[ da www.carta.org ]
E adesso chi lo spiega, ai lettori, il fatto che mentre giornali e televisioni rovesciano su tutti noi uno tsunami di parole sulla crisi di governo, Carta settimanale se ne esce con una copertina su Armani? “Ovviamente tu”, hanno detto in coro tutti quanti, qui in redazione [si ricordano che sarei il “direttore” solo in queste occasioni]. Perciò, ecco, cercherò di dire per quale ragione sembreremo matti, sabato in edicola. Una prima spiegazione, assai banale, è che noi, siccome siamo poveri, dobbiamo chiudere, cioè terminare di confezionare il settimanale, il martedì sera, per essere appunto in edicola il sabato. Mercoledì, giovedì e venerdì sono per noi, da un certo punto di vista, e fatto salvo il diuturno lavoro di informazione su questo sito [sabato 17 abbiamo prodotto 50 “lanci”, o notizie in diretta dalla manifestazione di Vicenza], una specie di triangolo delle Bermuda. Può succedere di tutto, compreso che cada il governo, senza che noi possiamo farci niente.
Aggiungerò però una ragione a prima vista incomprensibile. Se anche, mercoledì pomeriggio, avessimo potuto rifare la copertina e riscrivere parte del giornale, avrei deciso – certo di non andare in minoranza – di lasciare le cose come stavano. Con la copertina su Armani. Una decisione pazzesca? Mah. Mercoledì sera ho acceso la televisione e usato il telecomando per fare un giro, e ho ascoltato – due minuti ciascuno – i seguenti talk show, tutti in onda nell’arco di tre ore: Otto e mezzo e l’Infedele sulla 7, Matrix su Canale 5, Ballarò e Primo Piano su Rai3, Porta a Porta su Rai1. Di sicuro me n’è sfuggito qualcuno. E siccome tutti ci spiegano che, per stare sul mercato, bisogna offrire prodotti originali, cosa di meglio di una copertina su Armani mentre tutti, rubandosi a vicenda gli ospiti, parlano ossessivamente dello stesso argomento?
C’è però soprattutto un motivo fuori mercato, per una scelta così. Molto modestamente, e non capendo nulla di politica, avremmo una opinione, sulla caduta del governo Prodi, poco commerciabile. Ovvero: sembra, a leggere volonterosamente le decine di pagine sui giornali o ascoltando appunto i talk show, che il voto che ha mandato gambe all’aria il centrosinistra sia spiegabile – alla maniera di C.S.I. Miami – come una pallottola sparata in un ambiente chiuso e che quindi rimbalza qui e là colpendo a caso. Esiste un dibattito per così dire virtuale che riguarda essenzialmente la rispettiva collocazione delle forze politiche, e di loro schegge, la cui dinamica è indipendente da qualunque fatto reale [sociale, ambientale, bellico, ecc.], o in cui al massimo i fatti reali [come Vicenza] compaiono in qualità di pretesti, occasioni di concorrenza e scontro. Un esempio? Giovedì mattina, quando i talk show sono ricominciati, ho sentito Rocco Buttiglione ricominciare la frase che aveva interrotto la sera prima in non so quale tv: restare fedeli alle alleanze internazionali che abbiamo stretto da De Gsperi in poi ecc. E il mio amico Ramon Mantovani gli ha risposto: guarda che il mondo è cambiato, nel frattempo.
Argomento tanto forte quanto inutile, in quel contesto: le “alleanze internazionali” sono sì una cosa seria, anzi drammatica [vedi Vicenza o l’Afghanistan], ma sono anche un “a priori”, qualcosa di cui non si parla per stabilire che cosa affettivamente l’Italia potrebbe fare per evitare la guerra, ma per stabilire se si è più o meno “atlantici”, dunque più o meno ammissibili al governo, ecc. L’editoriale con cui giovedì mattina Ezio Mauro, direttore [lui sì] della Repubblica, ha commentato la crisi era in questo senso esemplare: una invettiva contro la “sinistra radicale”, accusata di “aver tirato troppo la corda”, quando essa, poverina, cercava di stare al programma dell’Unione e caso mai chi ha tirato la corda è chi ha deciso che la base Usa di Vicenza era una “questione urbanistica” [si possono fare decine di esempi di “strappi” al programma ad opera di rutellisti e diessini vari].
Quindi cercare di restare aggrappati al suolo e resistere alle fortissime correnti ascensionali che rischiano di trasformare le questioni vere, quelle che costano fatica e dolore alla società, in mongolfiere impazzite, è il meno che un giornale come il nostro possa fare. Ad esempio, Prodi in India. Tutti, ma proprio tutti, si erano congratulati per la “missione” dell’ex presidente del consiglio nella seconda “potenza economica” dell’Asia. Prodi con trecento imprenditori alla conquista del Grande Mercato. Nessuno, ma proprio nessuno, che si fosse preoccupato di chinarsi a guardare il prezzo di questo “sviluppo” per contadini e lavoratori e gente comune dell’India. A chi frega? A noi sì, frega di sapere che in una fabbrica in cui si confezionano i jeans targati Armani [di cui si festeggia il trentesimo di successi] gli operai vengono bastonati, pagati con salari da fame e, in un caso almeno, trovati uccisi quando si ribellano. Così come ci frega che l’alleato di Fiat, la grande potenza industriale Tata, stia rapinando terra a poveracci, con il saldo di arresti e morti ammazzati.
Dirò di più. A mettere davvero in difficoltà il governo Prodi non sono stati i voti di Turigliatto o di Cossiga, ma la cieca pervicacia con cui si è perseguita la via della “crescita” applicando ricette vecchie e dannose, tutte rese indiscutibili [la corda da non spezzare] dagli interessi di industriali, grande finanza, imprese di costruzione, raccoglitori di Cip6 [i miliardi regalati a chi produce energia sporca spacciata per “alternativa”], privatizzatori di beni comuni e servizi pubblici. La faccenda di Vicenza, l’obbedienza idiota a una amministrazione statunitense in crisi, è il corollario di questo atteggiamento. Il che ha creato un accumulo molto rapido di vera e propria delusione tra gli elettori del centrosinistra, che, prima o poi, doveva diventare la base di una crisi.
Temo che il Prodi bis non sarà migliore, da questo punto di vista, del numero uno. Già si parla di mettere da parte il programma dell’Unione [che è poi quel che gli elettori hanno votato] e di un “patto di ferro”. Staremo a vedere. Intanto distraetevi, informatevi su cosa ci sia dietro l’inquietante aquila che fa da logo all’impero di Giorgio Armani.
[ da www.carta.org ]
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