Siamo immersi in un’economia violenta, basata su una concezione della vita, che mette l’uomo ( in particolare maschio e adulto) al centro dell’universo, con un rapporto di dominio e sfruttamento verso il resto del creato: animali, vegetali e minerali considerati solo come “risorse” da utilizzare a suo vantaggio. Espressioni di questa economia violenta sono:
– la crescente concentrazione della ricchezza in una minoranza di popoli (il Nord del mondo) e, al loro interno, in una minoranza della popolazione; con conseguenti migrazioni di massa da sud a nord e da est ad ovest del mondo
– il mito del mercato e la divinizzazione della competizione come regola aurea a cui sottostare, con conseguenti guerre per il possesso delle “risorse”, dalle fonti energetiche fossili all’acqua
– l’ideologia del consumismo e dello spreco usa-e-getta, come volano dello “sviluppo”
– lo sfruttamento più o meno legalizzato della maggioranza dei lavoratori : in particolare donne, bambini, gli eterni “giovani” novelli schiavi del precariato, migranti, anziani e maschi ultra-quarantenni in cerca di nuova occupazione
– dilapidazione di “risorse”, come i combustibili fossili, prodotti dalla natura in milioni di anni
– utilizzo selvaggio del suolo sia in città (con l’impero della rendita immobiliare) che nel resto del territorio, con produzioni altamente inquinanti, escavazioni e moltiplicazione di strade e capannoni
– dittatura del denaro: tutto si ottiene solo attraverso scambi monetari, ogni altro scambio è sospetto o illegale
– produzione globalizzata, con frequenti de-localizzazioni, dove i salari sono più bassi e i diritti meno garantiti
– regole del commercio internazionale di stampo coloniale, che strozzano i paesi poveri produttori di materie prime a basso prezzo e importatori di prodotti finiti e di tecnologie a prezzi ben più elevati.
Dalle lotte che hanno caratterizzato tutto il 1900 si possono trarre delle linee guida per una economia che si rifaccia ai valori della nonviolenza; linee che vanno in senso diametralmente opposto e partono da una concezione della vita fondata sull’alleanza con Gaia, nostra madre terra:
– giustizia sociale con riduzione degli squilibri tra Nord e Sud del mondo e all’interno delle popolazioni
– cooperazione come valore guida, sia tra persone, che tra comunità e stati
– ricerca della felicità attraverso la sobrietà, sia a livello individuale che sociale, puntando alla fine di uno “sviluppo”basato sul consumismo senza limiti
– lavoro creativo, artigianale, senza rapporti di subordinazione, ma di collaborazione tra uguali
– economia “solare”, basata su risparmio energetico e fonti rinnovabili, locali col minor impatto ambientale possibile
– città aperta, dove le scelte urbanistiche sono fatte sulla base del bene comune, deciso direttamente dagli abitanti e non dalle lobby di speculatori e politici loro amici
– allargamento progressivo dell’auto-produzione di beni e servizi, del loro baratto e dello loro scambio non monetario, anche attraverso associazioni locali come le banche del tempo, le monete locali e le reti di economia solidale
– produzione il più possibile locale/regionale, limitando importazioni ed esportazioni ai beni necessari non producibili localmente; sostegno ai produttori biologici locali, a ristoranti e mense che usano solo prodotti regionali (“chilometro zero”), organizzazione di gruppi di acquisto che privilegiano i rapporti diretti e continuativi con produttori locali, diffusione degli orti nelle città o nelle immediate periferie per puntare all’autosufficienza alimentare
– per il (pochissimo) commercio internazionale necessario adottare regole di equità, e il minor impatto ambientale possibile.
Michele Boato, storico esponente del movimento ecologista italiano, è direttore dell’Ecoistituto del Veneto “Alex Langer” (di Mestre, Venezia) e delle riviste Gaia e Tera e Aqua. Web: www.ecoistituto-italia.org