Un mese e mezzo fa è morto a 85 anni Murray Boochkin, anarchico americano, fondatore dell’ecologia sociale. Bookchin si è spento nella sua casa di Burlington nel Vermont, lo stato Usa in cui si trova l’istituto di cui egli fu tra i fondatori nel 1974.
Pubblichiamo una biografia e un articolo di Bookchin.
Articolo di Bookchin gentilmente concessoci dal Centro studi e ricerche per la pace dell’Università di Trieste
Il capitalismo e la crisi ambientale
di Murray Bookchin
Al di là del legame altamente tecnologico esistente fra capitalismo e guerra, non vi è alcuna caratteristica specifica che accomuni o separi i due. La scoperta dei metalli (rame, bronzo, ferro e simili) per forgiare strumenti ha portato invariabilmente al loro uso come armi. Il capitalismo in quanto storia della competizione ha talmente accelerato lo sviluppo dell’industria bellica che risulta difficile credere che l’Età del Ferro sia realmente iniziata solo 5000 anni fa circa e che l’Età del Bronzo, prima ancora, sia durata solo pochi secoli — con aumenti colossali del numero delle guerre.
Nel giro di un solo secolo, l’attuale associazione delle guerre con forme di competizione capitalistica ha prodotto ciò che Dwight D. Eisenhower, il presidente americano degli anni 50, in modo assolutemente calzante chiamava il “complesso militare-industriale.” Le tecnologie della guerra e del capitalismo sono diventate totalmente connesse. In effetti è abbastanza corretto affermare che la guerra e la tecnologia sono totalmente connesse. Il presente conflitto in Iraq ha generato una situazione in cui ogni passo nella sofisticazione della tecnica carattterizza l’età in cui si realizza. Di conseguenza, oggi non abbiamo più un’Età del Ferro, iniziata alcune migliaia di anni fa, ma un’Era atomica, iniziata appena pochi decenni fa. Oggi le armi strategiche come i missili possono essere sparate dalla spalla di un uomo che li regge.
Altri progressi tecnologici “futuristici” progettano l’emergere di un’Era Solare e di un’Era dell’Idrogeno — con la prospettiva di guerre basate su questi combustibili. L’industria capitalistica si è accaparrata tutto ciò che ha trovato utile in una misura che solo poche generazioni fa non poteva essere immaginata — e lo stesso ha fatto con le guerre che nessuno ormai crede possano essere evitate fintanto che continuano a sussistere relazioni sociali di tipo capitalistico.
Ma l’uso di una base di risorse tanto diversificata è incompatibile con un’economia che vive di competizione — ovvero per la crescita in nome della crescita stessa. Il capitalismo non soltanto ricostruisce se stesso continuamente (come Karl Marx mise in evidenza nel Capitale ) ma si ricostruisce su una base in continua espansione . E non solo espande la propria base di risorse ma si diversifica ulteriormente ad una velocità straordinaria. Ciò che oggi può solo essere immaginato diventerà quasi certamente una realtà in futuro, in modo così malleabile e creativo che non si vedono limitazioni capaci di contenere i peggiori orrori.
In una società basata sulla crescita in nome della crescita, senza costrizioni morali che la inibiscano, il mondo intero è soggetto a essere ricostruito — e nel peggiore dei modi. La “prima natura”, come la chiamava Cicerone (il mondo naturale che si è evoluto senza l’intervento della mano umana) e la “seconda natura” (la forma dell’evoluzione naturale guidata dal pensiero e dalle azioni umane) si trovano oggi in aspra contrapposizione al livello delle forme di vita complesse. La nostra “seconda natura” minaccia di semplificare drasticamente la “prima natura” dalla quale noi stessi come specie e tutte le altre forme di vita complesse siamo emersi. Eppure, ciò che è clamorosamente evidente è che nessuna delle due forme di natura può esistere senza l’altra. È un’idiozia dei moderni primitivisti quella secondo la quale dovremmo tornare totalmente al passato primordiale per evitare il suicidio della specie — anche se questo non è più possibile senza che si verifichi quello stesso suicidio che un tale ritorno produrrebbe. Non possiamo tornare alle caverne così come non possiamo creare il paradiso tecnocratico di Buckminster Fuller senza arrivare all’auto-annichilimento.
Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è una trascendenza o Aufhebung di entrambe le nature, la “prima” e la “seconda”, per arrivare a una fusione e a un progresso oltre queste due in una “natura libera”, in cui gli elementi migliori delle due diano vita a un’età guidata dalla spontaneità della “prima natura” e dalla razionalità della “seconda.” Mi riferisco a una natura pensante che può percepire la realtà attorno a sé e scegliere in modo ragionato le alternative e le improvvisazioni insite nella creazione di un’evoluzione sapiente della vita. Questa nuova natura rifiuterebbe le grandi conurbazioni che hanno preso il posto della terra coltivabile, i rifiuti che inquinano vaste aree degli oceani, i veleni letali che infestano la catena alimentare umana, i cambiamenti climatici che causano il cancro della pelle e dei polmoni — eccetera.
