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Che caldo che fa al Tg1…

L’informazione ha una sua etica che assume caratteri ancor più stringenti nel caso del servizio pubblico. Appare, infatti, accentuata la connessione di quest’ultimo con le dinamiche democratiche, con la formazione dell’idea e della prassi del “bene comune”, con i processi decisionali conseguenti.
I colleghi del Tg1 ne sono senz’altro consapevoli: non saremmo mai sfiorati dal dubbio che a pochi di loro, magari in cabina di comando, sfuggisse la delicatezza e la responsabilità del loro ruolo. Eppure. Eppure, dev’esserci una qualche ragione, se le edizioni del Tg1 di sabato e domenica scorsi, giorni di ballottaggio elettorale, presentavano scalette da brivido per raccontare agli italiani i fatti e i problemi in Italia e nel mondo; vale a dire per ignorare la maggioranza delle notizie del giorno (passo buona parte delle mie ore al desk di una redazione giornalistica a controllare il flusso dell’Ansa e di altre agenzie e ho una vaga idea del “menù” quotidiano, che pure soffre a sua volta di innumerevoli omissioni e deformazioni). Vediamole, queste scalette.
Dopo le aperture sulla mobilitazione anti-discarica in Campania (sorvolando ovviamente sul nodo della produzione dei rifiuti e della raccolta differenziata) e un po’ di dichiarazioni rassicuranti del governo italiano e dell’Alleanza atlantica sull’Iraq che svolta, arrivavano le seguenti amenità.
In ordine di apparizione, attorno alle 20.10:
Sabato: 1) caldo (addirittura 32 gradi – mi pare – la vertiginosa e inquietante massima a Palermo); 2) quanto costa affittare un appartamento al mare? 3) Vacanze in barca: a quale prezzo? 4) La nuova stagione dei palinsesti Rai tv; 5) Europei di calcio. Sorrisi.
Domenica: 1) sempre più caldo; 2) arrivano le zanzare; 3) l’estate in Versilia; 4) vacanze in montagna; 5) Europei di calcio; 6) i progetti artistici di Fiorello; 7) Moda, Pitti Uomo a Firenze. Sorrisi.

Insomma, aria d’estate, voglia di rotocalco.
Altro che inchieste, che so, sullo scandalo rifiuti, sui misteri degli ex ostaggi italiani in Iraq, sulla guerra, i suoi orrori e retroscena, sulla realtà del passaggio dei poteri a Baghdad. Altro che dedicare un po’ di spazio all’apertura a Genova (notizia di sabato mattina…) del processo nei riguardi dei poliziotti accusati della sanguinosa irruzione alla scuola Diaz durante il G8 del 2001. A proposito, domandina: il servizio pubblico di informazione deve difendere a ogni costo il governo e le forze armate o i principî costituzionali democratici che per ora resistono nonostante tutto?
Si potrebbe abbozzare una risposta rilevando che oggi il servizio pubblico radiotelevisivo nelle sue varie versioni e con encomiabili eccezioni – tra le altre il Tg3 e Rainews24 – è sembrato avere una singolare tendenza a mettere un po’ in ombra la Caporetto elettorale del sedicente amministratore delegato d’Italia. Meglio dare spazio all’ennesima celebrazione del passaggio di poteri in Iraq e del rinnovato e rappacificante ruolo della Nato.
D’altra parte, abbiamo una certa comprensione per chi avesse il desiderio di tenere il profilo basso: anche a noi pare piuttosto imbarazzante insistere sulle dichiarazioni roboanti di Piero Fassino (che anziché celebrarsi da sé, meglio farebbe a dire qualcosa di programmaticamente di sinistra; se per caso ci ha pensato).
Infine, ci vengono in mente i giornalisti -sindacalisti Rai intervistati nel documentario televisivo americano “Citizen Berlusconi”, ottima ricostruzione dell’incubo italiano che probabilmente non sarà mai trasmessa dalle libere reti televisive nazionali, pubbliche e private (“Raiot” docet).
Bene, in questo documentario i colleghi della Rai raccontano con indignazione e sgomento, del tutto condivisibili, le aberrazioni che percorrono le stanze dell’informazione pubblica. Un conto era la spartizione partitica che c’è sempre stata, un altro l’occupazione in corso anche al fine di indebolire la Rai nel confronto con Mediaset.
Tra le amenità che i colleghi Rai rivelano ai microfoni americani vi è un ordine di servizio, non ci è dato sapere di quale direttore di testata, che sollecita i giornalisti a non usare la parola “pacifisti” (troppo ammiccante?) nei servizi sulla guerra e sulle manifestazioni e di sostituirla con il termine (assai più inquietante per l’italiano medio) di “disobbedienti”.
Beh, se il livello di degrado è tale, abbiamo trovato la risposta all’interrogativo sulla ragione delle scalette di Tg descrite qualche riga fa. Tuttavia, ci sorge un altro e più angosciante interrogativo: come mai queste denunce le ascolta solo un cittadino di per sé motivato che si preoccupa di mettere le mani su un documentario americano? Non sarebbe il caso, colleghi dei Tg e dei Gr, di martellare quotidianamente gli ascoltatori di comunicati sindacali che dicano apertamente come stanno le cose in Rai? Non sarebbe il caso di mettere in atto forme aperte di mobilitazione per smascherare i manovratori e recuperare la centralità dell’etica dell’informazione? Se un capo o un direttore ti vieta di utilizzare il vocabolo “pacifisti”, non dovrebbe bastare per dichiarare uno sciopero o almeno per presentare una pubblica denuncia di questa e simili aberrazioni?
Non serve una risposta più forte, sonora e socialmente percepibile a chi tenta – in parte riuscendoci – di sotterrare il diritto democratico all’informazione nel servizio pubblico?
L’informazione critica e indipendente è democrazia. La distrazione mediatica delle coscienze è il suo contrario.

zenone sovilla

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Questo sito nacque alla fine del 1999 con l'obiettivo di offrire un contributo alla riflessione sulla crisi della democrazia rappresentativa e sul ruolo dei mass media nei processi di emancipazione culturale, economica e sociale. Per alcuni anni Nonluoghi è stato anche una piccola casa editrice sulla cui attività, conclusasi nel 2006, si trovano informazioni e materiali in queste pagine Web.

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