[ tratto da www.carta.org ]
Ha fatto giustamente molto rumore, l’affermazione di Berlusconi secondo cui “chi non vota per me è un coglione”. Come dice Marco Revelli nella conversazione che pubblichiamo nel settimanale in uscita sabato 8 aprile, quella della destra è “un’Italia barbara, come la chiamava Curzio Malaparte”, che propone un problema estetico, oltre che etico, politico e sociale. Ma – saremo coglioni – a noi ha impressionato di più il fatto che il Caimano abbia, nell’appello finale dell’ultimo confronto con Prodi, definito il nostro paese “l’azienda Italia”. Sarà per assuefazione, o perché questo linguaggio è ormai penetrato nel senso comune [la sanità pubblica è organizzata in Aziende sanitarie locali, ad esempio], ma nessun blog, nessun sito, nessuna dimostrazione spontanea, nessuna indignazione ha accompagnato quella definizione. Solo Fassino, in uno degli innumerevoli show elettorali in tv, ha avuto un barlume di dubbio: “Ma è mai possibile – ha detto – che Berlusconi veda il rapporto tra i cittadini e lo Stato solo come un dare e avere, che parli solo di tasse?”. Ma era chiaro che quella scintilla d’intelligenza si sarebbe subito spenta.
Il discorso della campagna elettorale è stato, si può tranquillamente dire, totalitario, ossia dominato da quello che a suo tempo Ignacio Ramonet battezzò “pensiero unico”. Bisogna dire, se si vuole essere onesti, che i tentativi di Bertinotti – ma anche di Diliberto e talvolta di Pecoraro Scanio – di rompere le righe, di far notare ad esempio che la funzione redistributiva è fondativa dello Stato nazionale moderno [a cosa ci siamo ridotti, a difendere lo Stato] e che una tassa sui patrimoni o sui “capital gains” sono ovvie, o che i cittadini comuni, quelli che non speculano sull’immobiliare, si sono paurosamente impoveriti, in questi anni, sono state travolti – da parte di conduttori di trasmissioni di centrodestra e di centrosinistra – dagli imperativi economici. Come si “fa ripartire” l’Italia? Come si abbassano le tasse per “stimolare le imprese”? Come si evita – era infine la domanda non espressa ma evidente – che la ricchezza, pur concentrata in fasce sempre più ristrette e sempre più confinanti con la criminalità economica e l’evasione fiscale, non venga disturbata, dato che è la sola garanzia che i consumi restino per lo meno al livello in cui sono? Il neoliberismo è per l’appunto quella cosa per cui i consumi di massa non sono supportati dall’aumento dei salari, ma dalla concentrazione della ricchezza e dalla maggiore rapidità dell’usa-e-getta. Nemmeno il debole keynesismo sostenuto dalle sinistre radicali – e dai loro “economisti marxisti” – è riuscito a far capolino nella marea di parole che ci ha sommerso. Per Carta questo è un periodo difficile, quindi. La ricerca di un’economia non distruttiva, la difesa dei beni comuni, il reddito di cittadinanza, le frontiere aperte agli umani come lo sono alle merci, la democrazia partecipativa, queste e altre bizzarrie sono totalmente scomparse dal discorso pubblico [già circolavano assai poco], per essere sostituite dall’ossessiva imposizione a fare il tifo tra due “squadre” [Bruno Vespa ha infatti presentato l’ultimo confronto tra i due “leaders” come una finale di Champion’s League], ciò che ha prodotto adesione incondizionata o estraneità. Ogni meccanismo partecipativo è stato – nonostante qualche generoso sforzo, come la “Carovana” di Rifondazione – messo fuori gioco. E una cosa come la nostra è apparsa inevitabilmente un po’ inutile.
In uno sforzo disperato di trovare dei nessi concreti, abbiamo dunque fabbricato il numero speciale di Carta che uscirà – eccezionalmente – sabato 8 aprile, il giorno prima delle elezioni. In cui descriviamo, su dieci temi fondamentali, lo stato delle proposte dell’Unione, da una parte, e della società civile, dall’altra, e facciamo anche – un po’ per gioco – un pronostico su quali saranno i ministri che dovranno occuparsene. La seconda parte del giornale è tutta da leggere: sono “consigli per il dopo elezioni” di Marco Revelli, Alberto Magnaghi, Enzo Mazzi, André Schiffrin, Luis Hernandez Navarro, John Holloway, Pedro Miguel. Qualcuno di questi nomi lo conoscete bene, altri li conoscerete leggendoli. Noi scommettiamo sul fatto che l’Unione vincerà, anche se – come vedrete – ci siamo premuniti.
La sostanza del discorso è: andate a votare per cacciare Berlusconi e la sua banda. Perché dall’11 aprile comincerà un’altra partita. Nella quale saremo noi – cittadini, movimento, società civile – a scendere in campo.
[Articolo tratto da www.carta.org che è il sito dell’ottimo settimanale Carta di cui l’autore è il direttore]