Come i frequentatori di Nonluogih.it avranno notato, in queste settimane stiamo cercando di far riprendere quota al dibattito attorno al tema del potere e della democrazia. Fu anche l’argomento del penultimo incontro di Nonluoghi, svoltosi l’estate scorsa a Bolsena, al quale parteciparono tra gli altri il compianto Nino Recupero e Sandra Carrettin, che poco dopo avrebbero pubblicato con le nostre edizioni “A chi il potere? Dialogo sulal democrazia, oggi”. All’indomani di quell’incontro ci fu un breve scambio di opinioni, un mini-forum online che qui riportiamo.
Carissimi, vi scrivo poche righe per inaugurare questo nostro forum per pochi intimi, sulla scia delle due belle giornate di Bolsena.
La stanchezza enorme mi lascia un po’ di lucidità, sufficiente a rendermi conto di aver trascorso due giornate preziose per le relazioni con le persone e per il confronto sui temi cha abbiamo cercato di affrontare.
Come vi ho scritto poco fa via email, spero che la riflessione su quei temi possa proseguire nel nostro sito, insieme con altre osservazioni da rendere pubbliche.
Vi ricordo che, per rendervi le cose più semplici, ho pensato di aprire una casella email dedicata solo alla ricezione dei vostri interventi da pubblicare in Nonluoghi.it:
scrivete all’indirizzo: articoli@nonluoghi.net.
Sull’incontro di Bolsena, in attesa di mettere insieme un po’ di appunti e di ricevere le impressioni di chi vorrà scriverle qui nel forum.
Mi limito ora a mettere per un attimo in evidenza un punto di tensione dialettica che mi pare non abbiamo avuto il tempo di sviscerare come probabilmente meritava.
Mi riferisco ovviamente alla casa che brucia.
Senza dilungarmi inutilmente, desidero per ora soltanto osservare che forse è soltanto apparente la contraddizione tra una riflessione un po’ da utopisti nel nome della democrazia partecipata e l’impegno a spegnere il rogo dei principi fondamentali della nostra convivenza democratica.
Purtroppo quel fuoco divampa da tempo, quei principi erano a rischio e calpestati da tempo (alcuni mai rispettati fino in fondo nella storia della repubblica); adesso le fiamme hanno raggiunto e minacciano alcuni dei tessuti più sensibili e delicati dell’organismo democratico e giustamente ci si mobilita.
Ma a consentire la rapida diffusione delle fiamme devastatrici è stata anche – e soprattutto – proprio l’assenza di un’attenzione verso la questione democratica. Un’attenzione teorica e pratica; fatta di pragmatismo e di utopia.
Credo che il vuoto di elaborazione politica che per troppi anni ha segnato le nostre società sia una chiave interpretativa primaria di fronte allarmante scenario della casa che brucia.
E sono convinto che se questa situazione – l’assalto sguaiato ai diritti e ai doveri costituzionali – è l’emergenza, essa non può essere affrontata senza alzare ogni tanto lo sguardo sul territorio, senza confini e senza dogmi, dell’utopia. Il rischio, altrimenti, è di fare la fine penosa della sinistra italiana d’oggi (i vari D’Alema, Fassino, Rutelli…), cioè di ripromettersi al massimo di governare al meglio l’esistente (non prima, naturalmente, di aver interiorizzato l’aziendalizzazione del reale di cui si parlava a Bolsena).
A chi le chiedeva se dedicarsi alle utopie non fosse tempo perso, Luce Fabbri rispondeva che l’utopia, in quanto frutto del pensiero, esiste, è parte di noi e in quanto tale va coltivata.
A mio modo di vedere, va coltivata con ancora maggiore convinzione quando la casa brucia: spegnere le fiamme è urgente; ma non può bastare. Ricostruire la casa com’era prima non può bastare: se bruciava avrà avuto qualche problema strutturale, non mi pare si possa addebitare tutto ai soliti piromani e alla carenza di prevenzione antincendio.
La totale assenza dei temi centrali della questione democratica ed economica dall’agenda dei nostri mass media è lo specchio di un vuoto politico che non si può riempire soltanto con le sacrosante denunce della banda di malfattori (altro che quelli di un secolo fa…) che nella legge trovano incoraggiamento.
Non mi pare sia conveniente per chi ha a cuore le idee di giustizia, eguaglianza, democrazia, ridurre il confronto politico a una battaglia sui temi evocati dal comportamento scandaloso delle lobbies economico-politiche che ci governano.
Ne risulta, infatti, un grande polverone dal quale, alla fine, comunque vada, escono sconfitte le idee di trasformazione istituzionale che non siano metabolizzabili dal paradigma del sistema di dominio. Ci si ritrova sempre a rincorrere e a tamponare; a chiudere una falla mentre se ne aprono altre tre.
