«Se il socialismo ha da essere una vera liberazione dell’uomo, dobbiamo cominciare col respingere come la maggiore delle assurdità ogni nozione di guerra fatta dai socialisti, o da uno Stato
diretto in nome dei socialisti».
Lo scrive Andrea Caffi in un testo del 1946 nel quale possiamo avvicinarci al pensiero critico nei riguardi della violenza come mezzo di lotta politica. Una critica elaborata da un profondo quanto dimenticato intellettuale italo-russo-francese (la famiglia sarebbe stata di origini bellunesi e proprio sulle Dolomiti lui fu ferito durante la Prima guerra mondiale).
Il saggio, ripubblicato da Nonluoghi nel dicembre 2002 con il titolo “Contro la guerra. Violenza e liberazione” e una nota introduttiva di Alberto Castelli (in basso i link alle versioni digitali), fu scritto nel 1946 e pubblicato in italiano con il titolo “È la guerra rivoluzionaria una contraddizione in termini?”, in “A. Caffi, Scritti politici”, a cura di G. Bianco, Firenze, La Nuova Italia, 1970, pp. 319 – 326.
«La vita di Andrea Caffi, sempre povera e incerta, è quella di un personaggio socratico: di un uomo, cioè, dedito esclusivamente alla ricerca del vero e del giusto, totalmente disinteressato alla carriera e al denaro; è la vita di un uomo generoso, socievole e non affatto disposto al più piccolo compromesso in tema di idee e di integrità morale.
Nasce a Pietroburgo da genitori italiani nel 1886. Nella città baltica entra in contatto con esponenti della tradizione rivoluzionaria russa e partecipa, nelle file dei menscevichi, alle vicende rivoluzionarie del 1905. Per questa sua attività, viene incarcerato e, in seguito, costretto all’espatrio.
Studia a Berlino, dove segue le lezioni di Georg Simmel e conosce il giovane Antonio Banfi, futuro docente di filosofia all’università di Milano e parlamentare comunista. Nel 1910 entra in contatto con Giuseppe Prezzolini, allora direttore del periodico “La Voce”. Partecipa attivamente alla Prima guerra mondiale fin dal 1914: una scelta dovuta, da un lato, alla convinzione che il futuro del socialismo e della democrazia dipenda, in gran parte, dal crollo degli imperi autoritari dell’Europa centrale; dall’altro, all’esigenza morale di condividere il destino di tanti uomini che partono verso la morte.
Tra il 1920 e il 1923 Caffi soggiorna nella Russia appena uscita dalla rivoluzione: un’esperienza, questa, che lo segnerà profondamente e che contribuirà a consolidare il suo giudizio negativo sul bolscevismo e sugli esiti delle rivoluzioni violente», scrive fra l’altro Castelli nell’introduzione.
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