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Il riscaldamento globale e il totem del mercato

[ da Umanità Nova www.ecn.org/uenne/ ]

Con le attuali politiche sulla mitigazione dei cambi climatici e le conseguenti pratiche di sviluppo sostenibile, le emissioni globali di gas serra continueranno a crescere nei prossimi decenni.
Per gli esperti dell’IPCC (International Panel Climate Change), organismo dell’Onu, le emissioni dei gas responsabili dell’effetto serra dovrebbero smettere di aumentare dal 2015 per poi ridursi gradualmente fino ad un livello inferiore del 50-85% rispetto alla quota registrata nel 2000. In questo modo, sostiene il rapporto reso noto al termine dei lavori di Bangkok, il riscaldamento globale sarebbe contenuto in un intervallo di temperatura compreso tra i 2 e i 2,4 gradi centigradi, la soglia sopra la quale gli studiosi ritengono si corrano gravissimi rischi per l’ambiente.

Diverse le prospettive, a seconda degli scenari definiti, per inquadrare le conseguenze ed individuare i possibili rimedi per scongiurare la sempre più concreta eventualità che il cambiamento climatico in atto si concluda con una crisi ambientale planetaria. Sostanzialmente sono state fissate due scadenze, la prima studia l’arco di tempo che ci separa dal 2030, la seconda arriva alla fine del secolo. Inutile sottolineare che la scienza del clima fa ampio uso di modelli matematici, previsioni statistiche e, ragionando sui tempi lunghi, formula delle ipotesi sulle tendenze più che fornire dati certi ed incontrovertibili; certamente sono ormai pochi gli scienziati che negano la responsabilità dei gas serra emessi dall’uomo in atmosfera quali maggiori responsabili dei cambiamenti climatici in corso. Una posizione, quest’ultima, che potremmo definire più ideologica che scientifica vista la chiara correlazione tra incremento delle emissioni dei gas serra ed aumento della temperatura media dell’atmosfera terrestre.
Nel 2004 le nazioni dell’AnnexI (elenco che comprende i paesi industrializzati) che includono il 20% della popolazione erano responsabili del 46% delle emissioni globali dei gas serra. A questo proposito è interessante sottolineare come la Cina, con il pieno sostegno di India, Brasile e altri Paesi in via di sviluppo, abbia più volte sottolineato, prima di arrivare alla stesura del documento finale, che i Paesi sviluppati hanno contribuito per il 95% alle emissioni di gas serra fino al 1950; e per il 77% dal 1950 al 2000. Come dire, il maggior danno all’atmosfera lo hanno fatto loro e i maggiori oneri per i rimedi li devono affrontare loro. Una recriminazione niente affatto gradita ai delegati europei i quali, pur senza nascondere le colpe storiche dell’occidente industrializzato, data la situazione di emergenza climatica, avrebbero preferito un atteggiamento più collaborativo, più rivolto a ciò che si può fare in futuro per migliorare la situazione, soprattutto considerando la previsione che, entro il 2010, la Cina diventerà il primo emettitore mondiale di gas serra superando gli USA oggi in testa alla classifica. Stati Uniti che negli anni dell’amministrazione Bush non hanno perso occasione di ridimensionare il problema del riscaldamento climatico e di infilare “il bastone tra le ruote” delle iniziative internazionali tese a mitigare gli effetti dell’aumento della CO2 (leggi non adesione al protocollo di Kyoto).
Preso atto delle responsabilità del passato, non si può certo trascurare che, tre quarti della crescita futura delle emissioni sarà dovuta ai consumi di energia dei paesi in via di sviluppo.
Comunque la si voglia vedere, dal 1970 al 2004 l’emissione dei gas serra (in relazione al loro potenziale di riscaldamento) è aumentata del 70% passando da 28,7 a 49 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente (GtCOB2B-eq) la quota totale è risultato degli incrementi parziali. La più ampia crescita è legata al settore della produzione di energia (+145%) mentre per i trasporti l’incremento è stato del 120%, del 65% in relazione alle attività industriali, un +40%, infine, è da contabilizzare nell’ambito dell’utilizzo dei suoli agricoli e come conseguenza della deforestazione.
