“Per essere liberi…”. Così domenica scorsa, a Mel (Belluno) , un nutrito gruppo di persone ha ricordato Angelo Pellegrino Sbardellotto, il giovane anarchico fucilato dai fascisti a Roma nel 1932, per aver confessato l’intenzione di uccidere Mussolini. Aveva 25 anni.
Al secondino che gli era accanto nelle ultime ore di vita, confessò di aver avuto la possibilità di colpire il dittatore ma che rinunciò perché c’era il rischio di coinvolgere nell’attentato anche degli innocenti. E proprio su questo dettaglio, specchio della personalità del giovane emigrante, domenica si sono soffermati lo storico ed editore Giuseppe Galzerano e il sindaco di Mel Ruggero Dalle Sasse, che hanno preso la parola dopo Gianantonio Gallina del circolo anarchico di Belluno nonché cantante dei Fiori del popolo, che alla figura di Sbardellotto ha dedicato una canzone.
La breve cerimonia al parco è stata aperta da Gianantonio Gallina, che ha tratteggiato la figura di Angelo Pellegrino Sbardellotto insistendo sull’amore per la libertà e sulla scelta di mettersi in gioco fino in fondo contro la barbarie della violenza fascista e contro l’ingiustizia.
Gallina ha ricordato le solide tradizioni socialiste, ma anche anarchiche e comuniste, di quest’area del Bellunese che comprende il capoluogo e i dintorni, una terra di montagna che fu uno dei principali teatri della resistenza ai nazifascisti in Italia. Così il giovane oratore ha voluto inserire la vicenda tragica e straordinaria di Sbardellotto in questo filone dell’antifascismo che ha radici in una tensione alla libertà e alla giustizia diffusasi fin dall’800 con la crescita del movimento operaio nelle sue varie anime.
In proposito varrà la pena ricordare che ben prima della diffusa attività partigiana in Valbelluna, la zona era caratterizzata da una significativa presenza antifascista. Lo stesso capo della polizia del regime valuta, dopo un decennio di lunga e spietata repressione, che nel 1939 tra i pochissimi canali di comunicazione anarchica con l’estero sopravvissuti vi fosse quello dalla provincia di Belluno con Ginevra (accanto a quelli da Firenze e dal Valdarno con Marsiglia; dalla provincia di Livorno con New York e con la Francia; da Roma con Parigi).
Nella vicina Carnia (Udine) gli anarchici contribuirono alla istituzione della Repubblica partigiana (www.carnialibera1944.it/) che toccava anche la provincia di Belluno; tra le varie azioni cui parteciparono vi fu l’assalto alla caserma tedesca di Sappada.
Interessante, per un inquadramento storico, anche rammentare che il municipio socialista di Belluno e la locale Camera del lavoro furono tra gli obiettivi dei fascisti e delle loro spedizioni punitive nel 1921 e nel 1922. Tra i vari episodi di violenza fascista, menzioniamo il saccheggio della Camera del lavoro, il 20 aprile 1921, a opera di una squadraccia guidata dal veneziano Piero Marsich (Cfr. Mimmo Franzinelli, “Squadristi”, Mondadori, 2003, p. 237).
Il 5 ottobre dell’anno successivo si registrerà una nuova puntata fascista contro gli amministratori socialisti della città: una squadraccia guidata dal d
eputato veneziano Giovanni Giuriati occupa definitivamente il municipio bellunese e impone al prefetto di istituire una commissione di indagine sulle “malefatte” del Comune socialista. Fu la capitolazione del governo cittadino guidato dal sindaco Vincenzo Lante, socialista massimalista che poi si vedrà costretto ad abbandonare la città.
Tra lunedì 6 e martedì 7 novembre 1922 fu occupato da squadristi locali anche il municipio di Sedico, popoloso centro a pochi chilometri da Belluno, per costringere alle dimissioni l’amministrazione socialista, guidata da Luigi Cavallini e liberamente eletta nel 1920.
Significativo anche il dato degli iscritti alla federazione socialista di Belluno risultanti dalle relazioni del congresso di Firenze del Psiup (aprile 1946): con 19 mila tesserati la provincia dolomitica risultava la quinta d’Italia (la principale era Milano con 53 mila iscritti).
