[ Da Amnesty International – www.amnesty.it ]
La globalizzazione dell’industria armiera ha aperto ampie scappatoie nelle norme che regolano l’esportazione delle armi, consentendo vendite verso chi viola i diritti umani e verso paesi sotto embargo. È l’accusa contenuta in un nuovo rapporto della campagna Control Arms, lanciata nel 2003 da Oxfam International, Amnesty International e Iansa (la Rete internazionale d’azione sulle armi leggere).
Il rapporto, intitolato “Armi senza frontiere”, viene diffuso oggi in occasione dell’apertura della sessione annuale dell’Onu dedicata ai controlli sulle armi e alla vigilia di un voto decisivo per avviare i negoziati su un Trattato internazionale sul commercio di armi.
La campagna Control Arms rivela come aziende statunitensi, canadesi e dell’Unione europea siano tra coloro in grado di aggirare i controlli, attraverso la vendita di singoli componenti e il subappalto della produzione in altri paesi. Secondo il rapporto, svariate armi – compresi elicotteri d’attacco e veicoli da combattimento – vengono assemblate grazie a componenti provenienti dall’estero e prodotte sotto licenza in paesi come Cina, Egitto, India, Israele e Turchia. Questi e altri armamenti vanno a finire in altri paesi come Colombia, Sudan e Uzbekistan e vengono usati per uccidere e costringere la popolazione civile alla fuga. Tutto questo rende evidente quanto sia impellente la necessità di norme globali per regolare un’industria sempre più globalizzata.
“Il nostro rapporto mette in luce la vera e propria litania di scappatoie e di vite distrutte. L’industria armiera è globale, le norme per controllarla no. Il risultato è che stiamo armando regimi che violano i diritti umani. L’Europa e il Nordamerica stanno rapidamente diventando l’IKEA di quest’industria, fornendo singoli componenti a chi viola i diritti umani, che poi se le assemblea a casa. Nelle istruzioni, l’etica è del tutto esclusa. È giunto il momento di adottare un Trattato sul commercio delle armi” – ha dichiarato Jeremy Hobbs, direttore di Oxfam International.
Il rapporto denuncia due principali scappatoie che consentono all’industria delle armi di aggirare legalmente le regole, compresi gli embarghi:
Non puoi vendere intero, ma puoi vendere a pezzi
L’Unione europea ha in vigore un embargo sulle armi nei confronti della Cina; gli Usa e il Canada rifiutano di vendere elicotteri a Pechino. Eppure il nuovo elicottero d’attacco cinese Z-10 non potrebbe volare senza componenti e tecnologia di un’industria italo-britannica (AgustaWestland), di una canadese (Pratt & Whitney Canada), di una statunitense (Lord Corporation) e di una franco-tedesca (Eurocopter). La Cina ha già venduto elicotteri d’attacco a svariati paesi, tra cui il Sudan, contro cui vige un embargo totale sulle armi dell’Unione europea e uno parziale dell’Onu.
L’elicottero Apache, usato da Israele nel recente conflitto libanese, è composto da oltre 6.000 singoli pezzi prodotti in vari paesi del mondo, tra cui Irlanda, Olanda e Regno Unito. In base al Codice di condotta dell’Unione europea sull’esportazione di armi, questi paesi dovrebbero rifiutare di esportare elicotteri d’attacco verso Israele.
Non puoi vendere da qui, ma puoi vendere da un’altra parte
Nel maggio 2005, le forze di sicurezza dell’Uzbekistan aprirono il fuoco su una manifestazione, uccidendo centinaia di persone. Nel corso di questo massacro, usarono veicoli militari Land Rover, costruiti per il 70 cento con componenti britannici. Le Land Rover erano state spedite a pezzi in Turchia e lì assemblate, attrezzate come veicoli militari e inviate all’Uzbekistan. Il governo britannico non ha avuto alcun controllo su questo affare, dato che i veicoli non sono stati assemblati e convertiti a uso militare in territorio britannico.
“I produttori dell’Unione europea non devono sacrificare i profitti in nome dei principi: basta subappaltare!” – ha accusato Rebecca Peters, direttrice di Iansa. “Ad esempio, l’industria austriaca di pistole Glock sta cercando di aprire uno stabilimento in Brasile. Se lo farà, sarà in grado di aggirare il Codice condotta europeo vendendo le sue pistole dal Brasile”.
Il rapporto della campagna Control Arms illustra anche come la tecnologia, che sta rivoluzionando l’industria armiera, è spesso la stessa che viene usata nelle nostre case. Per esempio, i processori del segnale digitale presenti negli ultimi modelli di lettori dvd sono gli stessi usati nei sistemi aereomissilistici per l’acquisizione del bersaglio; tuttavia, quando la tecnologia viene venduta per essere usata dagli aerei militari, non è regolamentata.
“Le leggi sul commercio delle armi sono così datate che è più difficile vendere un elmetto che le parti da assembleare di un’arma mortale. Il mondo ha bisogno di un efficace Trattato internazionale sul commercio di armi che fermi le esportazioni verso coloro che commettono violazioni dei diritti umani” – ha commentato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International.
Qualche dato
Alla fine di quest’anno, si stima che la spesa militare raggiungerà la cifra senza precedenti di 1058,9 miliardi di dollari Usa, quindici volte le somme destinate agli aiuti internazionali. Si tratta di una cifra più alta di quella record registrata negli anni 1977-1978, in piena Guerra fredda, che comparata ai prezzi d’oggi equivarrebbe a 1034 miliardi. Nel 2005, Usa, Russia, Regno Unito, Francia e Germania hanno complessivamente totalizzato l’82 per cento dell’export mondiale di armi. Nell’elenco delle prime cento industrie armiere del mondo figurano ora anche industrie di Brasile, Corea del Sud, India, Israele, Singapore e Sudafrica.
Ulteriori informazioni
In Italia la campagna è rilanciata dalla Sezione Italiana di Amnesty International e dalla Rete italiana per il Disarmo. Oltre a contribuire alla grande mobilitazione mondiale, i promotori intendono agire per migliorare gli strumenti legislativi e di trasparenza esistenti in Italia sul commercio di armi. Il nostro paese è infatti il quarto produttore e il secondo esportatore mondiale di armi leggere, eppure la nostra legislazione è vecchia di 30 anni e ad oggi non esiste alcuna forma di controllo sugli intermediatori internazionali di armi.