In seguito agli accordi presi nell’ambito del protocollo di Kyoto e ad alcuni provvedimenti finalizzati a sostenere il cosiddetto sviluppo sostenibile si è verificata una riduzione delle emissioni, ma ciò è avvenuto solo in alcuni settori di alcuni paesi ed in misura assolutamente insufficiente a determinare una concreta inversione di tendenza in ambito globale.
In uno scenario simile all’attuale, in cui non si affronta seriamente il problema, i combustibili fossili manterrebbero, nel loro mix d’uso, una posizione predominante fino al 2030 ed oltre, con un aumento delle emissioni di CO2 stimato tra il 45% ed il 110%. In linea generale da questo rapporto, il terzo sfornato nel 2007, gli esperti dell’ONU sostengono che nei prossimi decenni si dovrà prima contenere e poi diminuire l’emissione dei gas serra in atmosfera. Ciò sarà possibile grazie all’uso delle tecnologie economicamente “sopportabili” dal sistema mercato, alcune già disponibili altre che lo saranno prima del 2030.
Facciamo alcuni esempi.
Per quello che riguarda il fabbisogno energetico si sottolinea la possibilità di migliorare nel breve termine l’efficienza nel rifornimento e distribuzione dell’energia, il progressivo abbandono del carbone a favore del gas, un maggior utilizzo delle fonti rinnovabili e… dell’energia nucleare. Nella prospettiva futura, dopo il 2030, si scommette sullo sviluppo delle fonti alternative insistendo sul solare ma sviluppando anche lo sfruttamento dei flussi di marea o del moto ondoso senza però dimenticare il nucleare di nuova generazione.
Nel settore trasporti, per gli obiettivi più abbordabili si punta su una maggior efficienza dei veicoli a motore, sulla diffusione di veicoli ibridi, diesel più puliti, utilizzo di biocarburanti, il trasferimento dei trasporti dall’asfalto alla rotaia, il tutto in aggiunta ad un rafforzamento dei mezzi pubblici e ad un’attenta pianificazione della rete dei trasporti e senza snobbare gli spostamenti a piedi ed in bicicletta.
Prima del 2030 dovrebbero invece essere disponibili biocarburanti di seconda generazione e veicoli elettrici ed ibridi più avanzati degli attuali.
Per le abitazioni, da subito, una miglior efficienza nell’illuminazione e nel funzionamento gli apparecchi elettrici, miglioramento dell’isolamento termico cui si abbina una miglior efficienza dei dispositivi per riscaldamento e refrigerazione, la progettazione di sistemi attivi o passivi per il riscaldamento solare e la refrigerazione, recupero e riciclo dei gas florurati.
Per le industrie si prefigura un uso più efficiente dei macchinari elettrici, il recupero del calore, il riciclaggio dei materiali, il controllo delle emissioni degli altri gas serra (oltre la CO2).
In agricoltura è auspicabile una gestione dei terreni finalizzata al recupero dei suoli degradati e allo stoccaggio della CO2, parallelamente alla coltivazione delle risaie e all’allevamento del bestiame, con tecniche che riducano le emissioni di metano, la distribuzione di fertilizzanti azotati con tecniche che limitino la dispersione di ossidi d’azoto, la coltivazione di specie adatte alla produzione di bio-combustibili per sostituire quelli fossili.
Indispensabile, infine, la riduzione della deforestazione sostenuta da una campagna di riforestazione ed afforestazione in questo caso il legname prodotto potrà essere impiegato per rimpiazzare i combustibili fossili anche grazie al progetto che punta a selezionare di specie arboree che entro il 2030 incrementino la produttività in biomassa ed in capacità di sequestrare la CO2. Naturalmente in campo agricolo sarà d’importanza fondamentale la disponibilità di acqua, fattore pesantemente influenzato dalle dinamiche dei cambiamenti climatici e non si potrà ignorare che l’ampliamento delle superfici dedicate alla produzione di biomasse finalizzate alla produzione di combustibili provocherà un impatto ecologico non trascurabile determinando anche una potenziale competizione con le aree riservate alla produzione di cibo.