La questione, a mio modo di vedere, è se e come e quando possa coniugarsi la lotta per l’emergenza del turare le falle con la riflessione e l’azione rivolta al’utopia della democrazia partecipativa nelle sue varie ramificazioni politiche ed economiche.
Eppure il principio democratico o una sua variante “anarcodemocratica” tutta da esplorare dovrebbe spingere gli individui e le comunità a formulare proposte alternative per la soluzione di questioni piccole e grandi; la destrutturazione di reti di potere e dei loro punti di alta concentrazione, la costruzione di nuove modalità per la gestione democratica delle organizzazioni, vale a dire una semina continua di democrazia che è l’unico sistema di prevenzione antincendio che a mio parere potrebbe funzionare.
Non il sommo custode della Carta costituzionale (che nel nostro caso sembra piuttosto assopito e anche se lo svegliamo forse si riaddormenterà) ma un ripensamento delle reti di garanzie sui diritti di cittadinanza potranno aiutarci a camminare verso l’utopia allontanandoci dall’emergenza. Un ripensamento faticoso, in uno scenario sociale che non è fatto di idioti (altro tema toccato a Bolsena), anzi, i più mostrano chiaramente di essere dotati di strumenti sufficienti per ricoprire quantomeno il ruolo di primo ministro (discutono con intelligenza di calcio, si dilungano in analisi articolate del profondo travaglio emotivo della Canalis e di Vieri, ma si inalberano anche di fronte a questioni più serie, quando non sono instupiditi del tutto da politici e mass media). Tuttavia, questa umanità è stata a dir poco scoraggiata dal partecipare; se mi guardo attorno (anche qui al giornale, dove sono sindacalista di base), vedo molti democratici riluttanti: galleggiano spensieratamente e non hanno voglia di essere coinvolti nelle decisioni; salvo poi incazzarsi se si sentono all’improvviso defraudati del loro diritto di decidere…
Scusatemi, mi sto dilungando troppo e avrei ancora moltissimo da scrivere, anche su alcune idee per proposte di riformismo “rivoluzionario” ad esempio nel settore dei mass media e delle comunicazioni.
Spero che queste poche e confuse righe possa servire, almeno, a far proseguire la nostra piccola discussione.A presto,
Zenone
Caro Zenone, cari non-luoghisti,
ottima l’idea di discutere in forum. Prometto una riflessione o più. Per il momento lasciatemi esprimere solo la sorpresa molto piacevole di aver incontrato un gruppo di elevata attività intellettuale, tale da costituire potenzialmente una vertebra di ceto dirigente. Mi aspettavo un pugno di anarchici, invece ho avuto più l’impressione di trovarmi tra le pagine di “Giustizia e libertà” settant’anni or sono, ma con gente giovane, attiva e vivente.
Spero che la mia tendenza a chiaccherare un po’ troppo non sia apparsa “prevaricatrice”.
A prestissimo
—–
Cari nonluoghisti
Il fatto è che io non sono tanto d’accordo sul fatto che “la casa brucia”. Ovvero: siamo nel cuore di una crisi grave, molto grave; ma non credo che l’esito sia il rogo generale. Quello che potrei dire a sostegno della mia visione è puramente epidermico (fatti che possono essere contestati da altri fatti), perciò varrà la pena di intrecciarlo con qualche considerazione generale. Intanto si potrebbe rilevare che metà dell’Europa è in situazione politica affine alla nostra. Poi, che il regime liberal-parlamentare ha attraversato altre crisi (1948-53, fra attentato a Togliatti e legge truffa; 1969-79, fra Piazza Fontana, terrorismo di stato e terrorismi vari). Queste crisi sono state superate. Il modo di superarle, ovviamente, ha lasciato i suoi segni, che sommandosi come cicatrici su di un corpo costituiscono la nostra identità.
A voler essere rigorosi, si può fare tutta la storia: 1871, quando le mene della polizia romana incolpano gli anarchici di presunti progetti eversivi e fanno cadere il governo democratico di Benedetto Cairoli; la crisi 1891-96 tra Fasci siciliani, scandalo della Banca romana e disfatta in Africa con la caduta del governo Crispi; la crisi di fine secolo, che ebbe uno sbocco democratico. In tutti questi casi (e la storia della Francia è analoga) la crisi è sempre stata un salutare banco di prova. Tutto dipende dalla volontà, dalla preparazione e dall’adeguatezza dei cittadini e delle forze in campo.
