È vero. Non tutto funziona in «Lavorare con lentezza». Qualche audace esercizio filmico, come gli inserti in bianco e nero sullo stile del muto, non aggiungono molto a un’impalcatura che stava benissimo in piedi da sola, con la sua storia e i suoi volti colorati nelle contraddizioni degli anni Settanta. Infatti, il lungometraggio di Guido Chiesa lascia lo spettatore con quel po’ di «vapore» in testa, ma anche nel cuore, proprio di un cinema che riesce a colpire nel segno e a mettere in moto emozioni e pensieri senza un ordine né una gerarchia.
La vicenda di due ragazzotti di periferia in odore di malavita, impegnati a scavare un tunnel sotto una banca per conto di un bandito locale, e dei «quattro sfigati» – per usare il linguaggio del tenente Lippolis-Valerio Mastrandrea – di Radio Alice nella Bologna «tardorivoluzionaria» del 1976 non è solo la rilettura di un sogno sgangherato al ritmo del cantautore eremitico Enzo Del Re che si accompagnava battendo una sedia.
Non è nemmeno la semplice riproposizione del malessere giovanile o della pasoliniana assimmetria tra borghesi figli di papà (alcuni dei protagonisti della radio ribelle) e proletari dall’una e dall’altra parte della barricata (Sgualo-Tommaso Ramenghi e Pelo-Marco Luisi, i due ragazzotti di periferia, e l’appuntato Lionello-Max Mazzotta, bravissimo, che ci delizierà nella scena finale).
È di più: il tentativo di capire in profondità, magari indagandone anche le manifestazioni più superficiali, un movimento che sullo sfondo della inquietante strategia della tensione e dell’orrore del terrorismo cerca di mantenere viva un’utopia libertaria di eguaglianza e di bene comune, quasi ingenua, lontana da pulsioni di violenza o da aspirazioni realmente eversive.
Ma sarà proprio il clima degli anni di piombo ad abbattersi sui quei giovani che sognavano di lavorare con lentezza e di essere felici piuttosto che ricchi e stressati. Il tenente Lippolis, che indaga sulle mosse sospette del malvivente datore di lavoro dei due ragazzotti di campagna, deve suo malgrado eseguire gli ordini che lo obbligano a dare la priorità ai «quattro sfigati» del movimento dipinti dal capitano come pericolosi sovversivi.
In piazza ci scapperà il morto (Francesco Lorusso, militante di Lotta continua, ucciso a Bologna l’11 marzo 1977), mentre al vero fuorilegge che progetta il grande colpo nessuno bada. Per i ragazzi di Radio Alice è la fine del sogno.
Eppure i loro bisogni e le loro aspirazioni di giustizia in fondo non erano così lontane da quelle dell’appuntato Lionello. E forse loro non erano così diversi dai giovani che sfilavano pacificamente a Genova nel 2001 e che qualcuno criminalizzava mentre altrove qualche vero malvivente la faceva franca. «Lavorare con lentezza» ci ricorda anche questo: che a volte la storia ritorna. E ce lo ricorda con leggerezza quasi poetica.
Zenone Sovilla