In conclusione, in questa carrellata di rimedi prossimi e venturi non poteva mancare un riferimento ai rifiuti per cui, sempre secondo il rapporto IPCC, è necessario il recupero del metano esalante dalle discariche, il recupero di energia dagli impianti d’incenerimento, il compostaggio dei residui organici con particolare attenzione al riciclo e riduzione dei rifiuti fattori attraverso i quali si eviterebbe l’inutile spreco di energia e di materiali.

È chiaro che non ci può essere un vantaggio significativo nella riduzione delle emissioni se non si concretizza uno sforzo concomitante in tutti i settori citati; nel rapporto si sottolinea anche il contributo che i comportamenti individuali possono garantire attraverso la modificazione dello stile di vita. Uno stile di vita a bassa emissione di gas serra prevede, secondo gli studiosi convenuti a Bangkok, differenti modelli culturali, scelte responsabili effettuate come consumatori.
Se da un lato si ritiene indispensabile un’attenta pianificazione dei centri urbani, la formazione di una classe dirigente che sappia, nell’organizzazione delle attività industriali, tenere conto degli obbiettivi di riduzione della CO2, dall’altro si sottolinea che anche la scelta del mezzo di trasporto e lo stile di guida influenzano la contabilità totale delle tonnellate di gas serra immessi quotidianamente in atmosfera. I membri dell’IPCC si preoccupano di dare consigli che siano compatibili con il totem del dio mercato. Naturalmente ci sono dei costi da sostenere per favorire e sviluppare le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. Sempre nel rapporto dell’IPCC si legge che i costi stimati variano a seconda degli obbiettivi da raggiungere e dei paesi coinvolti, ma mediamente risulterebbero compatibili al mercato perché, pur influenzando negativamente il PIL, produrrebbero dei co-benefici, ad esempio sulla salute umana grazie alla diminuzione dell’inquinamento e, a fronte di maggiori investimenti per l’introduzione di nuove tecnologie, si potrebbero poi ottenere minori costi di produzione, come potrebbero pure essere superate alcune inefficienze del mercato cancellando tasse o sovvenzioni.
I prossimi 20-30 anni saranno decisivi per stabilizzare la presenza di CO2 in atmosfera e permetterne la successiva diminuzione, tanto più velocemente si bloccherà il picco di concentrazione dei gas serra e tanto meno complicato sarà passare all’inversione di tendenza.
È palese che nella parte del rapporto che indica le linee guida per i decisori politici gli esperti dell’ONU assegnino un ruolo fondamentale ai governi e alle loro scelte istituzionali, ma, al di là delle posizioni dei singoli stati, per noi rimane fondamentale che ognuno sia soggetto attivo nelle scelte che lo riguardano. Per intenderci, non crediamo che una società con meno CO2 e con più centrali nucleari sia una società in assoluto migliore, né ci interessa essere sottomessi ad una classe dirigente con una spiccata sensibilità ambientale. Rimane basilare la cooperazione di tutti gli abitanti del pianeta che pur operando in sinergia allo scopo di evitare un disastro ecologico non dovrebbero però dimenticare che è ugualmente necessario riequilibrare la distribuzione delle risorse poiché tutti hanno diritto ad una vita parimenti dignitosa. Non si può vivere felici nel “giardino” dove qualcuno usa l’acqua per i fiori e qualcuno non ne dispone per far crescere il grano.

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