di Zenone Sovilla [dalla rivista Carta della settimana scorsa]
«Trentino, l’Italia come dovrebbe essere», recitava uno slogan turistico di qualche anno fa. La Provincia autonoma di Trento è molto attenta all’immagine e per veicolarla si è dotata di robusti enti di promozione e uffici stampa: attenzione alla sostenibilità ambientale, alla solidarietà sociale, alla democrazia diffusa. Fra queste valli a forte densità cattolica nacque il laboratorio della Margherita, poi adottato su scala nazionale. In una quindicina d’anni attorno a quel progetto si è ramificata sul territorio trentino una solida ragnatela di potere che si è via via impoverita di contenuti politici imbarcando portatori di voti a prescindere (si arriva al paradosso del sindaco iscritto al partito che dichiara pacifico di votare Berlusconi). Il vero collante «ideologico» è la massa di opere pubbliche programmabili dalla Provincia autonoma, forte di competenze primarie e di una generosa disponibilità finanziaria che rende i trentini più uguali di gran parte degli altri italiani.
Per dirla con le parole di Luigi Casanova, noto esponente ecologista di Mountain Wilderness, «la Margherita ha veicolato una cultura politica dell’opportunismo e, sotto mentite spoglie, ha amministrato come il centrodestra: un sistema di potere i cui effetti negativi si notano anche nelle aggressioni al territorio; e lo stesso fastidio per le regole non distingue questa cultura politica dal berlusconismo».
Accanto alle colate di cemento «pubblico», ecco politiche di gestione del territorio che assecondano l’attività dei palazzinari, dei cavatori o degli autotrasportatori, lasciando in secondo piano le conseguenze paesaggistiche e sociali: forse si ritengono prevalenti le ricadute di «benessere» diffuso di questo business vorace.
Salvo, poi, rifarsi la verginità ammiccando al mondo dell’associazionismo «alternativo» che in parte si presta anche a mortificanti strumentalizzazioni, in cambio di qualche concessione politica di scarso rilievo. Paiono tristemente eloquenti i silenzi e i balbettamenti di varie «anime» della società civile organizzata, davanti a opere pubbliche quantomeno discutibili, come il mega-tunnel a doppia canna nella collina sopra Trento (ottimo catalizzatore del traffico su gomma che si dice di voler ridurre) o l’inceneritore di rifiuti che si vuole imporre alla periferia nord del capoluogo. Quanto agli intellettuali, sono quasi tutti sordi e muti: la Provincia è pure lo snodo del mecenatismo… Per parte sua, l’Università ha fornito una benevola valutazione d’impatto ambientale sul «termovalorizzatore», poi confutata dagli esperti indipendenti venuti da fuori per aiutare i cittadini «eretici».
La Provincia e il Comune, a sua volta governato dal centrosinistra, intendono collocare l’inceneritore dove sorgeva la discarica e gestirlo insieme con l’Asm di Brescia, la municipalizzata a capitale misto cui fa capo il gigantesco bruciatore lombardo. Sul piano economico potrebbe rivelarsi un grosso affare privato e pubblico, grazie anche ai contributi statali assurdi che equiparano i rifiuti inceneriti alle fonti rinnovabili di energia.
Gli inceneritoristi spargono rassicurazioni urbi et orbi: inquinamento irrilevante, rischio sanitario minimo, piena compatibilità con le politiche di riduzione e riciclaggio per una fase di transizione ventennale. Esattamente speculare l’analisi degli «eretici», quasi tutti fuori dai Palazzi: aggiungere un nuova fonte di contaminazione ambientale nella stretta valle dell’Adige (già martoriata dal traffico cittadino, dall’autostrada del Brennero e dalla tangenziale), oltre a consolidare un modello energivoro di produzione e consumo, avrebbe effetti negativi sulla salute degli esseri umani e dell’ecosistema. Tra l’altro, il ristagno dell’aria sulla città e il flusso delle correnti accentuano sia i rischi per Trento sia per centri lontani anche parecchi chilometri. Ma la gran parte dei sindaci tace. E si rincorrono le voci sulle lavate di capo che partirebbero dal Palazzo all’indirizzo dei pochi dissidenti sui quali aleggerebbe lo spettro di un giro di vite sui finanziamenti provinciali per opere pubbliche nei comuni. Solo dopo le elezioni del 9 aprile (netta avanzata del centrodestra), qualche sindaco ha parlato, peraltro in termini sibillini, di «arroganza» della Provincia; chi invece ha lanciato strali inequivocabili (riferendosi però ad altre vicende) è stato minacciato di querela e – su autorevole invito – ha prontamente smentito se stesso.
