[ da Aprile – www.aprileonline.info ] di Marzia Bonacci
Cosa significa la caduta dell’esecutivo di Romano Prodi per il movimento anti base? Ne parliamo con Giancarlo Albera, portavoce dei comitati No Dal Molin
Giancarlo Albera, portavoce del coordinamento dei Comitati di cittadini di Vicenza contrari alla base americana e sostenitori del referendum, ci racconta come la sua comunità sta vivendo la caduta del governo Prodi e quali prospettive si aprono, e si temono, in questo momento di incertezza politica. La questione di Vicenza infatti – anche se all’interno di uno scenario più globale rappresentato dalla politica estera e dai rapporti di forza intessuti con gli Usa – ha sicuramente giocato sfavorevolmente alla tenuta del governo che, secondo Albera, non ha saputo cogliere la vera natura della protesta anti Dal Molin, nonché la sua importanza.
Cosa significa per il movimento anti base la caduta del governo Prodi?
Significa il profilarsi di un rischio che è quello di scivolare dalla padella alla brace, come si dice nel gergo linguistico comune. Noi siamo motivati a non far realizzare questo insediamento militare ma chiaramente se viene meno il governo, che è comunque stato fino ad ora il nostro interlocutore privilegiato, questo obiettivo rischia di allontanarsi, di sfumare.
Nello specifico, rispetto a ciò che è accaduto ieri, quello che mi lascia stupito è che la maggioranza sia potuta cadere, fra le altre cose, anche per una scelta compiuta dal precedente esecutivo. Mi riferisco alla questione appunto di Vicenza e della base americana, che ha sicuramente contribuito ad alimentare quel clima di scontro culminato nella bocciatura di ieri al Senato. Ma la scelta di rendere il territorio vicentino disponibile ad accogliere un altro insediamento militare è stata opera del vecchio esecutivo, quello di Silvio Berlusconi, che circa tre anni fa si disse disponibile verso le richieste di Oltreoceano. In sostanza, in questa difficile partita è uscito vincitore solo il sindaco di Vicenza.
Si, ma l’esecutivo di centrosinistra ha avuto le sue colpe nella gestione della situazione vicentina…
Un governo che ha al suo vertice un ex presidente della Commissione europea, quale è stato appunto Romano Prodi, e che si dimostra comunque sordo alle richieste che provengono da una intera cittadinanza e che non hanno solo carattere localistico, non può trovare giustificazione. Noi ci aspettavamo infatti che Prodi rispondesse alle nostre istanze mettendo in discussione a livello europeo la politica estera verso gli Usa, i rapporti bilaterali. Aveva tutte le carte per farlo, per porre la questione delle servitù americane anche in sede comunitaria: la Germania, per esempio, vive un problema analogo al nostro e Prodi avrebbe potuta renderla un alleato prezioso per creare un rapporto nuovo, autonomo, alla pari con gli Usa. I trattati internazionali possono essere ridiscussi se cambia il contesto storico-politico, soprattutto se muta a livello europeo. Era un tema centrale e solo adesso lo si riconosce come tale, adesso che il governo è caduto, anche per causa del rapporto che ha intessuto nei confronti degli Stati Uniti.
Quanto ha contribuito la questione vicentina nella bocciatura di ieri a Palazzo Madama e nella caduta del governo?
Vicenza ha sicuramente avuto il suo peso ma è stata sottovalutata. Noi siamo andati più volte a Roma per spiegare alle istituzioni cosa stava accadendo a Vicenza, come il movimento contro la base americana, sebbene politicamente trasversale, fosse in verità animato soprattutto da elettori del centrosinistra che cominciavano a sentirsi traditi dal governo, che vedevano sfumare quella promessa elettorale contenuta nel programma con cui L’Unione ha vinto le elezioni: rivedere le servitù militare e procedere ad una diminuzione della spesa in questo settore. Ma non abbiamo trovato l’ascolto che meritavamo.
Il presidente della Repubblica Napolitano da Bologna, sempre nella giornata di ieri, ha sostenuto che “le manifestazioni di massa e di piazza non sono il sale della democrazia” laddove il punto di riferimento decisionale devono comunque essere le istituzioni…
Sono dichiarazioni inaccettabili. Il problema della base americana a Vicenza era già esistente da tempo e la piazza lo ha solo reso più visibile, ha solo contribuito a riproporlo al centro dell’attenzione pubblico-politica. Il governo però non ha capito il carattere nazionale e globale di questa questione vicentina: il nucleo problematico è che la base americana a Vicenza non è un problema locale, ma internazionale, europeo. E’ il tema del rapporto con gli Usa, delle servitù militari, dell’indipendenza e dell’autonomia di un paese verso un altro.
La vicenda del Dal Molin ha riproposto un problema che da tempo serpeggia nell’agone democratico e cioè quello di una crisi di rappresentanza. Cosa pensi in proposito?
Sicuramente ha permesso al tema di riaffiorare. La rappresentanza politica non può non essere a contatto con la base, con l’elettorato. Ed infatti cento parlamentari della maggioranza hanno fatto propria la questione vicentina, attraverso un contatto diretto e un ascolto aperto delle istanze che provenivano da questa comunità. Il governo però non ha saputo valorizzare e valutare questo loro contributo, tanto che nessun rappresentante dell’esecutivo, in senso stretto, è mai venuto a visitare Vicenza.
Perché è potuto accadere tutto questo?
Perché non si è voluta capire la vera natura della questione di Vicenza, che non è certo un problema urbanistico, come ha affermato il presidente Prodi. E soprattutto, se il motivo del contendere fosse stato solo quello dell’impatto ambientale e urbano prodotto dalla base, allora dovevamo essere noi in caso a sollevarlo, non certo l’esecutivo. Vicenza al contrario era ed è un problema che riguarda la politica internazionale, i rapporti bilaterali: argomenti che andavano affrontati e ridefiniti con un confronto politico e pubblico serio, anche e soprattutto a livello europeo. Nel movimento vicentino infatti queste due anime convivono e si alimentano perché sono legate fra loro: il tema dell’impatto ambientale e della qualità della vita, che la base potrebbe compromettere, non può non essere legato a quello della militarizzazione e delle relazioni con gli Usa.