Zenone Sovilla
È una bella gara di conformismo amministrativo, quella fra la Regione Veneto e la Provincia di Trento, sulle questioni stradali, prolungamento della Valdastico e dintorni.
Da una parte, Venezia, che insiste con la ricetta anacronistica “strade e sviluppo”; dall’altra Trento che a parole afferma una visione diversa del trasporti e della mobilità (la strategia intermodale gomma-rotaia, i “corridoi verdi” – nuovo abuso lessicale di un colore ormai sbiadito – e cosi via pontificando) ma che nei fatti non si distingue minimamente dal paradigma che ha reso il traffico una delle più gravi criticità contemporanee.
D’altra parte, l’entusiasmo col quale piazza Dante celebra gli utili dell’Autobrennero, di cui la Provincia autonoma di Trento è un importante socio, dovrebbero far sorgere qualche sospetto sulle inclinazioni di questa classe dirigente e sulla sua determinazione a scoraggiare il traffico su gomma (leggero o pesante che sia).
Idem dicasi, ovviamente, per chi oltre il confine regionale vorrebbe deviare parte di quei pedaggi sulla Valdastico.
Anche le incredibili uscite pubbliche di quest’estate (con successive retromarce più o meno convincenti) che delineano l’ipotesi di un’autostrada da realizzare ex novo in Valsugana (in alternativa al completamento della Valdastico) rappresentano un segnale emblematico di quali siano le visioni della Provincia di fronte a un’emergenza (anche sanitaria) che ormai è sfuggita di mano, qui come altrove.
Per non dire della leggerezza con cui si prende atto delle dinamiche di espansione dei volumi di traffico, per esempio in Valsugana, come se un’intera classe dirigente fosse impotente, di fronte alla prospettiva di un allarmante aumento nel giro di pochi anni (a seconda delle stime, si arriva anche a ipotizzare una crescita del 50% rispetto ai dati attuali registrati al megatunnel di Martignano, passando da 40 mila a 60 mila veicoli al giorno).
Le classi dirigenti sono elette e pagate profumatamente per governare i fenomeni, non per descriverceli: un aumento di traffico va contrastato con ogni mezzo, non assecondato o addirittura favorito.
I proclami sulla ferrovia come alternativa (e i ripetuti annunci della favolosa metropolitana) per ora si sono rivelati, a essere ottimisti, poco più che buone intenzioni (tempi e modi di percorrenza in Valsugana sono scarsamente concorrenziali con il traffico privato); oppure, a essere cattivi, semplici spot utili a confondere un quadro inquietante e a gettare un velo di opacità sulle responsabilità gravissime della politica.
Non va dimenticato che le classi dirigenti che oggi dovrebbero produrre quantomeno correttivi sull’emergenza traffico, sono le medesime che – costruendo valanghe di strade, tunnel, bretelle, tangenziali e quant’altro, investendo invece pochissimo sulla mobilità sostenibile – hanno catalizzato il processo attraverso il quale siamo arrivati a questo scenario da incubo, con intere vallate a rischio. Le responsabilità sono chiare.
In Valsugana, per esempio, sono decenni che gli autotreni possono attraversare la vallata indisturbati, per evitare l’autostrada (che a sua volta peraltro è troppo economica e non fa pagare agli utilizzatori i reali costi sociali che producono e che vengono scaricati sulla collettività); pochi controlli, niente autovelox fissi, ovviamente nessun pedaggio: un paradiso per i Tir. Eppure esistono esperienze, anche vicine al Trentino, in cui gli autovelox pullulano e si mettono in atto controlli stradali specifici quali deterrenti nei riguardi proprio del traffico pesante “parassitario” di attraversamento, che, come noto, ha un enorme peso specifico in termini di inquinamento e dunque di ricadute sulla salute e pure sui contribuenti locali.
Anziché continuare a declamare le megavisioni del futuro, come le superferrovie e gli ultratunnel intergalattici, rinviando nel frattempo i correttivi minimi ma importanti, sarebbe forse utile ragionare su una serie di interventi territoriali atti a scoraggiare il traffico, specie nelle aree più esposte, quali appunto la Valsugana.
Si può fare sia utilizzando strumenti di controllo (che possono alla lunga indurre molti a evitare un corridoio di attraversamento diventato troppo “scomodo”) sia offrendo alternative funzionali per quanto riguarda il traffico leggero, attraverso un progetto credibile di mobilità collettiva (l’auto si lascia in garage soltanto se al suo posto viene offerta una soluzione altrettanto “allettante”, non se in un comunicato stampa della Provincia la ferrovia un bel giorno si chiama metropolitana di superficie).
Questa prospettiva potrebbe avvicinare il Trentino, forte della sua disponibilità di autogoverno, alle logiche di una successiva sfida credibile sul terreno dell’innovazione, dell’avanguardia che dovrebbe riguardare anche la mobilità turistica in quota.
Immaginare un’autostrada in Valsugana perché il Veneto costruisce la Pedemontana e da Bassano premerà un po’ di più verso nord; o anche semplicemente rendere ancora più scorrevole l’attuale superstrada “47”, sono invece intenzioni che assecondano il modello trasportistico perdente che a parole si dice di rifiutare. Ma nei fatti?