L’avvento del fascismo nel 1922 lo dimostra e contrario nel senso che un governo pesantemente autoritario, ma pur sempre costituzionale, si trasforma dopo la crisi Matteotti nel 1924 in una dittatura, perché un pieno di volontà di potere da parte dei violenti si contrappose a un vuoto delle forze liberali socialiste e cattoliche che non riuscirono non dico ad abbattere Mussolini ma nemmeno a dialogare tra loro: l’Aventino. Quest’ultimo tratto, il vuoto delle opposizioni, caratterizza in gran parte anche la nostra situazione presente. Ma non siamo in uno stato di conflitto sociale, economico e militare violento come nel primo dopoguerra.
Il fatto è che io sono convinto che la democrazia sia una entità vivente. Cioè, nessun insieme di leggi, regole e costituzioni può fare, di per sé, la democrazia. Questa vive nei cittadini che fanno valere i propri diritti e i propri bisogni, a prescindere da quali diritti e bisogni siano scritti sulle Sacre Carte. Intendo: quando i cittadini parlano, obiettano, protestano, la democrazia è viva; altrimenti, dorme. Uno stato di equilibrio non si raggiunge mai, se non per breve tempo, perché anche quando siano stati soddisfatti tutti i diritti, il muoversi della società e l’alternarsi delle generazioni ripropongono nuovi problemi.
Perciò, non mi preoccupa oggi tanto ciò che l’attuale governo statuisce e conquista per sé e per le sue cricche; mi preoccupa il (relativo) silenzio dei cittadini, che in grandi masse sembrano acquiescenti.
Sembrano: perché l’acquiescenza va spiegata, socialmente e culturalmente. Gran parte del razzismo leghista, come da copione, è l’espressione di strati umili della nostra società che hanno appena raggiunto i benefici della sicurezza, della pensione, della villetta, e che vivono nel terrore di venire spiazzati da questi benefici assistenziali per colpa di strati di immigrati ancora più umili. E’ anche ovvio che dal momento in cui viene fondato il primo circolo e stampato il primo giornale razzista, l’idea si consolida e, in parte, inizia a camminare con gambe proprie, presentandosi come una entità autonoma. Non c’è idea tanto stupida o assurda che non trovi qualche seguace. Ma pochi seguaci non fanno pericolo, è solo quando l’idea si sposa con uno strato sociale, con un bisogno collettivo, che essa diventa veramente un soggetto politico.
Scusate queste banalità; le ripeto per sottolineare che io non credo che la maggioranza della gente sia stupida e perciò facile da imbonire per televisione. La gente (come “massa”) sceglie sulla base dei propri interessi o bisogni. Ma l’aspetto mediatico e culturale è decisivo, perché è grazie ad esso che una determinata idea, come sappiamo, si autonomizza, si rafforza, si afferma, e crea l’illusione di essere una entità reale capace di camminare da sola nel mondo. Così, già da tempo, le religioni… (Ammetto: questo che ho detto viene da Karl M.).
Perciò a Bolsena ho insistito tanto sul fatto che mi sembra utile ingaggiare una “battaglia” ( = studiare, capire i meccanismi, parlare) sul tema dei media. E questo è il lavoro che ancora propongo.
Scusate la lungaggine, il vostro Orepucer.
Cari nonluoghisti,
mi fa molto piacere ricevere il messaggio di Zenone e l’invito a partecipare a una discussione virtuale. Confesso che l’altro giorno, dopo l’incontro di Bolsena, non ero molto soddisfatto. Si è iniziato a parlare di questioni “teoriche” che riguardano le coordinate generali in cui ci muoviamo e gli scopi ultimi della nostra azione politica o culturale. Poi però molti di noi hanno preferito evitare di confrontarsi su temi di cui sanno poco e dirigersi in acque più conosciute: si è parlato allora di impianti petroliferi, di obiettivi politici del movimento no global ecc. Va benissimo, intendiamoci, sono tutti argomenti interessanti e importanti, ma il nostro gruppo non è né un comitato per l’aria pulita, né semplicemente una costola dei no global. Personalmente avrei preferito parlare di temi più generali, per esempio: i limiti della democrazia rappresentativa (che non riesce ad essere niente più di una accettabile procedura con cui prendere le decisioni politiche); o il rapporto tra etica e politica (esiste un modo etico di impegnarsi in politica o hanno ragione i “realisti” – da Machiavelli a Sartre – e c’è solo da sporcarsi le mani?); e se ne potrebbero trovare molti altri.
* * *
Non mi sembra un caso che Zenone, nel suo intervento “inaugurale” del forum proponga proprio uno di questi temi generali di cui parlavo: il rapporto tra l’impegno per spegnere le fiamme della “casa che brucia”, da un lato; e dall’altro la riflessione teorica sugli scopi ultimi dell’azione e, per dire così, sull’ottima repubblica.
