Nonluoghi Archivio I Radicali di sinistra e il destino della Rosa nel pugno

I Radicali di sinistra e il destino della Rosa nel pugno

[ Da www.radicalidisinistra.it ]
«Con Pannella, con i Radicali, costruiamo dunque nella coerenza e nella continuità la Rosa nel pugno liberalsocialista». Così Ugo “Palmiro” Intini, già ideologo del craxismo e noto nella prima repubblica per la sua ossessiva e pre-berlusconiana allergia nei confronti dei “comunisti”, nell’intervento al Congresso dello SDI.
Intini parla del ritrovato approdo “liberalsocialista” (con rispetto parlando) e chiama in causa la “coerenza” e la “continuità” degli ideatori della nuova casa comune: per l’appunto la “Rosa nel pugno”. Ma quale coerenza? E quale continuità? Quelle di un partito “di sinistra” che come PSI – dagli anni 60 – è stato una trave portante del regime democristiano, che con il craxismo ha mirato principalmente a dividere la sinistra isolando il PCI per perpetuare nei secoli (se non ci fosse stata “Mani pulite”) quel regime clericale, che come SDI si avviava a diventare parte integrante dell’Ulivo riformista ma che poi a sorpresa decide di allearsi con i pannelliani i quali a loro volta sono stati per dodici anni la ruota di scorta del berlusconismo, nonché l’estrema destra italiana in politica economica e in politica estera, e che adesso per ragioni elettorali rompono col centrodestra e si collocano nel centrosinistra, plaudendo come si è appena visto alle filippiche anti-magistrati pronunciate con sarcasmo (chissà perché…) dal post-craxiano Boselli.
E insieme si inventano una militanza nel “socialismo europeo” (suggerito dalla vecchia rosa radicale e mitterandiana) smentita peraltro da tutta la storia dei radicalpannelliani, nonché dalle attuali posizioni ultraliberiste in economia: come a dire, più che una rosa nel pugno, un pugno sulla rosa!
«La storia ci ha dato ragione», garantisce l’Intini. E come no! Lo diceva Marx che la storia si ripete sempre due volte: la prima come tragedia (Tangentopoli…), la seconda come farsa; ed appare più farsesca che “tragica” questa rinascita del “socialismo” dal terreno desertificato del moderatismo post-craxiano e dell’ultraliberismo (e l’opportunismo) pannelliano, roba che avrebbe fatto impallidire perfino il vecchio Saragat, per non parlare di quei “filocomunisti” di Giustizia e Libertà e del Partito d’Azione, di quel “filogramsciano” di Piero Gobetti o di quei “giustizialisti” dei fratelli Rosselli, il cui radicalismo pretendeva di conciliare la spinta progressista del liberalismo (quello vero) con la giustizia sociale e l’eguaglianza del socialismo (quello vero). Altro che Craxi e Pannella!
«Il liberalsocialismo ha radici profonde nella storia delle idee, nella storia dei fatti e nella realtà internazionale»: certo, dappertutto meno che nella storia della metamorfosi craxiana del PSI e in quella pannelliana del PR.
«Un lungo filo di elaborazione comune unisce infatti i liberali che amavano il socialismo riformista e i socialisti che amavano il liberalismo»: certo, quando il socialismo era ancora tale (giustizia, eguaglianza, lotta in favore delle classi oppresse) e il liberalismo non era il falso liberismo teorico al servizio dei monopoli reali che abbiamo visto all’opera negli anni del centrodestra berlusconiano.
«Da Salvemini a Gobetti, dai fratelli Rosselli al Partito d’Azione di Riccardo Lombardi e Francesco De Martino. Sino al progetto lib-lab (liberali-laburisti) lanciato da Craxi con il nuovo corso socialista».
Ha fatto bene, Intini, a mettere un punto tra i liberalsocialisti storici e Craxi: anzi doveva anche andare a capo perché qui la cesura è profonda come il Gran Canyon. Tra l’austero socialismo di Lombardi e De Martino (per non scomodare neppure i primi maestri dell’antifascismo “giellino” e azionista) e la frivola, tangentizia “Milano da bere” degli anni Ottanta c’è un abisso così imbarazzante da consigliare quantomeno un pudico silenzio!
Ma Intini è ecumenico e si richiama addirittura alla Riforma protestante (“prima tappa”) per poi citare la Rivoluzione francese come una “seconda tappa” (La Fayette, Danton o Robespierre? La monarchia parlamentare, la repubblica girondina o il “terrore” giacobino?) che prepara, udite udite, il trionfale approdo alla «terza tappa, che ha visto come protagonista il movimento socialista.
