[Dal sito www.bellunopop.it pubblichiamo questa analisi del voto che parte da un territorio specifico ma offre spunti di ordine generale]
Sarebbe riduttivo e fuorviante attribuire solo alla congiuntura impopolare del governo Prodi il tracollo del centrosinista a Belluno e a Feltre nel voto comunale del 27 e 28 maggio, con cedimento strutturale dell’Ulivo-futuro Pd.
Certo, i pasticcioni del camaleontico moderatismo nazionale ci hanno messo un bel po’ del loro, incapaci di produrre qualche idea forte e originale da contrapporre all’assalto della destra del populismo o del capitale che ha sempre ragione. Forse Fassino, Rutelli e i loro scudieri pensavano che bastassero i sorrisi holliwoodyani, le lacrime e i riflettori sugli sfavillanti congressi dei partiti “democratici”. Ma queste suggestioni piene di vuoto politico sono lontane anni luce dal paese reale: quello che fa i conti con le buste paga ristrette, l’aria irrespirabile anche nei piccoli centri, l’assalto dei Tir, la mobilità asfissiante, un cancro per famiglia, i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; quello che in questo bel clima preapocalittico (ma il dramma ecologico pare non interessare l’attuale classe dirigente, forse le servirebbe uno stage da Al Gore) è facile preda di chi muove corazzate mediatiche per spiegare che il problema è un altro, che i guai vengono dal marocchino sotto casa, dalla lobby omosessuale, dai drogati, dalle tasse sulle povere imprese, dai lavoratori fannulloni.
E allora, affidatevi a qualche danaroso imprenditore o avvocato, in grado di intepretare al meglio le pulsioni dell’epoca mercantile, dello sviluppo a ogni costo sia umano sia ambientale, del consumo sfrenato e dell’accumulazione capitalistica come paradigma dominante fin nel microcosmo individuale ormai orfano di ancoraggi ideologici e valoriali che trascendano un individualismo sempre più egoista.
Bene, questo è un profilo dell’ecatombe del centrosinistra anche bellunese. Ma c’è molto altro. A cominciare da un dato che accomuna tristemente la coalizione di governo centrale e la sua espressione territoriale: la debolezza dei contenuti politici, l’evanescenza di un progetto sociale sfumato in un mimetismo che mutua largamente temi, prospettive e priorità dall’avversario. Il tutto, riproponendo schemi e linguaggi della vaporosa politica nazionale. Assente dall’agenda la grande sfida del presente e del futuro, l’idea e il coraggio di (ri)costruire il territorio partendo dalla vera emergenza della nostra epoca, trasformandola in una grande opportunità di convivenza civile e solidale: la crisi ecologica e la via obbligata della sostenibilità, del mutualismo, di un’economia corroborata dal volto sano del “localismo” (per animare gli scambi territoriali e minimizzare i devastanti, quanto inutili ma oggi assai convenienti, trasporti di merci e materie prime su lunghi tragitti e le dinamiche di distruzione civile su scala globale legate a questo modello).
Si tratta di una dimensione innovativa che probabilmente sfugge alle capacità di elaborazione, di analisi e di sintesi, di una classe dirigente ancorata ai riflessi condizionati da decenni di politica politicante ma anche di “sviluppismo” e pensiero unico liberista. Ciò non toglie, tuttavia, che sia un passaggio obbligato che, prima o poi, si dovrà affrontare. Peccato perdere tempo ed energie dissipando ancora un po’ di patrimonio sociale e ambientale e differendo il lavoro collettivo di rigenerazione, urgente e necessario. Quel giorno verrà, in troppi non ne hanno còlto l’impellenza e la ineluttabilità e si sono persi a parlare di un tunnel o di una bretella autostradale. Guardavano il dito senza vedere la luna.
Purtroppo, né grandi segni né grandi sogni ha offerto alla città la campagna elettorale di centrosinistra così come non ne avevano lasciati i precedenti vent’anni di governo (da Crema a Bressa, da Fistarol a De Col).
Che un elettore bellunese su tre abbia disertato le urne appare, in questo contesto, come un indicatore significativo della incapacità di produrre un progetto attrattivo e profondo di cambiamento coniugando benessere diffuso e rispetto di un ambienta naturale meraviglioso da “sfruttare” a fini economici ma responsabilmente.
Non è azzardato ipotizzare che in una municipalità come Belluno, storicamente ostile alla destra, proprio questo astensionismo pesante possa spiegare in parte il dato numerico della fiammata del partito degli avvocati. È ipotizzabile che chi voleva sentire qualcosa di sinistra sia rimasto a casa, con ciò contribuendo a mettere a nudo la fragilità del moderatismo unionista oltre che la crisi della rappresentanza democratica (l’esponente vincente Antonio Prade, della Cdl, con i suoi poco più di 11 mila voti ha a mala pena l’appoggio di un terzo dei cittadini).
Eppure i segnali per il centrosinistra, forti, chiari e dolorosi, erano arrivati già dodici mesi fa, con la sonora batosta subìta da Ermano De Col al ballottaggio, dopo una campagna elettorale contrassegnata dalla litigiosità poltronistica nella coalizione del sindaco uscente (sgradito a troppi alleati). E anche nel 2006 l’astensionismo fu elevato (votò meno del 65%), cinque anni prima l’affluenza era invece elevata (oltre il 77%, 66% al ballottaggio vinto da De Col peraltro con un margine minimo).