A me sembra evidente che il primo e la seconda siano legati tra loro e mai si possa sacrificare l’uno a favore dell’altro. Però non ci si può nascondere che una certa “tensione dialettica” tra le due prospettive esiste come ha dimostrato la nostra discussione. Da una parte c’è chi vorrebbe che tutte le energie andassero a spegnere l’incendio, questa la si potrebbe chiamare per semplicità la prospettiva del pompiere; dall’altra, c’è chi crede che la forza lenta delle idee coltivate, vissute e testimoniate valga molto di più di qualsiasi azione pompieristica; questa la si potrebbe chiamare la prospettiva del tarlo che rosicchia lentamente la mentalità e le istituzioni dominanti.
Fare i pompieri dà molta soddisfazione, si ha l’impressione di lottare concretamente contro e per qualcosa. Il ragionamento del pompiere – lo sappiamo – è questo: come si può stare a guardare quando la casa brucia? Ognuno deve prendere i secchi e darsi da fare. Non ho obiezioni al ragionamento del pompiere; osservo però che questo atteggiamento è esposto alle dure repliche della storia. Quante battaglie si sono fatte, diciamo, dalla rivoluzione del 1905 a oggi e sono state quasi tutte perse. La storia del socialismo (per non parlare dell’anarchismo) è stata in gran parte storia di catastrofi; certo ci sono state anche importanti conquiste, soprattutto nella seconda metà del Novecento, e non sono da sottovalutare. Ma sono sempre stati e continuano a essere gli interessi di pochi a contare davvero, si è continuato e si continua a fare la guerra, i diritti politici e sociali sono sempre stati e oggi sono più che mai in odore di revoca, per non parlare dello stato di salute della democrazia. So bene che è sbagliato buttare il bambino insieme all’acqua sporca, che le lotte socialiste hanno anche avuto esiti apprezzabili e che, come diceva Kant, dal legno storto dell’umanità non può venire mai nulla di dritto; ma quello che mi preme sottolineare è che il pompiere si trova molto spesso a vedere l’incendio che si fa beffe di lui e a prosperare malgrado le sue secchiate. Sia chiaro che questo non è un argomento che giustifica l’inerzia, non è cioè una ragione per non prendere in mano il secchio e la pompa idraulica (se l’abbiamo); ma bisogna essere coscienti che si tratta di una lotta impari (Camus parlava di “assurdo” a questo proposito).
Diversa è la prospettiva del tarlo: se di fronte all’incendio il pompiere si butta contro il fuoco, il tarlo si ritira, studia, lascia che la casa bruci; solo più tardi, quando gli sembra possibile, prova a mettere dei semi nelle ceneri, sperando che siano ceneri fertili e che possa crescere qualcosa. Ma anche in questa fase il suo ruolo è tendenzialmente defilato, fuori dalla mischia. Il limite dell’atteggiamento del tarlo è evidente: lascia che la casa bruci, non fa nulla di concreto per salvare ciò che merita di essere salvato. E’ del tutto incapace di fronteggiare una situazione concreta, figuriamoci un’emergenza! Non solo, anche il tarlo, come il pompiere, non è affatto immune alle dure repliche della storia: da Socrate in avanti la storia degli intellettuali è storia di individui ignorati, derisi, o imprigionati e uccisi per le loro idee. Spesso i semi che hanno piantato nella cenere della casa bruciata non hanno prodotto proprio niente o qualche volta, addirittura, hanno prodotto mostri che non erano affatto nelle loro intenzioni (penso a Marx e allo stalinismo o a Fichte e al nazismo). Altre volte però quei semi sono germogliati e hanno lentamente eroso imperi che sembravano invincibili. Questo è il punto di forza della strategia del tarlo: sul lungo periodo le sue idee possono fiorire, espandersi, entrare nelle teste della maggioranza e tradursi in realtà nella sfera politica e sociale. Gli aspetti migliori della Rivoluzione americana, francese e russa, dell’antifascismo italiano, della democrazia occidentale sono tutti stati preparati da un lavoro lento e sotterraneo di tarli liberali, illuministi, socialisti, ecc. Senza quel lavoro la storia sarebbe davvero stata diversa.
Se quello che scrivo è vero, la questione se dobbiamo essere pompieri o tarli diventa abbastanza irrilevante: è ovvio che dobbiamo essere entrambe le cose e che dobbiamo superare quella “tensione dialettica” che abbiamo avvertito a Bolsena. Ognuno sarà più tarlo o più pompiere a seconda delle proprie inclinazioni, ma entrambi sono necessari. Senza il pompiere la casa brucia, ma senza il tarlo non siamo in grado di costruirla in modo che resista ai piromani o ai distratti che lasciano il gas aperto.
Tarlino (così si capisce da che parte vorrei stare)
Cari tutti,
l’aspetto più interessante di quanto vedo scritto nel forum credo sia il senso di identità, di gruppo che emerge dalle vostre/nostre riflessioni. Benché non sia io stesso in una serena fase socievole della mia vita, amo l’idea del gruppo che si incontra e che riflette, che elabora, discute e affronta, anche con una certa veemenza, temi di un certo rilievo.
