Che papa Wojtyla sia stato un grande papa è un dato evidente, innegabile. Che di fronte alla morte ci si debba inchinare e rendere omaggio a chi è scomparso, è un elementare principio di civiltà. Ma lo scatenarsi su tutti i mass media italiani di un atteggiamento da lutto inconsolabile è qualcosa che va ben oltre il dovuto. E che ha poco a che vedere con l’informazione. I giornali francesi o spagnoli, di Paesi cioè a grande maggioranza cattolici come l’Italia, hanno molto meno pagine dei nostri dedicate alla scomparsa di papa Wojtyla. Le nostre radio e televisioni hanno mandato in onda un diluvio di commenti, testimonianze, ricordi, aneddoti, ecc., perfino di sms spediti da chiunque, per un totale di ore che supera di gran lunga quanto mandato in onda negli altri Paesi.
Neppure in Polonia, terra natia del papa polacco, si coglie il senso di smarrimento e spaesamento che i mass media italiani vogliono a tutti i costi cucirci addosso. Ah, il conformismo! Ah, il clima elettorale e la caccia ai voti! Ah, il servilismo… Ah, i soliti guelfi!
La notizia della morte di Wojtyla mi ha colto via radio mentre ero in viaggio in auto da Urbino a Milano. Alla tristezza per la sua morte si è aggiunta, pesante come un macigno, la vergogna – scusate, ma non trovo un altro termine – per l’interminabile diluvio di esibizione del dolore e del lutto “irreparabile” messo in scena da tutti i colleghi di qualunque radio. Tutti pronti, o meglio proni a fare domande lecca lecca e a dare il microfono a “Sua Eccellenza” il cardinal Tal dei Tali o il vescovo Talaltro, per quanto in Italia il titolo di Eccellenza sia stato abolito dopo l’indigestione di quelle orrende propinateci dal ventennio.
A me hanno insegnato che il dolore non si esibisce, tanto meno in pubblico. Solo le prefiche lo fanno, ma il loro è un mestiere: che non coincide – mi pare – con quello del giornalista. Il nostro presidente della Repubblica, un laico che ha fatto carriera in una istituzione come la Banca d’Italia, si è sentito in dovere di affermare che “con questo papa l’Italia ha perso un padre”.
Non vorrei mancare di rispetto a nessuno, ma neppure il presidente Ciampi si può permettere certi paragoni: Per quanto una persona ci possa essere cara, la sfera familiare è, come si suol dire, inviolabile. Per moltissimi italiani la morte del papa equivale sicuramente alla perdita del proprio padre, ma per moltissimi altri no, e forse il paragone suona – se non offensivo – indelicato. Ciampi ha il dovere di rappresentarci TUTTI, non solo una parte per quanto maggioritaria. Meglio avrebbe fatto a usare il termine “maestro” anziché quello – inviolabile – di “padre”. I problemi del dopo Wojtyla sono per la Chiesa enormi. Dal celibato dei preti fino alla stessa pretesa che il vescovo di Roma, alias il papa, debba comandare su tutta la cristianità, per citare solo due delle questioni che proprio la cristianità hanno spaccato e lacerato. Il teologo Enzo Bianchi da alcuni anni va avvertendo che è finita l’epoca costantiniana della Chiesa. Ma è finita anche l’epoca dei missionari al seguito del colonialismo, a causa del quale gran parte del mondo guarda al cattolicesimo con sospetto.
La Chiesa si trova cioè, per la prima volta nella Storia, a dover camminare solo con le sue gambe, oltre che con quelle della Provvidenza. Tutto ciò rende comprensibile lo scatenarsi del dolore per la scomparsa del suo grande timoniere Giovanni Paolo II. Ma non rende accettabile la smodata speculazione messa in moto da chi – fin troppo sfacciatamente – vuole mettere all’incasso elettorale la morte di Wojtyla e la sua enorme ondata emotiva.
Brandire il dolore e lo sgomento per la morte del papa come una clava per fare piazza pulita di tutto il resto, proprio quando gli italiani sono chiamati a un importante appuntamento elettorale, equivale chiaramente a voler schiacciare la politica, e la vita sociale, come qualcosa che a volte è inopportuno. In questo tripudio del lutto gridato a squarciagola è fin troppo chiaramente sottesa la condanna nei confronti degli “altri”.
Dopo l ‘ultimo aggravarsi della salute il papa anziché essere riportato di corsa in ospedale è stato tenuto in Vaticano. Ciò significa una sola cosa, e ben precisa: ormai era moribondo. In Vaticano infatti NON sono attrezzati per curare malattie gravi. Tant’è che giovedì un collega mi ha detto: “Scommetto che la morte verrà annunciata nel momento più utile per influire sul voto elettorale, cioè la sera prima delle elezioni regionali italiane”.
Non credo in certe manovre, e anzi credo che la dietrologia sia uno dei mali del nostro giornalismo. Però mi dà molto fastidio che il sospetto del collega – anche se solo per puro caso – ci abbia azzeccato.
* Questo articolo è tratto dalla newsletter di Giornalisti senza bavaglio, componente sindacale della Federazine nazionale della stampa.