Insomma, erano percepibili la richiesta di rinnovamento e la condanna della rissosità e delle vecchie abitudini da segreterie partitiche. La risposta è stata qualcosa di generico del tipo “ascolteremo tutti, lavoreremo per i cittadini”. Bene, si potrebbe sostenere che una politica che ascolta e che lavora per i cittadini (e non per le lobby dei palazzinari, degli asfaltatori, degli sfruttatori di carne umana o dei mercificatori centralizzati) è già qualcosa, anche se resta da vedere come si declinerebbe concretamente.
Tuttavia, se dalla sinistra (socialista, comunista, cattolica, liberale, anarchica…) e dalle sue idealità ripristinate e aggiornate si pretende una risposta alla crisi buia della nostra epoca, bisognerebbe avere ben nitido almeno un concetto: che si lavora “con” i cittadini, non (o non solo) “per”.
Questa – l’aggregazione partecipativa – è la forza storica del pensiero e della prassi di chi – sia pure a latitudini ideologiche diverse – ha avuto e conserva quale bussola dell’agire politico il dualismo oppresso-oppressore (nelle sue articolazioni e sfumature) e la critica del sistema di dominio (economico, culturale, sociale, naturale, nelle relazioni fra umani e del nostro genere con l’ambiente in cui vive).
Su questa base risulta palese che, proprio a partire dai territori, dalle città, dai quartieri, deve connotarsi l’opera delle forze sociali consapevoli della gravità del quadro empirico e della urgenza di ostacolare i processi distruttivi in corso e di innescarne di nuovi nel segno della partecipazione popolare diretta alle decisioni e della responsabilità diffusa.
Parlare di autonomia e di autogoverno è un esercizio puramente retorico se questa ambizione non si cala nella realtà quotidiana.
Significa individuare i numerosi nodi essenziali sui quali incentrare l’attenzione nel’ottica della sostenibilità umana e ambientale, consapevoli che gli interventi per incidere dovranno comprendere l’intera gamma delle criticità contemporanee: salute, mobilità, trasporti, edilizia, gestione del territorio, urbanistica, energia, cultura, formazione, ricerca, risorse naturali, rifiuti, produzioni e consumi…
Nel caso di Belluno, si tratta di ripensare, per esempio, la mobilità con l’ambizione di esprimere un’avanguardia del traporto sostenibile a livello nazionale, ragionando nella dimensione della macroarea urbana che coinvolge larga parte della Valbelluna (ai piedi del Parco nazionale delle Dolomiti) e che dovrebbe indurre il capoluogo e i comuni confinanti di Ponte nelle Alpi e di Sedico a condividere i progetti in una prospettiva di unione istituzionale.
Ma qui come in altri settori, non si è stati in grado di costruire negli anni e dunque di valorizzare nella campagna elettorale un disegno di cambiamento che sapesse riscaldare i cuori e aprire le menti aggregando via via nuove energie umane in una storica avventura collettiva proiettata davvero “nel futuro di noi tutti”, come recitava vent’anni fa un noto e puntuale rapporto Onu sull’ambiente, uno degli allarmi traditi da industrie e governi.
La tornata elettorale era un’occasione per misurarsi su questo terreno. Un’occasione mancata: alla traversata si è preferito il galleggiamento sotto costa regalando il mare all’agguerrito avversario e alle sue mistificazioni così persuasive su un’opinione pubblica quasi disarmata dopo anni di bombardamenti mediatici e politici del “pensiero unico” (poco importa, a quanto pare, che nel frattempo peggiorino gli indicatori delle diseguaglianze sociali e di reddito così come della mortalità e morbilità correlata ai danni sistemici dell’economia di mercato).
Fino dalla vigilia delle primarie il centrosinistra ha inscenato uno spettacolo da vecchia politica, ripercorrendo un copione già visto: personalismi, rivalità, emulazione delle diatribe nazionali, sgarbi e sorrisi a denti stretti. Probabilmente qualche sgambetto nell’oscurità dell’urna. Un bis non richiesto dal pubblico pagante.
È andata come sappiamo: si è riusciti nella mirabolante impresa di fare peggio di un anno fa.
Ora, è salutare che qualcuno se ne assuma la responsabilità e si faccia da parte.
Con la speranza che si emergano così risorse nuove, diverse, aperte alla prospettiva di una demcorazia partecipativa per un progetto di sostenibilità che parta dal basso, dalla comunità degli eguali.
Nel frattempo, con la destra a governare i territori, c’è da augurarsi che riprenda quota un’azione sociale che da anni – forse decenni – appare in buona misura sopita: il risveglio delle sensibilità e delle consapevolezze presenti sul territorio per gettare le basi di un nuovo paradigma di convivenza e insieme per orientarvi – anche contaminandole – le forze partitiche di opposizione e di maggioranza (minimizzando così gli effetti negativi che si temono da queste ultime).
A questo punto, l’evoluzione, la metamorfosi di un centrosinistra ectoplasmico dipenderà proprio dalla capacità del tessuto sociale di farsi protagonista responsabile di un cambiamento che abbandoni il mito dello sviluppo distruttivo per la via del progresso positivo e solidale.
L’alternativa è l’accelerazione, fino al suo completamento, del funesto processo di diluizione delle rappresentanze elettorali di “sinistra” dentro il paradigma dominante. E allora, a salvarci, drammaticamente, potrebbero essere solo nuovi segnali, più potenti e tangibili sulla nostra pelle, dell’entropia che avanza, dell’implosione ambientale e sociale. Se non sarà troppo tardi.
Zenone Sovilla