[ tratto da www.liberazione.it ]
Una mattina di tanti anni fa. Un corpo inerte sotto le scale della facoltà di Lettere all’università di Roma. Una voce che rimbalza, che si spande e poi attraversa rapidamente tutta la città, come accade sempre per le brutte notizie: i fascisti hanno ammazzato uno studente. Era il 1966: lo studente si chiamava Paolo Rossi, l’avevano spinto giù dal muretto con cui si conclude la scalinata dal piazzale della Minerva all’ingresso della facoltà. Fu l’ultima di una serie di provocazioni, di intimidazioni, di aggressioni, di pestaggi che le squadre neofasciste facevano da anni dentro La Sapienza.
Si occupò l’università. Per la prima volta.
I funerali di Paolo furono una silenziosa, grandissima manifestazione antifascista. Nel corteo funebre capitai accanto a mio padre che non mi aspettavo di trovare lì.
Ebbi la fortuna di scrivere “Contessa”; i casi fortuiti furono davvero molti: il caso che mi si scatenasse un’appuntito senso di colpa per non poter partecipare a quell’occupazione, un po’ per pigrizia e un po’ perché i miei genitori pretendevano che si cenasse e si dormisse a casa; occupavo solo di giorno fino alle otto di sera e che occupazione era? Ma la notte potevo suonare cercare di inventare per poi, il giorno dopo, far sentire agli altri compagni quello che avevo scritto. Il caso di essere uno studente universitario in quegli anni.
Il caso di essere diventato comunista solo quattro anni prima a 17 anni.
Il caso di aver scritto il ritornello di “Contessa” in dodecasillabi, metro perfetto per essere cantato camminando.
In mezzo a tanti gesti di solidarietà di chi mandava ogni genere di conforto arrivarono anche appetitosi supplì farciti di spilli che mandarono all’ospedale due tra i più ingordi di noi. Un quotidiano dalla breve storia, “La Luna”, titolò a nove colonne “Figli di Puttana”.
I fascisti scomparsi dall’università ci coccolavano da lontano.
1968. Un anno e mezzo più tardi. Manifestazione di studenti a Pisa. Mentre sono insieme con gli altri in mezzo al corteo parte il coro: “Compagni dai campi e dalle officine…” che mi prende per la nuca, mi solleva e mi depone gentilmente al lato della strada, con in faccia scolpito di ebete beatitudine a guardare, io in silenzio, tutti quei ragazzi che sfilavano e cantavano “Contessa”.
1969. Manifestazione per la strage di piazza Fontana. Il cielo è grigio e nessuno può ancora credere a quello che è successo; gente che piange, che marcia stringendosi in silenzio. Poi, come un tuono, lo stesso coro e non sono solo gli studenti a cantarlo.
Comincio a pensare che quella canzone non è più mia, ma di tutti quelli che la cantano. E la cantano in centinaia di manifestazioni, in decine di anni, attraverso generazioni che pretendono di ribellarsi ai soprusi, alle ingiustizie, alle stragi. Ribellarsi ho detto e non fare un accordo, una mediazione, un ragionamento politico, un compromesso, una distinzione, una pedagogia, un comizio, un volantino, un programma. Ribellarsi.
Tra i tanti che la cantano c’è anche un gruppo musicale, i Modena City Ramblers. Mi chiamano a sentirli in un locale romano, vado li ascolto e li ringrazio. Siamo negli anni 90.
Aprile 2006. I MCR mi scrivono per chiedermi di poter cambiare il testo di quella canzone. Mi parlano della responsabilità dell’intellettuale, dell’artista che si esibisce di fronte a platee giovanili, della confusione che si potrebbe generare in quei cervelli di fronte a versi come: «…ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra, vogliamo vedervi finir sotto terra…» eccetera. Rispondo di non essere d’accordo, ma di voler restare fedele alla mia idea che quella è una canzone senza copyright, quindi facessero come credono. Mi mandano il testo.
Rispondo che non mi piace e mi piace ancor meno la spiegazione sui cambiamenti; detesto la pedagogia dell’artista mi pare presuntuoso di per sé e diminutivo per la capacità critica del pubblico; mi pare che giovanile sia sinonimo di attento e non di sprovveduto. Se mi fa senso il revisionismo storico, mi fa ridere quello “canzonettistico”. Li avverto anche del rischio che possano non essere d’accordo gli altri legittimi proprietari, quelli che l’hanno cantata in quarant’anni.
Primo Maggio 2006. Verso le sei del pomeriggio i Modena City Ramblers si esibiscono sul palco dei sindacati a San Giovanni e che ti cantano? “Contessa”. Anzi la nuova Contessa, anzi la Contessa dei Modena City Ramblers (stavo per scrivere la Contessina).
Ho sempre dato retta al criterio dell’urgenza del racconto nello scrivere canzoni e a niente altro. Se la politica fa parte di me, come è, per questo e solo per questo ho scritto canzoni politiche, con l’unico criterio che mi piacessero e non che servissero a questo a quello, se fossero adatte a questo o a quel momento, a questo o a quel partito, a questo o a quel pubblico. Insomma il discrimine è estetico e i nuovi versi dei MCR sono brutti.
Mi sarebbe piaciuto festeggiare i quarant’anni di “Contessa” in un altro modo.
E infine, ma che bisogno c’è di cantare qualcosa con cui non si è d’accordo?
[ Articolo tratto dal quotidiano Liberazione di sabato 6 maggio 2006 – www.liberazione.it ]