Alle elezioni comunali del maggio 1946 Belluno rieleggerà il suo vecchio sindaco socialista, rientrato in città, alla guida di una giunta di sinistra (Cfr. “Belluno e il sindaco Vincenzo Lante” di Ferruccio Vendramini, ed. Cierre e Istituto storico bellunese della Resistenza e dell’età contemporanea, 1999).
A questa storia si è dunque voluto richiamare Gallina nell’evidenziare la portata del gesto di questo giovane emigrante che tornò clandestinamente dal Belgio in Italia più volte per tentare di uccidere il despota sanguinario Benito Mussolini.
Anche lo storico Giuseppe Galzerano, autore di un libro sulla vicenda di Sbardellotto (pagine 502, euro 25, per info e acquisti telefono 0974.62028), ha voluto richiamarsi all’anelito di libertà respirato dall’anarchico negli anni della sua formazione. Una formazione che si completò all’estero, dalla Francia al Belgio, nell’incontro con numerosi compagni antifascisti.
Tanto che, come ha ricordato Gallina, Sbardellotto si doterà di un rimarchevole bagaglio teorico, come traspare dai suoi pochi scritti di cui si ha disponibilità.
Nel suo breve saluto il sindaco di Mel, tra l’altro, ha difeso la collocazione della stele in un parco anziché in centro storico sostenendo che quel luogo sarà sempre più un punto d’incontro con la storia locale.
Galzerano ha rievocato la vicenda di Angelo Sbardellotto e in particolare le fasi dell’arresto a Roma, del processo sommario e dell’esecuzione nei loro diversi risvolti. Lo storico salernitano ha pure sollecitato l’amministrazione comunale di Mel – dove il centrosinistra ora è passato all’opposizione – a dedicare all’anarchico anche una via o una piazza del paese, come ha già deciso di fare la primavera scorsa il Comune di Belluno.
Alla scopertura della stele ha partecipato anche l’ex sindaco socialista di Mel Emilio Isotton, ora consigliere provinciale dello Sdi.
Tra i presenti alla manifestazione di Mel c’era anche Piero Marchese, uno dei cinque consiglieri comunali di Rifondazione comunista a Belluno, promotore della proposta, già accolta, di intitolare a Sbardellotto una piazza del capoluogo provinciale.
Ora è in corso un confronto all’interno della maggioranza comunale (un centrosinistra composto da Alleanza di progresso, Margherita e Rifondazione) per stabilire quale sarà il luogo dedicato all’anarchico di Mel: probabilmente si tratterà di una nuova piazzetta nella frazioncina collinare di Mares, alle porte della città.
Ecco, infine, un articolo del circolo anarchico di Belluno sulla vicenda di Sbardellotto.
[per contatti: Circolo Anarchico “A. Sbardellotto”, Belluno, email: coord_senzapatria@yahoo.it]
LA STORIA
Mel è un piacevole e antico paese immerso nel verde della Val Belluna, dove la storia ha lasciato importanti tracce quali una necropoli paleoveneta, il suggestivo castello di Zumelle che la leggenda vuole costruito dai Goti, e il bel palazzo rinascimentale dove ha sede il municipio; ma questi luoghi hanno visto anche la nascita e la giovinezza di un cittadino, anch’egli passato alla storia, di cui per troppo tempo era stata rimossa la memoria: Angelo Pellegrino Sbardellotto, l’anarchico fucilato nel 1932 per aver tentato di uccidere il duce del fascismo.
Una storia, la sua, tragica come quella di altri attentatori anarchici alla vita di Mussolini, quali Michele Schirru, anch’egli fucilato per la stessa intenzione; Gino Lucetti, sepolto vivo nel penitenziario borbonico di S.Stefano, tristemente noto come l’Isola del Diavolo, e il giovanissimo Anteo Zamboni, selvaggiamente assassinato per strada a Bologna, vittima designata di un non mai chiarito complotto.
