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Costituzione e Resistenza

di Nino Recupero *

RESISTENZA E COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA: COSA SONO STATE PER ME (per la mia generazione)? Ha ancora un senso celebrare il 25 aprile, oggi? In fondo, è roba di mezzo secolo fa. Cosa c’entra il fascismo del Novecento con i temi di lotta sulla globalizzazione del Terzo Millennio? L’immagine che noi possiamo trasmettere a giovani che hanno all’incirca l’età di Carlo Giuliani, si confonde facilmente con l’immagine di quelli che invece la Resistenza l’hanno fatta veramente, cioè di chi aveva vent’anni nel 1943-1945.
La mia generazione, la prima nata e cresciuta in regime repubblicano, di Costituzione e di Resistenza all’inizio non sapeva nulla: nulla ci dicevano a scuola, nulla nella vita politica. Per circa venti anni, dal 1948 al Sessantotto, la Costituzione infatti è stata “congelata” o “sospesa” dalla élite politica. Erano gli anni della Guerra fredda, della lotta spietata contro il comunismo da parte della Nato.
La Democrazia Cristiana, che governava l’Italia con l’assenso nordamericano (una DC nella quale un Andreotti occupò fin da subito cariche ministeriali) riteneva che alcuni punti della Costituzione fossero troppo pericolosi, ad esempio l’art. 1, dove si parla di Repubblica “fondata sul lavoro”, o l’art. 11, col “rifiuto della guerra come strumento di soluzione delle controversie internazionali”, e ancora le norme sull’autogoverno delle regioni e la Corte Costituzionale.
Tra l’altro si voleva far credere agli Italiani che Repubblica e Costituzione fossero arrivate in Italia alla buona, per voto popolare e all’unanimità. Non è vero. Senza la Resistenza, senza la lotta armata contro i nazisti e i fascisti non ci sarebbe stata nemmeno la Costituzione né la possibilità di votare. La monarchia resistette fino all’ultimo minuto, letteralmente, prima di piegarsi alla volontà popolare. La destra italiana già dal secolo precedente aveva manifestato la sua preferenza per la politica del bastone, del carcere, della repressione cieca: il fascismo non è nato per caso nel nostro paese. E nemmeno è stato sconfitto per caso. Per abbatterlo ci volle, oltre lo sforzo bellico degli Alleati, la guerra partigiana: “partigiana” cioè la guerra di chi, per buoni fini, si assume la responsabilità di essere “di parte”, mentre il fascismo voleva far credere che gli Italiani fossero tutti in blocco una sola volontà: la volontà di “Lui”, del capo (Mussolini, intendo).
Chi denigra la Resistenza, dice: durante il fascismo tutti gli Italiani erano fascisti. Dice che i partigiani in realtà furono poche decine di migliaia. Certo: vorrei vedere, dopo vent’anni di regime totalitario, quando intorno a te non vedi nient’altro. Ma la gente è intelligente, e nei momenti di crisi tutta l’intelligenza di un popolo viene fuori. I disastri della guerra assurda e perduta, il paese distrutto, l’arroganza dei nazisti tedeschi costrinsero tutti a ragionare, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Mio padre, vecchio liberale, distrusse le fotografie del suo matrimonio, perché vi compariva in divisa fascista com’era di moda a quell’epoca.
Non era un voltagabbana, semplicemente aveva preso posizione. Mio zio era ufficiale dell’esercito; rifiutò di servire sotto i tedeschi, si fece venti mesi in campo di concentramento vicino Auschwitz e tornò, a piedi, con i capelli bianchi, un anno dopo la fine della guerra. Nessuno dei due era comunista o socialista o rivoluzionario: semplicemente, come milioni di Italiani, anche loro “fecero la Resistenza” come poterono, come dovevano.
Per me, loro figlio e nipote, scoprire la Resistenza vent’anni dopo – tra 1960 e 1962 – fu un atto di scelta. Ce l’avevano tenuta nascosta, dovemmo studiarla. Capimmo che la democrazia parlamentare, il diritto di parola, la libertà di stampa, che in Inghilterra o in Francia o in America apparivano “naturali”, da noi in Italia non ce li aveva regalati nessuno, erano stati pagati col sangue dei nostri padri e dei nostri zii, e delle loro donne anche. Ogni generazione filtra il passato e sceglie ciò che ritiene giusto. La mia generazione ha abbracciato deliberatamente il 25 aprile: significava credere nella democrazia, e nello spirito della democrazia ancora più che nella lettera.
Non solo Costituzione e Resistenza andavano difese, ma addirittura ampliate e attualizzate. Non nascondiamo i fatti scomodi: diverse ali del movimento, dopo il Sessantotto, credettero che anche il modello di guerriglia armata fosse rimasto attuale, che bisognasse ancora sparare, perché la democrazia era minacciata. Fu il tragico errore di persone come Giangiacomo Feltrinelli, errore che si spiega con l’atmosfera di quei momenti di “stragi di stato” (ancor oggi misteriose e impunite), o del colpo di stato di Pinochet in Cile, che qualcuno auspicava anche da noi. Ma a vincere furono ancora una volta gli ideali della Resistenza, perché a difendere e allargare la democrazia non furono i colpi di pistola bensì le sterminate lotte di massa, con la conquista dello Statuto dei lavoratori e almeno in parte dello Stato sociale.
Oggi ci dicono: la Costituzione non è immutabile, lo Statuto dei lavoratori si può cambiare, chi difende quelle posizioni è una mummia passatista. Rispondo: cambiare la Costituzione restando fedeli al suo spirito, per accrescere gli spazi di democrazia, ma certamente! E’ quello che abbiamo cercato di fare negli ultimi trent’anni. Ma a chi dice “cambiare” però intende “restringere”; a chi vuole concentrare il potere, a chi vuole far finta che non esista l’art. 11 e il rifiuto della guerra, a chi vuole una magistratura asservita al governo, a chi vuole limitare le libertà sindacali… a questi io credo che bisogna rispondere: No; al di là di quel confine che è la Costituzione non si torna indietro.
Perciò penso che noi, seconda generazione della Resistenza, possiamo ancora riproporla ai più giovani, con speranza di essere ascoltati. Non vogliamo trasmettervi una realtà mummificata ma un insieme di principii, un ideale.
Viveteli come credete, rendeteli adatti a voi e ai vostri tempi, modificateli, fateli vivere! Perciò credo che valga ancora la pena di riunirsi e di sfilare il 25 aprile, data della Liberazione d’Italia dal nazifascismo.

Il professor Nino Recupero è morto la notte tra il 2 e il 3 novembre 2003. Negli ultimi mesi di vita si era avvicinato anche al gruppo che anima Nonluoghi. Nino era nato a Catania nel 1940 e insegnava Storia moderna alla facoltà di Scienze politiche dell’Università di Milano, dove da tre anni teneva anche i corsi di Storia delle istituzioni politiche e sociali.
Questo articolo era comparso su un numero speciale per il 25 aprile del giornale del Catania Social Forum “L’isola possibile”.

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