Se mi permettete questa breve digressione, direi che a Bolsena, rispetto agli altri incontri, si è fatto un passo avanti. Un avanzamento non solamente dato dalla presenza di persone nuove e ben preparate, quanto piuttosto dalle linee di discussione che sono emerse durante l’incontro e soprattutto dalla possibilità di articolare, anche se ancora in modo rapsodico, una produzione di pensiero che non sia chiacchiera o mero raccontarsi. L’identità di gruppo, poi, è ulteriore elemento che rende possibile l’avanzamento di cui sopra.
Nonluoghi, come la parola stessa pare far riferimento, è qualcosa in movimento, in metamorfosi continua, che però diviene di volta in volta luogo di discorso proteso verso un luogo possibile.
Tarlino dice bene, quando sostiene che non siamo un comitato e nemmeno una costola del movimento no global (o alter global che dir si voglia), tuttavia è bene che anche durante la riflessione teorica si aggiungano esempi per portare la discussione su quel piano di concretezza che rende le difficoltà più visibili e più sentite. Ciò non significa condurre il discorso su una questione personale, quel caso particolare che è il mio e che mi fa star così male. In questo modo, è vero, la riflessione faticherebbe a procedere e rischierebbe di arenarsi.
Ciò nonostante, durante l’incontro di Bolsena mi sembra che siano emersi alcuni punti, per altro poco approfonditi, che hanno il pregio di inquadrare bene la situazione attuale. Oltre alla “casa che brucia” (questione che non convince Orepucer e in un certo senso la cosa ci può anche rincuorare, dal momento che il grigiore della chioma si accompagna a esperienza e conoscenza), le cui alte fiamme si son viste anche in questi giorni con la “soluzione” del conflitto di interessi, la discussione ha preso di mira, a mio parere, la necessità di una riflessione adeguata sulle tematiche dell’ambiente (inteso come parte dell’essere stesso dell’uomo e non come qualcosa di contrapposto e quindi la sua minaccia è la minaccia di noi stessi) e il ruolo che la cosiddetta società civile (intesa come associazioni, gruppi, comunità locali, ecc. che non partecipano al potere e che da esso si distinguono) potrebbe avere nella elaborazione e applicazione di quei correttivi dei meccanismi decisionali. Come esempio per un allargamento dal basso della partecipazione ai meccanismi decisionali si accennava alle comunità locali che decidono sulla problematica di un corso d’acqua.
Questi correttivi, così come la revoca del mandato, sono sembrati, ed è stato detto, poca cosa rispetto alla complessità della situazione che stiamo vivendo è generalizzata e non circoscrivibile al solo caso italiano (anche se dobbiamo affermare che il nostro piromane di fiducia ce la mette tutta per mettersi in mostra).
Così, non a caso un altro aspetto della nostra discussione ha fatto emergere la necessità di una considerazione globale di ciò che stiamo vivendo. E questo non solo in termini di delocalizzazione del lavoro e necessità di garanzie sui minimi di base, ma anche su tutti gli altri aspetti della deriva globalistica. Qui si è potuto inserire il discorso su Genova e il movimento. Tra l’altro, le considerazioni svolte mi sembra proprio avvalorino le percezione che era circolata sulle pagine di Nonluoghi prima dell’incontro di Genova, ossia non accettare la trappola genovese.
Che Nonluoghi sia su una qualche buona strada per capire, quanto meno, cosa stiamo vivendo? Potrebbe essere. Ciò che è certo è che una delle idee di fondo di Nonluoghi e del suo ideatore raccoglie in pieno quel tipo di battaglia cui si riferisce Orepucer nel suo messaggio.
Con sincero affetto a tutti,
Osservatore
Cari partecipanti a questo forum,
con la suggestiva immagine della casa che brucia, l’amico Zenone visualizza la profonda crisi di valori che tutti oggi stiamo attraversando. Una crisi – direi – di ogni tipo di ‘valore vero’: lealtà, onestà, solidarietà, educazione, morale… ai quali – mai come oggi – stanno sempre più prendendo il posto i ‘valori falsi’, cioè il potere e il danaro.
Mi chiedo quanto calzi questa immagine delle fiamme. Se una casa brucia ci vogliono i pompieri che la spengano, cioè un intervento esterno che risolva la situazione.
Purtroppo a me sembra che la cosa sia ben più complessa, perchè anche se ‘qualcuno’ riuscisse a spegnere l’incendio, ci sarebbe sempre il problema del dopo-incendio.
Mi spiego: in Italia abbiamo questa situazione di estrema anomalia che è il berlusconismo. Ogni persona onesta (anche di destra…) non può negare che l’essere governati dal ‘padrone di tutto’ sia un problema non indifferente.
