporto evidentemente delegante in un rapporto di coinvolgimento totale attraverso soprattutto una forte ed incisiva iniezione di immaginario teleguidato.
Tutti si sentono, a seconda dei casi, o imprenditori di se stessi, o comunque partecipi, se il proprio schieramento è al governo, delle scelte da esso compiute in nome dell’»interesse generale» che diventa spesso il senso più alto dietro al quale si costruiscono le scelte (in realtà non poi così diverse) tra i vari schieramenti concorrenti.
In contrapposizione a questa istituzionalizzazione della compromissione, per cui nessuno si sente più suddito ma tutti si sentono padroni, vi è solo (ma non è poco) la vitalità dell’associazionismo spontaneo, dei gruppi di self-help, che dimostrano in modo incontrovertibile che esiste una controsocietà potenziale, fondata su valori assolutamente opposti a quelli dominanti.
Dietro alla rinuncia da parte dello Stato di intervenire sempre più nella vita dei cittadini, non vi è in realtà che il tentativo sempre più chiaro di rendere sempre più indifferenti i cittadini alla vita della democrazia partecipata e la consapevolezza di coinvolgere i cittadini stessi in un modello di nuova e più subdola delega autoritaria.
Ma si tratta comunque di un’espressione della democrazia, che piaccia o non piaccia a chi preferisce parlare di nuovo fascismo o altre amenità simili. Il rapporto politico-cittadino non è più univoco ma simbiotico e quindi ben più difficile da interrompere.
Programmi elettorali vaghi e insulsi
Naturalmente da tutto ciò emergono i principali paradossi della politica contemporanea. Le tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica diventano sempre più sofisticate, il controllo sui cittadini sempre più preciso ed efficace grazie anche alle nuove tecnologie, i contenuti dei programmi elettorali e le caratteristiche dei vari partiti sempre più simili, più vaghi e confusi oltre che insulsi. E tutto questo non si può definire come politica antidemocratica o non democratica perché emana dalla preoccupazione dei politici (naturalmente strumentale) di avere una relazione con i cittadini. Allo stesso tempo è ormai insufficiente definirla democratica visto la partecipazione manipolata, passiva e rarefatta.
Siamo in un’epoca di transizione continua nella quale le tecniche del potere si stanno modificando e nella quale però «il seme sotto la neve» della libertà continua ad esistere.
È anche per questo che siamo anarchici e non democratici.
Tratto da A Rivista anarchica – www.arivista.org