Lasciatemi spiegare che questa nuova natura tenterà di armonizzarsi combinando le caratteristiche migliori e più razionali della prima e della seconda natura. Combinerà ciò che è strettamente umano, come ad esempio le macchine, con ciò che è strettamente non-umano, come la fotosintesi, in un sistema orientato in senso antropo-ecologico di ecologia sociale. Sarà allo stesso tempo restaurativo e creativo, facendoci ritornare a un tempo in cui l’umanità si trovava ancora sulla soglia tra la biologia e l’antropologia. Sarà una cultura creata in modo cosciente e costruita in modo spontaneo. E sarà una cultura che combina il gioco libero della prima natura con il progetto ragionato della seconda, che risponde ai bisogni dell’istinto e della mente, dello spirito e del pensiero, del riconoscimento di una necessità e della conoscenza dell’universo aperto dell’incognito e delle contraddizioni.
E inoltre, formerebbe un unico tessuto della conoscenza appena distinguibile di un mondo remoto e del ricco discernimento di un mondo che è ancora in divenire. Come la filosofia, sarebbe la conoscenza di ciò che è stato assieme a ciò che è in via di realizzazione. L’umanità è sempre stata su questa soglia, ed è proprio questo che ha reso la nostra specie tanto particolare e creativa. La parola ecologia è essenzialmente un modo naturalistico per dire dialettica — un continuum in cui ciò che era, ciò che è e ciò che sarà è una presenza pulsante in mezzo a una realtà vera che è sempre un continuum. Proprio come la parola sociale in ecologia sociale è un altro modo per dire socialismo, così la parola ecologia è un altro modo per dire sviluppo dialettico e continuo .
Nota: I libri che meglio sposano le idee qui espresse sono The Ecology of Freedom, From Urbanization to Cities, e The Philosophy of Social Ecology, scritti da me. Non conosco altri libri (esclusi quelli scritti da Janet Biehl) che presentano aspetti di ecologia sociale come un corpo di idee praticabile e ricettivo. La scuola che meglio rappresenta le idee qui avanzate è l’Institute for Social Ecology di Plainfield, Vermont. Vi operano alcuni singoli insegnanti che offrono eccellenti corsi sull’argomento in Europa e negli Stati Uniti, ma per il loro impegno nei confronti dell’Ecologia sociale, non posso farmi garante. Al termine ecologia sociale sono stati associati significati che non hanno alcun rapporto con quanto inteso da me. So di molti casi in cui il concetto di “ecologia sociale” è stato utilizzato da socialdemocratici tedeschi con i quali non ho alcun rapporto.
[Aprile 2004]
(Traduzione a cura di Giulia Beretta )
LINK: www.ecologiasociale.org
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LA BIOGRAFIA
Murray Bookchin, nasce a New York (14-01-1921) da una famiglia di immigrati russi d’origine ebraica. Sin da giovanissimo viene attratto dal movimento comunista americano, dal quale però rimane deluso per il suo carattere autoritario e repressivo.
Nel 1939 viene espulso dal partito per “trotzkismo-anarchico”, ma rimane attivo (soprattutto nei quattro anni in cui lavorò nelle fonderie del New Jersey) nell’organizzazione del movimento operaio.
Durante gli anni 40 comincia a rivedere le sue idee trotzikiste spostandosi sempre più verso le aree del socialismo libertario e dell’ecologismo, intrattenendo rapporti sempre più stretti con i marxisti dissidenti tedeschi (molti suoi scritti vennero pubblicati in riviste dell’allora Germania Ovest).
Inizia la sua prolifica attivita’ di scrittore con il suo primo libro intitolato “Il nostro ambiente sintetico” (1962).
Verso la fine degli anni 60, Bookchin insegna presso la City University of New York in Staten Island e contemporaneamente nel Ramapo College del New Jersey.
Sempre in quegli anni entra a far parte di gruppi anti-nucleari come Ecology Action East, Clamshell e Shad, oltre che del Citizens Committee on Radiation Information, che nel 1963 lo vede tra i protagonisti dell’azione di protesta che portò alla cessazione dell’attività del reattore nucleare di Ravenswood.
Tutte queste esperienze lo portano, nel 1974, a co-fondare e dirigere l’Istituto per l’ecologia sociale di Plainfield (http://www.social-ecology.org/) (stato del Vermont), divenendo uno stimolo e un punto di riferimento importante all’interno dei movimenti ecologisti americani, e non solo.
All’eta’ di 62 anni è andato in pensione limitando con il passar del tempo le sue pubbliche apparizioni (ma non la sua attività) a causa delle sue precarie condizioni di salute.
Bookchin, dando nuovo vigore e originalita’ agli studi di Pëtr Kropotkin e Élisée Reclus sulla cooperativita’ esistente in natura, propone un modello di società strutturata su basi ecologiche, autogestionarie e antigerarchiche, da cui la definizione di Ecologia sociale (http://www.ecologiasociale.org/).