Lo spietato accanimento del regime e del suo capo è ulteriormente dimostrato dalla decisione di tenere per sempre nascosto, dopo l’esecuzione, il luogo della sepoltura del corpo di Sbardellotto: un gesto contrario ad ogni principio di umanità e ragionevolezza, spiegabile forse soltanto con quanto scritto da Camillo Berneri nel 1927: “Mussolini ha paura. Pena di morte, prigione, tribunali fascisti, domicilio coatto, ammonizione, diffide, arresti di massa, «se mi uccidono vendicatemi», ostaggi. Tutta questa restaurazione di leggi, di istituzioni giudiziarie e poliziesche, tutto questo minacciare rappresaglie sta ad indicare la poca sicurezza del regime”.
Infatti, come ha osservato Leonardo Sciascia, “considerando che in Italia il fascismo per pochi è stato ideologia, sistema, dottrina e per i più, specie negli anni del quasi totale consenso, mussolinismo. Morto Mussolini, il fascismo sarebbe crollato”.
Per queste ragioni il regime fascista, dopo la pericolosa azione di Lucetti e il presunto attentato Zamboni, nel tentativo di mettere fine alla lunga serie di attentati, anarchici e non, che avevano messo a repentaglio la vita del duce, il 25 novembre 1926 dello stesso anno promulgò una “Legge per la difesa dello Stato” che introdusse la pena di morte per gli attentatori al capo del Governo e dello Stato e per i delitti contro lo Stato, istituendo anche il cosiddetto Tribunale Speciale, formato con giudici appartenenti alle Forze Armate o alla Milizia su designazione personale di Mussolini, incaricati di giudicare e punire i reati di antifascismo.
Le condanne a morte pronunciate da questo Tribunale erano state aperte il 18 ottobre 1928, con la fucilazione dell’operaio comunista lucchese Michele Della Maggiora, responsabile dell’uccisione di due fascisti che da tempo lo perseguitavano; seguirono quindi altre fucilazioni contro antifascisti slavi e le impiccagioni di insorti libici decise dal Tribunale Speciale coloniale.
In totale, il Tribunale Speciale avrebbe comminato 42 condanne a morte, delle quali 31 eseguite.
Esemplare, per capire la totale subordinazione e parzialità dei giudici, resta la sentenza di morte pronunciata contro Michele Schirru in cui si affermava: “Chi attenta alla vita del Duce attenta alla grandezza dell’Italia, attenta all’umanità, perché il Duce appartiene all’umanità”.
Angelo Sbardellotto era nato il 1° agosto 1907 da una numerosa e quindi povera famiglia originaria della frazione di Villa che per sopravvivere fu costretta in larga parte ad emigrare; tale sorte toccò anche ad Angelo che assieme al padre, nell’ottobre del ’24, partì per l’estero risiedendo in Francia, Lussemburgo e infine Belgio dove lavorò come minatore. Ancora giovanissimo, secondo la testimonianza del fratello, aveva nutrito simpatie per il socialismo ed era rimasto scosso dalla vile uccisione avvenuta in paese, per mano fascista, del socialista Edoardo Mattia il 1° maggio 1922. Nonostante l’educazione al cattolicesimo e al rispetto verso l’autorità ricevuta in famiglia, il giovane Sbardellotto si avvicinò assai presto all’anarchismo attraverso sia la conoscenza di altri lavoratori immigrati politicizzati sia la lettura di libri e giornali anarchici; nel ’29 entrò a far parte del comitato anarchico di Liegi, partecipando tra l’altro all’agitazione pro Sacco e Vanzetti. Dichiarato renitente alla leva, risultò iscritto dagli organi di polizia come ricercato nella “Rubrica di Frontiera”; schedato (inizialmente come comunista) e sorvegliato sin dal ’29 come attivista sovversivo, risultava abbonato ai giornali anarchici, di varia tendenza, quali Il Risveglio, Germinal, Aurora, L’Adunata dei Refrattari, Il Monito e La Lotta Umana.
Fermato, forse casualmente, a Roma in piazza Venezia il 4 giugno 1932, venne arrestato in quanto scoperto armato e in possesso di un passaporto svizzero. Trovategli addosso due bombe rudimentali e una pistola, fu sottoposto a duri interrogatori e probabili torture in questura, dopo aver ammesso senza reticenze di essere venuto clandestinamente in Italia, eludendo per la terza volta la vigilanza poliziesca e le spie dell’OVRA, determinato a vendicare Michele Schirru con l’uccisione di Mussolini.
