[i] [Ritenendolo ancora attuale riproponiamo questo articolo di qualche anno fa][/i]
[b]Zenone Sovilla[/b]
A proclamare il 1° Maggio fu la seconda Internazionale del 1889: sarebbe stata la giornata mondiale di lotta per la conquista delle otto ore di lavoro. La seconda Internazionale si costituì sulla scia della lunga polemica fra Marx e Bakunin.
Il pensatore russo fu espulso nel 1872 dal congresso dell’Aia della prima Internazionale, ne seguì l’organizzazione di un congresso della corrente antiautoritaria che sfociò nell’approvazione di una piattaforma del movimento anarchico in contrapposizione all’autoritarismo crescente dei marxisti.
La libertà come fine ma anche come mezzo: questa posizione di Bakunin rappresenta in sintesi il punto di contrasto centrale della polemica con Marx. Bakunin, in sostanza, rimproverava al marxismo di ridursi a una dottrina parziale dell’eguaglianza (così come, sull’altro versante, rimproverava al liberalismo di sacrificare la giustizia sociale nel nome di una libertà che pertanto non può ritenersi tale).
Nel 1889 le strade di anarchici e marxisti si erano in buona parte divise. La seconda Internazionale fu dominata da marxisti e socialdemocratici e la partecipazione degli anarchici venne mossa da un marcato spirito contestatore. Sarà proprio grazie a questa vena polemica che gli anarchici riuscirono a ottenere che la giornata di lotta del 1. Maggio fosse celebrata, appunto, il 1° Maggio e non la prima domenica del mese come invece proponevano gran parte dei socialdemocratici e i socialisti italiani che si riconoscevano nel periodico “La Giustizia”.
Ci sembra significativo, dunque, ricordare che proprio in questo periodo nel quale – con rapimenti ideali altalenanti – si celebra la giornata dei lavoratori, 130 anni fa era in corso la breve esperienza della comune di Parigi. Durò dal 18 marzo al 28 maggio del 1871 e fu resa possibile dalla pressione operaia sul governo repubblicano francese, stremato dalla guerra con la Prussia. L’esperienza di democrazia diretta vedeva come principali protagonisti operai e artigiani ispirati dal federalismo socialista teorizzato da Proudhon, esponenti dei gruppi socialisti libertari, sodalizi sindacali. Finirà in un bagno di sangue nel corso della settimana dal 21 al 28 maggio 1871 per mano dell’esercito di Thiers.
Questi era il politico conservatore che aveva vinto le elezioni di febbraio e che intendeva riappacificare la Francia con la Prussia, anche accettando le durissime condizioni imposte da Bismark (compresa la presenza militare prussiana a Parigi). Molti in città, in quel turbolento inizio del 1871, si rifiutarono di obbedire al nuovo governo, organizzarono milizie popolari per difendere la capitale e indirono nuove elezioni per il Consiglio della Comune.
Si votò il 26 marzo e risultarono eletti blanquisti, giacobini e socialisti proudhoniani: questi ultimi padri della comune libertaria autogestita, i primi due ancora mossi invece da un fuoco autoritario poi ben incarnato dai loro “eredi” bolscevichi in Russia.
Parigi ha dedicato una piazza alla memoria della Comune
La forte presenza delle idee anarchiche nella Comune parigina rese possibile il contenimento di queste contraddizioni politiche di fondo e consentì di dare vita a esperienze di auto-organizzazione che portarono, tra l’altro, all’abolizione della coscrizione obbligatoria e dell’esercito permanente (sostituito da milizie popolari), allo sblocco dei salari che erano stati ridotti e ad altre iniziative che consentiranno l’autogestione delle fabbriche organizzate in cooperative di operai. Sul fronte dell’educazione venne introdotta l’istruzione gratuita e laica; inoltre, furono fondate scuole femminili e professionali.
Ciò che non arriva ai comunardi è il sostegno delle altre città francesi cui viene proposto di associarsi in una libera federazione con Parigi. Nelle campagne, inoltre, il clima è di pesante conservatorismo. L’autogestione parigina deve prepararsi alla reazione del governo di Versailles cui tra l’altro ha lasciato la disponibilità delle riserve monetarie della Banca di Francia. L’assedio militare scatta il 21 maggio 1871, la resistenza (fatta anche di vendette sui simboli del potere violento) durerà una settimana. Fucili e cannoni governativi spegneranno nel sangue una rivolta che diventa per molti il simbolo di un’idea, il segno che si può tradurre la tensione alla libertà e all’autogoverno in esperienza concreta.
Le barricate a Parigi
E’ interessante, infine, ricordare che un anno prima della nascita della Comune di Parigi, Michail Bakunin (che morirà nel 1876) fu a Lione per cercare di ispirare una ribellione popolare: l’episodio si può considerare in qualche modo propedeutico così come i fatti della Comune sono interessanti sia come sguardo sulla “possibilità dell’utopia” sia come analisi delle ragioni del suo fallimento.
In proposito, giova ricordare la visione, in fondo lucidamente pessimistica, cui giunse l’anarchico italiano Giovanni Rossi “Cardias”, che all’inizio del 1890 partì con alcuni amici alla volta del Brasile, stato del Paranà, per fondarvi una “colonia socialista anarchica sperimentale”. Rossi scriveva: “Le colonie agricole socialiste, se organizzate con intendimenti moderni e sinceramente sperimentali, saranno punti di sicuro orientamento sociale e politico; gli uomini cresciuti nella vita socialistica delle colonie saranno i fermenti che fanno lievitare la pasta della rivoluzione…”. Questa via sperimentale, che nel corso del ‘900 sarà ricca di contributi nell’arcipelago anarchico, era criticata aspramente dal “padre” dell’anarchismo italiano, Errico Malatesta, che la riteneva antirivoluzionaria.
Giovanni Rossi intendeva, in sostanza, sperimentare sul campo la possibilità di un’organizzazione sociale autogestionaria di tipo anarchico, voleva verificare cioè – per dirlo con parole sue – se quel tipo di vita comunitaria fosse “più consentanea all’indole umana”.
Archiviato un esperimento analogo fallito in Lombardia (nel Cremonese), Rossi partì alla volta del Brasile per riprovarci con compagni già ispirati dalle idee socialiste. Nel Paranà fondarono la colonia Cecilia ma l’esperimento di società comunista anarchica durò meno di quattro anni. E ancora una volta Rossi indicò fra le cause dello scioglimento – come avvenne in Lombardia – l’egoismo diffuso legato al familismo, cioè a quella che definì “micidiale azione dei rapporti di parentela”.
Ancora una volta, emerge da queste esperienze storiche la grande complicazione umana. Potrebbe risultare un esercizio assai utile, nella nostra fase storica di smarrimento psicologico e filosofico prima ancora che politico, recuperare l’analisi sui sentieri socialisti libertari percorsi in passato e insistere sulla elaborazione pratica delle novità teoriche del ‘900 offerte in particolare dal variegato orizzonte della nonviolenza (cui, nonostante lo sfasamento cronologico, assimilerei lo stesso Lev Tolstoj, anarchico “irregolare” e cristiano “irregolare”).E di là dai conflitti ideologici dell’epoca passata, tornano ancora in mente le parole di Errico Malatesta quando indicava i contorni di una futura società della nonviolenza, della libertà e della non-imposizione dell’uomo sull’uomo: “Non si tratta di fare l’anarchia oggi o domani o fra dieci secoli, ma di avanzare verso l’anarchia oggi, domani e sempre”.
[b]Zenone Sovilla[/b]