In una delle sue più note affermazioni, Woody Allen si chiede “da dove veniamo, dove andiamo, cosa c’è da mangiare stasera”. Per due terzi dell’umanità la risposta alla terza domanda è decisamente la più importante ma nel senso che non sanno se mangeranno o meno. Del resto, da ormai diversi anni viviamo in un sistema economico che vede la crescita solo per la crescita: un sistema cioè che assomiglia molto a un bolide senza freni che si va a fracassare su un muro.
Sono affermazioni tutto sommato non originali, dato che Aurelio Peccei [uno dei promotori, tra scienziati ed economisti, del Club di Roma e autore dunque del “Rapporto sui limiti dello sviluppo” diffuso in tutto il mondo nel 1972] già negli anni Settanta ci aveva avvertito: una crescita infinità è incompatibile con un pianeta finito, i consumi non possono andare oltre il limite delle risorse disponibili.
Per questo il nostro modo di vivere deve essere messo seriamente in discussione e la decrescita è uno slogan provocatorio necessario, anche se non si tratta di far decrescere tutto.
Noi viviamo cioè in una società di crescita completamente fagocitata dall’economia, viviamo cioè nella logica diabolica del sistema capitalista, nel quale il denaro serve essenzialmente per fare altro denaro.
Qui non si tratta soltanto di decelerare come molti sostengono, ma di cambiare decisamente strada, di prendere un altro treno, di inventarsi davvero una società di decrescita sostenibile, equa, giusta.
Noi siamo intellettualmente colonizzati dall’economia: tutti i problemi li vediamo sotto il profilo economico. Del resto tutti i “regimi” moderni, dalle dittature alle repubbliche di qualunque segno sono stati produttivisti e hanno visto la crescita economica come un obiettivo irrinunciabile. Il nostro obiettivo allora è decolonizzare questo immaginario, consapevoli anche che lo sviluppo sostenibile è un ossimoro, perché lo sviluppo è tutt’altro che sostenibile.
Per questo dobbiamo ridurre l’impatto ambientale e sociale di tutte le nostre attività: per vivere col tenore di vita degli statunitensi ci vorrebbero sette, otto pianeti. Siamo quindi di fronte a un modello non imitabile.
Oggi il potere è economico più che politico e non ha un viso identificabile: se vogliamo un altro mondo possibile non possiamo fare solo una politica di resistenza, di freno, ma dobbiamo dare gambe a misure programmatiche.
Ad esempio: ritornare all’impronta ecologica degli anni Sessanta e Settanta, addebitare i costi per le infrastrutture a chi le realizza, rivedere i tempi di lavoro, mantenere l’occupazione locale, restaurare l’agricoltura, ridurre lo spreco di energia, penalizzare le spese di pubblicità [che sono ormai diventate il secondo bilancio economico mondiale dopo quello degli armamenti], utilizzare infine l’innovazione tecnologica in funzione delle nuove aspirazioni.
Queste sono proposte importanti e concrete, utili per un programma di governo. Ma come ho già detto in altre occasioni, personalmente, nonostante i diversi inviti che ho ricevuto, non mi presenterò alle prossime elezioni previste in primavera in Francia. Anche perché ho fatto un sogno: mi presentavo, venivo eletto, davo finalemente attuazione al programma e dopo una settimana venivo assassinato.
Stralci dell’intervento di Serge Latouche [a cura dell’agenzia ambientalista Greenreport] al seminario intitolato “Decelerare la crescita per vivere meglio”, promosso dall’amministrazione comunale di Lastra a Signa.
da www.carta.org