Innanzitutto – quindi – ci vogliono dei pompieri che spazzino via questa fiamma anomala… e per ottenere questo è sufficiente che tra 2 anni gli italiani non ripetano l’errore madornale che fecero nel maggio del 2001… (sbagliare è umano, perseverare è….).
Ma spegnere l’incendio-berlusconi non basta. Infatti basta guardare al di fuori dei nostri confini per vedere che questa crisi di valori tocca molti, troppi altri Paesi, non governati da un Berlusconi, e neppure da un governo di destra.
Allora cosa fare? La realtà è ben più dura che un semplice incendio…. la realtà è che il mondo è veramente cambiato, e questo cambiamento ha spazzato via tutto (o quasi….) lasciandoci solo (o quasi…) i falsi valori.
Cosa ci resta dunque?
Per fortuna ci resta ancora quel ‘quasi’… quindi c’è ancora speranza.
Ma tutto dipende da ognuno di noi.
Cordiali saluti,
Federico (Oslo, Norvegia)
Ciao a tutti,
ritengo che il web sia il luogo ideale per discutere e confrontarsi su questi temi, perchè ha tutto quello che nel mondo reale in genere non c’è: spazio infinito, tempo, e soprattutto parità di condizioni.
quote:
Cari nonluoghisti
Il fatto è che io non sono tanto d’accordo sul fatto che “la casa brucia”. Ovvero: siamo nel cuore di una crisi grave, molto grave; ma non credo che l’esito sia il rogo generale. Quello che potrei dire a sostegno della mia visione è puramente epidermico (fatti che possono essere contestati da altri fatti), perciò varrà la pena di intrecciarlo con qualche considerazione generale. Intanto si potrebbe rilevare che metà dell’Europa è in situazione politica affine alla nostra. Poi, che il regime liberal-parlamentare ha attraversato altre crisi (1948-53, fra attentato a Togliatti e legge truffa; 1969-79, fra Piazza Fontana, terrorismo di stato e terrorismi vari). Queste crisi sono state superate. Il modo di superarle, ovviamente, ha lasciato i suoi segni, che sommandosi come cicatrici su di un corpo costituiscono la nostra identità.
Concordo sul fuoco fatuo che circonda la casa.
Il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza.
Penso che in queste parole risieda uno dei pilastri della società moderna e democratica.
Il loro significato indica che non si può mai fidarsi di chi detiene il potere, che ci si deve sempre confrontare, all’infinito, senza
sosta.
Altrimenti la casa sarà divorata da un incendo tanto rapido che in un attimo non resterà più nulla.
Un buon esempio di ciò può essere la Germania Nazzista, dove una giovane e ancora ingenua esperienza repubblicana si è “fidata” più del dovuto.
Mario
Risposta a Tarlino
Cari Nonluoghisti
vorrei riferirmi al messaggio di Tarlino, che mi ha molto colpito
Le due categorie da lui evidenziate sono largamente condivisibili, e io non ho alcuna vergogna a dichiararmi sicuramente più simile al pompiere che al tarlo. Ho la vocazione dell’attivista, più tendente all’azione che non all’approfondimento e alla teorizzazione.
Tuttavia penso che non sia giusto insistere su questa categorizzazione, e sull’attestarsi in due diverse e opposte identità. Penso che se tanto attivismo produce così pochi risultati sia proprio dovuto al problema dell’identità, a un malinteso senso di identità che spezza i canali di comunicazione e spesso di comprensione alle due fondamentali e inscindibili categorie.
Gli attivisti-pompieri si agitano parecchio, ma spesso si muovono in direzioni sbagliate, confuse, producendo pochi risultati e utilizzando modalità che allontanano i cittadini comuni, piuttosto che invogliarli a unirsi. Si prestano quindi ad essere strumentalizzati dai poteri che avversano, diventando facili bersagli invece di diventare autorevoli controparti.
Gli intellettuali-tarli a loro volta parlano un linguaggio talvolta difficile che crea distanza con il cittadino comune, che crea complessi e diffidenza, che parla di realizzazioni impossibili, lontane, inimmaginabili, risultando nella migliore delle ipotesi dei mattacchioni visionari, nella peggiore degli altezzosi sapientoni.
Indubbiamente nessuno di noi è completo e nessuno di noi può fare e sapere tutto di tutto. Però dovremmo cercare di dialogare tra pompieri e tarli, dovremmo cercare canali di comunicazione, dovremmo contaminarci (scusate il gergo movimentista), pensare e agire insieme, confrontarci, scegliere insieme le modalità di azione del pompiere, e ridimensionare le prospettive mentali dei tarli. I pompieri devono sforzarsi a pensare, e i tarli devono vincere la loro ritrosia ad agire.
