«Altro che libero scambio, questo è libero schiavismo ». In una battuta della protagonista (Jennifer Lopez) c’è il filo conduttore di «Bordertown», il film di Gregory Nava uscito lo scorso weekend, ispirato alla realtà di Ciudad Juarez, metropoli messicana di frontiera. Qui, dopo il trattato Nafta del 1994, sono aumentate a dismisura le fabbriche (comproprietà Usa e di oligarchie locali) che producono a basso costo beni di consumo, dai computer ai televisori, per il vicino mercato nordamericano. L’utilizzo cinico e spietato di manodopera sottopagata e priva di tutele sindacali non ha incrinato l’appeal di queste aziende-prigione, le «maquiladoras», che lungo tutto il confine fra i due Stati sono circa tremila (erano di più, varie centinaia ultimamente se ne sono andate) e impiegano un milione di lavoratori. Molti arrivano consapevoli di trovarci condizioni pesanti, ma coltivano il «sogno» americano: guadare il Rio Bravo. Ma la schiavitù legalizzata non è l’aspetto più inquietante, nel caso di Ciudad Juarez: purtroppo c’è dell’altro ed è il nucleo della narrazione cinematografica. Dal 1989 a oggi sono stati trovati centinaia di cadaveri (ma alcune fonti parlano di migliaia) di giovani operaie violentate e uccise mentre di notte o di primo mattino (i turni sono continui), senza alcuna protezione, andavano o tornavano dal lavoro, fra la città e le periferie degradate o le baraccopoli in cui abitavano.
Eva è una di loro e mediante la sua storia, che si intreccia con quelle dei giornalisti investigativi interpretati dalla Lopez e da Antonio Banderas, il film racconta il doppio incubo di questa umanità calpestata, vittima di una tragedia sulla quale tutti i potenti (politici, polizia e imprenditori Usa e messicani) si sforzano di mettere il silenziatore: insabbiare per non turbare l’equilibrio dei giganteschi profitti per pochi sulla pelle di molti.
La pellicola, pur cadendo nei clichè del «poliziesco» americano, riesce a colpire lo spettatore – fra emozione e ragione – con un messaggio forte e chiaro di verità, che ci interroga anche sulle forme di sfruttamento in atto nella nostra società.
Su Ciudad Juarez, accanto a «Bordertown», va ricordato anche il bel documentario italiano «Maquillas» di Giuseppe Gaudino e Isabella Sandri (Fandango). Entrambi da non perdere. A meno che il nostro sport preferito non sia far finta di non vedere come vanno realmente certe cose.
Zenone Sovilla