di Cosimo Scarinzi *
“Mi auguro che la Commissione di garanzia consenta lo sciopero dei sindacati di base degli autoferrotranvieri programmato il 26 gennaio prossimo. Una volta per tutte, deve essere chiaro con chi stanno i lavoratori del trasporto pubblico locale”. Maria Grazia Fabrizio, segretario generale della Cisl di Milano, sfida i Cobas. Sul campo dello sciopero. Dalla sua ha l’accordo sindacato confederale – Comune che offre un’integrazione locale allo stipendio dei tranvieri. Sicura di vincere? “Non è questione di vincere o perdere. Dico semplicemente che è necessario capire se i tranvieri vogliono farsi rappresentare da un sindacato confederale che si ispira al principio della contrattazione o da un sindacato di base conflittuale… Ora è necessario rivedere il modello di contrattazione demandando molto al livello territoriale o aziendale”.
Da “Il Corriere della Sera” del 19 gennaio 2004
Angeletti, può negare che i blocchi selvaggi qualche risultato l’abbiano ottenuto? “Non durerà. Per qualsiasi sindacato, qualsiasi categoria di lavoratori organizzati, la rottura delle regole è un atto micidiale che porta ad una situazione di non ritorno: spezza il rapporto di fiducia che c’è con l’opinione pubblica”.
Fino ad ora l’opinione pubblica a volte ha dimostrato una certa comprensione.
“L’atteggiamento è destinato a cambiare. Aumenterà il senso di fastidio che c’è davanti ai blocchi improvvisi, all’assenza di preavvisi. E questo è pericoloso…”
Da “La Repubblica” del 19 gennaio 2004
Dopo l’accordo di Milano fra CGIL-CISL-UIL e Comune, la mobilitazione dei lavoratori del trasporto urbano è a un passaggio delicato e cruciale.
Come è noto, l’accordo è stato presentato come una vittoria sia dal sindaco di Milano e dagli esponenti del governo che dai dirigenti sindacali.
Come delle parti opposte o, almeno, delle organizzazioni che sono formalmente controparti, possano vincere entrambe in uno scontro sindacale di questa durezza parrebbe difficile da comprendersi se assumessimo l’ipotesi che si siano effettivamente scontrate.
Se, invece, partiamo dalla consapevolezza che l’apparato sindacale, quello del comune e il governo hanno un’unica controparte e cioè i lavoratori del trasporto urbano è comprensibile che abbiano vinto tutti se sono riusciti, ed è questo il punto, a spezzare il fronte e a separare i lavoratori milanesi da quelli delle altre province e, ad essere più esatti, i lavoratori delle aziende che hanno risorse per fare, limitate, concessioni da quelli, che sono la grande maggioranza che lavorano nelle aziende che, a livello locale, queste risorse non le hanno.
Se questo è il punto di partenza per un ragionamento non basato sulle impressioni momentanee sulla vertenza in corso, è chiaro che la stessa valutazione “tecnica” sugli esiti della vertenza milanese è importante ma non sufficiente.
È un fatto che l’accordo milanese ha ribadito lo scambio fra, limitati, aumenti retributivi e concessioni all’azienda per quel che riguarda l’organizzazione del lavoro con significativi tagli alle pause fra una corsa e l’altra. CGIL-CISL-UIL hanno, insomma, accettato la pretesa delle controparti di legare le concessioni salariali al “recupero” di produttività. Una scelta “realistica” a fronte di un sindaco ed ad un governo che si giocavano la loro credibilità politica sul non “cedere alle pretese” degli autoferrotranvieri ma, è quasi inutile sottolinearlo, di un realismo subalterno che cerca di utilizzare una mobilitazione straordinaria per ripristinare una concertazione messa a repentaglio dal governo e conta sulla struttura organizzativa per piegare e recuperare il dissenso.
La scelta del Coordinamento di Lotta degli Autoferrotranvieri di indire uno sciopero contro l’accordo e per riprendere la vertenza era, a questo punto, tanto obbligata quanto difficile e va, a maggior ragione, sostenuta.
Si tratta, inoltre, di una decisione necessaria se si tiene conto che l’avversario ha posto immediatamente in campo i dispositivi dei quali già dispone per colpire i lavoratori che hanno partecipato agli scioperi selvaggi e che si apre il solito “dibattito” sulla necessità di peggiorare la normativa antisciopero.
Lo sciopero del 26 sarà, quindi, un banco di prova della tenuta del movimento e la sfida dell’ineffabile Maria Grazia Fabrizio non può che essere accolta. Come si suol dire, i doni del nemico vanno accettati sulla punta della spada.