In un mondo di uomini che agiscono senza pensare, non c’è emancipazione che possa realizzarsi. Nello stesso modo in cui non ci sarebbe emancipazione in un mondo fatto di sole intenzioni, irrealizzabili e irrealizzate.
Io voglio credere che un’interazione tra pompieri e tarli possa produrre quelle alternative al sistema che da una parte servirebbero ad attirare e convincere i cittadini comuni non militanti, e che dall’altra potrebbero essere utilizzate su basi teoriche per alzare ancora il tiro e mirare a qualcosa di ancora migliore. Questi mondi alternativi dovrebbero essere abitati dalle due categorie insieme, si dovrebbe respirare in essi la forza propulsiva ma non incontrollata creata dal patto tra le due categorie.
A Bolsena quest’aria c’era, attorno allo stesso tavolo convivevano le due forze, ed è sull’avvicinamento e sul dialogo tra di esse che si gioca secondo me una concreta possibilità di cambiamento.
Se non cominciamo noi, qui, adesso, ci releghiamo di nuovo, in qualche modo, a una visione di classe, “specialistica”, di casta, di albo professionale, di delega, che è proprio quanto abbiamo dichiarato di avversare.
Camilla
Sono assolutamente d’accordo su quanto dice Camilla. Non vorrei aver dato l’impressione di voler costriure un muro tra tarli e pompieri. Esempi di collaborazione tra i due ci sono. Mi riprometto di scrivere(con calma)qualcosa sul modo in cui Gandhi impostava la lotta, saldava mezzi e fini e rendeva possibile il superamento del fossato tra tarli e pompieri.
Tarlino
Ciao a tutti,
mi pare che alcuni dei nodi critici emersi nella sincera e divertente discussione di Bolsena fossero i seguenti:
1. come articolare interpretazione ed iniziativa politica concreta in un mondo sempre più attraversato e gestito da poteri di controllo incardinati
su complessi saperi tecnici; come rendere possibile un processo democratico razionale per risolvere la pluralità di drammi evitabili associata allo sviluppo capitalistico?
2. quale comunicazione e proposta divengono effettivamente percorribili in un mondo nel quale i drammi implicano laceranti conflitti tra le molteplici
vittime dei processi in atto? Va bene continuare nell’ottica (mediaticamente efficace, ma auto-paralizzante sul piano dell’azione) di new global, ma
anche della più parte della sinistra istituzionale, a lasciare nella latenza per non dire ad occultare tali conflitti (tra lavoratori collocati in basso
nella gerarchia sociale ed extracomunitari – nuovo esercito industriale di riserva, ambientalisti e sindacalisti, consumatori e lavoratori, ecc.)?
evidentemente no, ma, qualora lo si accetti, allora vale quello che personalmente (ma potrei sbagliare) vivo come un pesante deficit (anche solo
teorico – perché anche in accademia i problemi vengono frazionati secondo logiche che inibiscono la comprensione delle interconnessioni maligne) anche solo nel reperire riferimenti ed esperienze nelle quali le contraddizioni in parola vengano ridotte ad un minimo, all’interno di un processo di
partecipazione democratica alle scelte collettive.
3. quali istituzioni di regolazione e controllo a livello sovranazionale sono auspicabili?
4. mi pare che abbiamo trascurato il problema dell’evoluzione tecnologica e dei rischi ad essa connessi: si veda in part. (per chi ne ha la voglia)
l’interessantissimo, brillante ed utilissimo testo di David Lyon (2002), la società sorvegliata, Feltrinelli,Milano.
un caro saluto, col solito senso di disperazione attiva,
Piter
Da Mario:
quote:
Ciao a tutti,
mi pare che alcuni dei nodi critici emersi nella sincera e divertente discussione di Bolsena fossero i seguenti:
1. come articolare interpretazione ed iniziativa politica concreta in un
mondo sempre più attraversato e gestito da poteri di controllo incardinati
su complessi saperi tecnici; come rendere possibile un processo democratico
razionale per risolvere la pluralità di drammi evitabili associata allo sviluppo capitalistico?
Queasta domanda mi interessa molto, perchè essendo un tecnico, un appassinato di scienza e tecnologia e lavorando nel settore informatico, la mia esperienza è abbastanza ricca di esempi che coinvolgono persone “normali” e la tecnologia.
Specialmente il mondo dell’informatica per il suo aspetto duale di immediatezza, nell’accesso agli strumenti tecnologici e nella necessità di utilizzarli, e la complessità intrinseca di questi strumenti, il fenomeno che vede l’uomo moderno opposto alla tecnologia emerge più lampante che in altre circostanze.
Se ci pensate bene è un bel paradosso che l’uomo sia contrario a ciò che lo rende più libero e meno in balia degli umori di madre natura.