Egli colloca l’uomo all’interno del “tutto” (visione olistica dell’universo), eliminando ogni forma di antropocentrismo che caratterizza quasi tutte le discipline sociali e che ha favorito lo sviluppo del dominio, e dell’oppressione, dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura .
Una visione ecologia della società pemette di escludere ogni tipologia di sfruttamento e di dominio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura.
“Quando la natura può essere concepita o come uno spietato mercato competitivo, o come creativa e feconda comunità biotica, ci si aprono davanti due correnti di pensiero e di sensibilità radicalmente divergenti, con prospettive e concezioni contrastanti del futuro dell’umanità. Una porta ad un risultato finale totalitario e antinaturalistico: una società centralizzata, statica, tecnocratica, corporativa e repressiva. L’altra, ad un’alba sociale, libertaria ed ecologica, decentralizzata, senza Stato, collettiva ed emancipativa.”. (Murray Bookchin)
Al contrario l’universo viene presentato, da un certo tipo di “scienza” come oggettivamente gerarchico e autoritario.
Bookchin pone l’esempio delle api.
Quella che viene chiamata “Ape Regina” non è una figura dispotica ed autoritaria, ma semplicemente svolge un ruolo importante, nella collettività aviaria, pari a quello delle “Api Operaie”. Gli uomini “distorcono” questi aspetti della vita delle api, da cui il nome di ape “Regina”, “Operaia”… che ci fa pensare ad un’organizzazione di tipo gerarchico delle api… il che ovviamente non corrisponde alla realtà, trasponendo poi questa distorsione, nell’organizzazione sociale umana. Evidentemente, questa visione distorta, della vita nel suo insieme, comporta il rafforzamento della strutturazione gerarchica umana.
Infatti egli sostiene: “Quest’immagine totalizzante di una natura che deve essere domesticata da un’umanità razionale, ha prodotto forme tiranniche di pensiero, scienza e tecnologia – una frammentazione dell’umanità in gerarchie, classi, istituzioni statuali, divisioni etniche e sessuali. Ha promosso odi nazionalistici, avventure imperialiste, e una filosofia della norma che identifica l’ordine con dominazione e sottomissione. La realtà, come vedremo, è diversa, una natura concepita come “gerarchica”, per non parlare degli altri “bestiali” e borghesissimi caratteri che le si attribuiscono, riflette solamente una condizione umana in cui il dominio e la sottomissione sono fini a se stessi e mettono in questione la stessa esistenza della biosfera.”.
La proposta di Bookchin, per la nostra società, è il municipalismo libertario. Pur se Bookchin modella questo concetto ispirandosi alle poleis greche, si può ritrovare in esso la tradizione americana delle assemblee di villaggio. Questo principio secondo lui si può applicare sia in sperdute comunità rurali che nelle città più grandi, divise in opportune “sezioni” ovviamente, l’importante è che il numero delle persone coinvolte resti sotto le 5000. Infine, tali municipi libertari coopererebbero tra loro attraverso un coordinamento federativo, la cui macrounità è chiamata bioregione. Man mano che i municipi entrerebbero nella confederazione bioregionale si accuirebbe lo scontro con lo Stato-Nazione e contemporaneamente strapperebbero il controllo della vita economica alle grandi imprese private. A quel punto si svilupperebbe una società razionale, libertaria, ecologica, in cui il potere strutturale sarebbe in mano alle assemblee di democrazia diretta, animate da una cittadinanza attiva e vivace.
Il municipalismo libertario tenta di allargare il conflitto capitale-lavoro collegandolo a quello Comune-Stato, inserendosi pienamente nell’ambito dell’anarchismo classico.
Il conflitto comune-Stato ha origine nell’anarchismo proudhoniano che proponeva la nascita di una federazione di comuni autonomi. Successivamente Michail Bakunin, riprendendo questa prospettiva, l’ha messa al centro dei programmi redatti nel decennio 1860-1870. In quegli stessi anni queste idee si diffondevano tra gli oppositori di Napoleone III e della sua politica accentratrice in Francia,così nel 1871, quando la Prussia sconfisse la Francia e il governo napoleonico crollò, queste stesse idee erano già presenti e ispirarono la Comune di Parigi (1871) che sorse dalle rovine del Secondo Impero. Dopo poche settimane di vita la Comune andò incontro a una fine disastrosa, eppure in tanti s’ispirarono al suo coraggioso esempio e considerarono la federazione di comuni autonomi il modello politico adatto per una società libera e autogestita.
Opere
È autore di una ventina di libri, tra cui:
Il Nostro Ambiente Sintetico (1962)
Ecologia e pensiero rivoluzionario (1964)
I limiti della città (Milano, 1975)
Post-Scarcity? Anarchism (Milano, 1980)
The Modern Crisis (Bologna, 1988)
L’ecologia della libertà, emergenza e dissoluzione della gerarchia, (Elèuthera, Milano, 1994)
Democrazia diretta, idee per un municipalismo libertario (Elèuthera, Milano, 1993)
[ Biobibliografia da http://ita.anarchopedia.org ]