Vale quindi la pena di riprendere una riflessione sulla dialettica fra sindacalismo indipendente e lotte spontanee nello sviluppo del movimento.
Tutti i militanti del sindacalismo di base del settore del trasporto urbano (e non solo) con i quali ho avuto modo di ragionare nelle passate settimane hanno posto l’accento sul fatto che prima dello sciopero milanese del primo dicembre dell’anno passato non prevedevano affatto quanto sarebbe successo.
Il fatto, insomma, che la mobilitazione non sia il frutto diretto dell’intervento dei sindacati alternativi presenti nel comparto è unanimemente riconosciuto. A volte, per dirla tutta, sospetto persino che la tendenza a “svalutarsi” derivi anche da ragioni di comprensibile, prudenza a fronte della prevista repressione. Certo è che nessuno pretende che gli scioperi sono stati “merito” del sindacalismo di base. Gli scioperi, insomma, sono stati effettivamente – con l’ovvia eccezione di quello del 9 gennaio – spontanei se col termine spontaneità intendiamo non un comportamento cieco e privo di riflessione ma un’azione collettiva nella quale gli effetti eccedono le cause e che ha il carattere di fondazione di un nuovo scenario rispetto a quanto prevedevamo (spons vuole dire sorgente ed è bene ricordarlo).
D’altro canto, lo sciopero del 9 gennaio ha svolto un ruolo importante nella ripresa dell’iniziativa a livello nazionale e ha permesso un’unificazione del movimento sul livello che il movimento generale poteva sostenere mentre solo alcune località erano in grado di reggere scioperi contro la legislazione liberticida che li regola.
Il sindacalismo di base ha svolto e svolge un ruolo, da non sopravvalutare ma nemmeno da sottovalutare, di rilancio, di coordinamento, di riferimento per l’azione di massa che va al di là della sua, limitata, consistenza associativa.
Credo che, per l’essenziale, sia stato un ruolo positivo e utile. Dal punto di vista associativo, mi risulta sia in forte e reale crescita, qualche dichiarazione apparsa sui giornali è certo eccessiva ma che centinaia di lavoratori siano già passati ai sindacati alternativi è innegabile.
Che poi CGIL-CISL-UIL non scompaiano nei cieli d’Albania è altrettanto vero e non possiamo escludere che possano persino recuperare consenso ed adesioni se non subito almeno nel medio periodo. Hanno risorse, quadri, radicamento, rapporti privilegiati con la controparte che pesano e peseranno.
Non va nemmeno esclusa l’ipotesi che, di fronte alla rivolta della base, correggano il loro stile di lavoro ed integrino nell’apparato alcuni dei militanti più combattivi emersi nel corso della lotta. Non sarebbe certo la prima volta. Da questo punto di vista non mancano segnali già ora, la CGIL che propone il referendum, la pressione di rifondazione perché i militanti sindacali più combattivi restino in CGIL ecc…
È anche possibile che, dal punto di vista della rappresentanza, si costituisca un nuovo soggetto sindacale, un po’ più radicale di CGIL-CISL-UIL, che copra gli spazi che loro lasciano ma che non rappresenti altro che un concorrente. È già avvenuto in ferrovia con il COMU, prima, e con l’Orsa, poi, per fare un solo esempio. Fa, come si suol dire, parte del gioco.
Detto tutto ciò, la partita è aperta per varie ragioni:
– la logica degli accordi di scambio va battuta e gli aumenti retributivi devono essere svincolati da quelli dei carichi e ritmi di lavoro;
– l’unità della categoria è un bene importante e ci dobbiamo opporre a nuove forme di gabbie salariali;
– la battaglia contro le sanzioni è centrale, solo un accordo che garantisca il ritiro delle misure repressive e che vada nella direzione di rompere la gabbia della legislazione antisciopero è accettabile. Non dimentichiamo che quattro ferrovieri sono stati licenziati per aver pubblicamente denunciato il funzionamento allucinante delle ferrovie, che i tempi siano duri e che sia necessaria la massima solidarietà è assolutamente evidente;
– il contratto nazionale firmato il 20 dicembre dell’anno scorso, quello dei famosi 81 euro, va respinto e, comunque, siamo già nella nuova stagione contrattuale che va affrontata in una logica radicalmente diversa rispetto al passato;
– la vertenza del trasporto urbano è stata e deve essere di stimolo e di esempio ad altre categorie. Mai come in questo caso non è retorica affermare che siamo tutti autoferrotranvieri.
Sta anche a noi determinare la riuscita del giornata del 26 gennaio e operare perché la sveglia suonata dagli autoferrotranvieri non resti inascoltata.
Cosimo Scarinzi
* Articolo tratto dal settimanale Umanità Nova