In realtà questa avversione nasce da una estraneità dell’uomo della strada verso i temi scientifici e tecnologici. Una caratteristica che lo rende continuamente e progressivamente sucube della tecnologia che soverchia le gerarchie e prende il controllo dell’uomo.
E qui intrecciamo un altro paradosso: la tecnologia nata dall’uomo per l’uomo al fine di essere da lui dominata e controllata (al contrario della Natura ribelle), inverte il suo ruolo.
Non lo fa assumendo le sembianze di Arnold Swarzeneger in Terminator, ma attraverso la diffusione di apparecchi complessi che non permettono a chi li usa di comprendere come sono fatti e come li si può usare. Semplicemente di tratta di oggetti nati per essere utilizzati in maniera semplice ed intuitiva. vi starete chiedendo che cosa ci sia di male… Bhè dato che le interfacce grafiche dei software sono sempre più pensate per un utente-scimmia, presumo che almeno ci sia un qualcosina che non va affatto.
L’informatica, come dovrebbe sottolineare la parola stessa è la scienza delle informazioni, solo che ora il mercato propone beni che gestiscono loro le informazioni, tagliando fuori l’uomo.
Questo meccanismo è quello che il movimento degli hacker ha cercato e sta cercando di impedire da quando è nato. Lo spirito e la filosofia del mondo hacker vedono l’uomo come protagonista a patto che egli prenda cosienza di quanto sta facendo e di quanto è in grado di fare con la propria conoscenza.
Il mondo sarà sempre più in mano a tecnocrati se l’uomo della strada persevera nel trascurare fra le voci della sua cultura personale quelle della conoscenza scientifica. Non penso che ogniuno debba essere un ricercatore e dedicare tutta la propria vita alla scienza, basterebbe avere le basi del pensiero scientifico, inculcare il Metodo, che rappresenta la vera forza motrice di tutta la ricerca.
Se la gente non si fa domande, se la gente non critica le risposte che gli vengono fornite, se la gente non prova la curiosità per il mondo, sarà molto difficile poter evitare la superiorità di coloro che le conoscenze le hanno, o meglio le sfruttano come un vantaggio personale.
Io sono convinto che la ricerca possa dare molte più risposte di quante uno non immagini. Iniziando dal proporsi come una fonte di reddito economico (e non come un capitolo di spesa), migliorare il tenore di vita e ridurre l’impatto ambientale, comunque inevitabile data la numerosità degli esseri umani, creare un mondo più libero.
quote:
un caro saluto, col solito senso di disperazione attiva,
pietro
Mario
Carissimi,
devo scusarmi per essermi inserito solo ora nel dibattito, ma sono stato in ferie ed il ritorno in ufficio è stato, nonostante agosto, abbastanza duro.
Io dovrei essere considerato tra i “pompieri”, ma mi sento anche un po’ tarlo.
Cerco di spiegarmi. Perchè la casa brucia? Perchè ci troviamo di fronte ad un fatto mai successo prima in un altro paese: un gruppo aziendale (per di più che controlla i media) ha preso il potere attraverso un’entità priva di valori (Forza Italia)e l’ha fatto attraverso ad un manipolo di personaggi uniti dal logo Mediaset, dall’appartenenza alla P2 e quant’altro che si sono alleati ai post-fascisti e a dei razzisti chiamiamoli etnici . La storia non ha raccontato mai nulla di simile. Evvero che non esistono particolari conflitti sociali (che forse covano sotto la cenere, ma dove sono i sindacati?), ma non abbiamo come nel ’22 partiti che esprimono valori, ma soltanto qualunquistici impegni a fare (le fogne, le strade e qualche ponte…) con cittadini che non partecipano e che chiedono solo portafogli più gonfi e l’isolamento del diverso che inquieta. E questo purtroppo è un dato comune agli altri Paesi (in fondo il fascismo dilagò in Italia nel ’22 e poi si è espanso in tutto il resto d’Europa).
Non basta cari amici che domani la gente voti a sinistra per rassicurarmi, perchè rimane il grave macigno di una destra che non esprime valori liberali e costituzionali, ma soltanto vaggiti e silenzi antidemocratici. Non sappiamo, caro Nino, l’evoluzione di tutto ciò e io vedo nero in tutti i sensi.
Certo poi c’è la riflessione di cos’è oggi la democrazia non solo in Italia, ma nel mondo. E allora possiamo dire che la democrazia non può limitarsi ad essere solo elettorale, ma deve essere partecipata e che questa partecipazione almeno per l’esperienza italiana può rinascere dalle municipalità, dai quartieri, dai luoghi di lavoro, di studio e di ricerca, dalla cultura che deve essere di vetro e non chiusa in élites. Ma qui divento tarlo e mi sento un tarlo ignorante con grande voracità di legno (alias libri).
Ciao a tutti. Fabio