Più volte aveva cercato nei mesi precedenti l’occasione propizia ma, anche per non coinvolgere degli innocenti nell’attentato, aveva dovuto sempre rinunciare.
La sua volontà era stata peraltro espressa chiaramente da lui stesso in una lettera, datata 27 aprile 1932: “…Non v’è possibilità di scelta. Per essere liberi bisogna abbattere la tirannia. Per costruire domani un nuovo ordine in cui tutti possano godere i frutti del loro lavoro e liberamente esprimere il proprio pensiero, bisogna distruggere oggi tutte le ingiustizie che lo rendono impossibile”.
Subito dilagò un’infame campagna di stampa, premessa necessaria per la sua condanna a morte, che ebbe a definirlo con appellativi quali “ceffo criminale”, “assassino prezzolato”, “sciagurato sicario”, “uomo divenuto straniero in patria”. Durante il processo farsa, i cronisti riferiranno del suo “sguardo bieco e sinistro” e nel descriverlo secondo logica lombrosiana s’inventarono pure che aveva la fronte bassa.
Allo stesso tempo il suo gesto venne messo in correlazione con il fuoriuscitismo antifascista in Francia, ipotizzando cospirazioni e trame internazionali.
L’udienza davanti al Tribunale Speciale si dimostrò una macabra formalità: iniziò alle ore 9 del 16 giugno ’32 e si concluse con il previsto verdetto di condanna a morte dopo appena due ore: l’intenzione era già un delitto.
Sbardellotto rifiutò di presentare incoerenti quanto inutili domande di grazia e quindi l’indomani mattina veniva fucilato, alla schiena, da un plotone della Milizia presso il Forte Bravetta a Roma, luogo che durante la Resistenza sarebbe stato teatro di altre fucilazioni di anarchici e partigiani. Pochi istanti prima era toccato al repubblicano Domenico Bovone, anch’egli condannato a morte per aver compiuto alcuni attentati contro il regime.
Anni dopo, nel ’38, il biografo del duce Yvon De Begnac attribuirà a Mussolini il proposito di aver voluto graziare Schirru e Sbardellotto per il loro coraggio -ma non Bovone considerato un terrorista intenzionato a fare stragi- a patto che questi gli avessero chiesto clemenza.
Se ciò risponde a verità, la risposta oltre che nel fermo atteggiamento di Sbardellotto, la si può trovare in un articolo intitolato “Gloria ai martiri, morte al tiranno, L’abisso invoca l’abisso”, comparso il 25 giugno 1932 su Lotta Anarchica, il quindicinale dell’Unione Comunista-Anarchica dei Profughi Italiani: “gli anarchici, non per principio ma per necessità vitali e di giustizia, tra la violenza che invoca e la violenza invocata accettano la seconda e illegalmente la praticano rigettandone la responsabilità di qualsiasi conseguenza su chi la violenza esercita «legalmente».”
Innumerevoli furono le spontanee espressioni di solidarietà umana e politica che la polizia politica fascista dovette registrare nel Regno a favore dell’anarchico di Mel; un bracciante padovano venne persino denunciato per aver predetto, in un’osteria, “A Sbardellotto faremo un monumento”.
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Fonti utilizzate:
– Dizionario biografico degli anarchici italiani, BFS, Pisa 2004, Volume II, ad nomen;
– Giuseppe GALZERANO, Angelo Sbardellotto. Vita, processo e morte dell’emigrante anarchico fucilato per l’intenzione di uccidere Mussolini, Galzerano ed., Casalvelino 2003;
– AA.VV., L’anarchico di Mel e altre storie, Cierre ed., Sommacampagna 2003;
– AA.VV., La Resistenza sconosciuta. Gli anarchici e la lotta contro il fascismo, Zero in Condotta, Milano 2005;
– Leonardo SCIASCIA, Prefazione, in Vincenzo RIZZO, Attenti al duce, Vallecchi, Firenze 1981;
– Camillo BERNERI, Mussolini «normalizzatore» e Il delirio razzista, Archivio Fam. Berneri, Pistoia 1986.