Su questa singolare dialettica del dissenso la vicenda inceneritore pesa grazie alla tenacia di un gruppo di cittadini, andato via via rafforzandosi, supportato da personalità come padre Alex Zanotelli o Beppe Grillo: è Nimby trentino, una spina nel fianco del colosso provinciale, una fonte di dissenso che si diffonde come un reticolo carsico abbracciando le più diverse sensibilità, unite anche da un digiuno a staffetta che prosegue dal marzo 2004 (ottocento giorni) coinvolgendo anche religiosi, insegnanti e sindacalisti. A colpi di iniziative pubbliche di alto livello scientifico, l’associazione ha smascherato i molti lati oscuri del progetto. Le si sono affiancati i contadini della Coldiretti, Italia nostra e pochi municipi (per lo più non di centrosinistra), provocando molta irritazione e qualche crepa anche nel magno Palazzo provinciale.
Al quale viene contestato il disegno complessivo della gestione dei rifiuti, riassunto all’inizio di maggio nel “terzo aggiornamento al piano” che prevede gli obiettivi della raccolta differenziata al 65% (ma oggi arranca al 45%) con una produzione di residuo abbassata a 175 chili annui pro capite e il conseguente ridimensionamento dell’inceneritore scendendo a circa 100 mila tonnellate l’anno da bruciare (si era partiti dal doppio). «In realtà, non si mettono in atto interventi per ridurre all’origine la quantità di imballaggi che genera i cosiddetti rifiuti; comunque sia, con la differenziata si può arrivare ben oltre il 65%, gradualmente all’80%. Il dimensionamento, poi, è un trucco: dipende da che cosa si brucia, la plastica pesa poco ma è il combustibile a maggiore rendimento, il che dovrebbe indurci a sospettare che ne servirà sempre molta in circolazione», osserva Adriano Rizzoli, una delle anime di Nimby trentino.
Insomma, l’inceneritore frena l’impegno a ridurre e a riciclare la materia prima, il combustibile della mega-macchina. Un indicatore, in proposito, è lo stesso metodo confuso e contraddittorio della raccolta differenziata, spesso fonte di disorientamento e fastidio per i cittadini: all’occorrenza qualcuno potrebbe sempre attribuire alla «pigrizia» della gente un andamento debole del riciclaggio e la necessità di bruciare più rifiuto residuo, dunque di ampliare l’inceneritore, simbolo del modello economico dominante. A Bolzano sta già succedendo qualcosa di simile.
[ www.carta.org ]
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Chi si mobilita e chi tace…
In un paio d’anni, le iniziative di Nimby trentino sono state innumerevoli e di alto livello, con esperti nazionali che hanno vivisezionato e demolito il traballante progetto. Ciò, malgrado il disinteresse connivente di molte associazioni ambientaliste e partiti politici sulla carta “amici”.
Il professor Virginio Bettini, per esempio, ha messo a nudo le gravi manchevolezze della prima valutazione di impatto ambientale. Il suo collega Giannni Tamino ha spiegato che il cocktail tossico generato dal bruciatore inquina terra e acqua, con rischi per la salute umana. E sui pericoli sono intervenuti, tra gli altri, l’oncologo Renzo Tomatis, l’epidemiologo Valerio Gennario, l’oncoematologa Patrizia Gentilini, il ricercatore sulle nanopatologie Stefano Montanari.
Sullo sfondo, la mobilitazione diffusa, i faticosi contatti con rari politici critici, la catena del digiuno (giunta ormai a 800 giorni), il sostegno di padre Alex Zanotelli che da Napoli manda vibranti appelli alla sua «irriconoscibile» terra d’origine. Un quadro che innervosisce il grande manovratore, ma senza scoraggiarlo. «D’altra parte – osserva Simonetta Gabrielli di Nimby trentino – che dire se l’assessore verde all’Ambiente del Comune di Trento, già ex contrario all’impianto, ora, davanti alla determinazione della Provincia si limita a prendere atto che “l’inceneritore è inevitabile”? Insomma, la vicenda rifiuti è sintomo del malessere della democrazia e della necessità di inventare nuove prassi di inclusione decisionale».
Ora Nimby trentino, con altri gruppi di cittadini, organizza per l’estate quaranta giorni di campeggio sul monte che sovrasta il sito della ex discarica, area dove la Provincia e il Comune vogliono costruire l’inceneritore.
[ Per altre informazioni sulla lotta in Trentino: www.ecceterra.org ]