«Se gli individui sono liberi e uguali, allora occorre che libertà e uguaglianza siano non soltanto formali ma anche sostanziali, occorre che questi valori siano riempiti di contenuti concreti. Questa tappa ha continuato la riforma liberale e l’ha in un certo senso perfezionata». Talmente perfezionata che nel craxismo la “terza tappa” del “quarto Stato” ha ingranato la quinta, vagheggiando com’è noto una forma di egualitarismo assoluto, oseremmo dire quasi francescano se si pensa ai “nani e ballerine” degli spartani congressi craxian-demichelisiani… e alla terrificante radicalità sociale del temutissimo (dalla borghesia capitalistica) “nuovo corso” del PSI dell’alternanza (con la Dc per la poltrona di primo ministro!).
«Allora ci proponevamo di raccogliere i liberalsocialisti (socialisti, radicali, liberali, repubblicani del tempo) per contrastare la tenaglia cattocomunista del compromesso storico».
Ecco, questo è già un obiettivo più fedele alla realtà storica del vecchio Psi. Che perfetti prototipi del liberalsocialismo: De Michelis, Malagodi, Altissimo e La Malfa! E Intini, forse per carità di patria, ha prudentemente omesso il Psdi di Tanassi, Longo e Romita (o forse loro rientrano nei “socialisti” di cui sopra, indomiti alfieri della “terza tappa” real-egualitaria?).
«Oggi ci proponiamo di raccogliere le stesse forze (una sorta di lapsus freudiano che non suona esattamente come un complimento per i “liberalsocialisti” dell’attuale Rosa nel Pugno! ndr) per evitare il rischio che i post comunisti e i post democristiani trasformino il centro sinistra in un compromesso storico bonsai». Com’è ridipinto a tinte fosche, adesso, quell’Ulivo riformista del quale lo SDI pareva parte integrante fino alla recente infatuazione filo-pannelliana!
E’ tornato il “cattocomunismo”: che esemplare lealtà nei confronti del “listone” precedentemente amico, e traino del centrosinistra alla vigilia di fondamentali elezioni politiche!
«Lo stesso rischio corre il problematico, possibile, futuro Partito Democratico. Se mai nascerà, La Rosa nel Pugno sarà interessata. A una condizione però. Sarà interessata se il Partito Democratico si dimostrerà non, come oggi sembra, il partito cattocomunista ma il partito liberalsocialista degli anni 2000. Il che presuppone al suo interno l’isolamento degli integralisti, la vittoria dei principi laici».
Principi laici che naturalmente non sono minacciati essenzialmente dai filo-vaticani dell’Unione, ma dal “comunismo” che trabocca de i rami dell’Ulivo, dal “leninismo” (il vecchio chiodo fisso di Intini), dal “togliattismo” e financo dallo “stalinismo” che inchioda a vita Fassino&co. anche se si proclamano e sono “riformisti” fino al midollo e riabilitano apertamente Craxi: così la saldatura con gli “argomenti” (si fa per dire) del Cavaliere e della “Rosa nel pugno” è clamorosamente compiuta.
«Il liberalsocialismo ha dunque radici profonde nella storia e anche nella geografia. Le politiche economiche dei socialisti europei, da Blair, a Zapatero, a Schroeder, sono socialiste o liberali? Io credo che siano liberalsocialiste». Massì, facciamo di tutta l’erba un fascio! Che razza di “liberalsocialismo” può essere quello che non sa distinguere Zapatero dal neo-thatcherismo di Blair e neppure dagli epigoni della vecchia socialdemocrazia tedesca?
«All’Italia di oggi, il nostro successo elettorale praticherà quattro iniezioni ricostituenti: una iniezione di spirito laico nella società, di spirito libertario nel costume, di spirito liberale nell’economia (se questa triplice botta di vita dipendesse dal successo elettorale di Intini e Boselli, staremmo freschi! ndr) e di spirito occidentale nella politica estera» (e di questo chiaramente c’è ancora bisogno, come quando c’era la vecchia Urss e quei filosovietici del Pci…).
«Non c’è bisogno della vecchia sinistra tradizionale per dire cose di sinistra». Qui ha senz’altro ragione, signor Intini, e qualcosa “di sinistra” – guardi un po’ – finisce per dirla persino Lei perché sono certamente di sinistra i concetti di libertà individuale e laicità contro l’oppressione integralista del “nero” (dalle camicie fasciste alle “tonache”, bravo, ma perché aggiunge anche le “toghe”?
Brucia ancora così tanto l’inchiesta che ha dato un duro colpo alla corruzione politico-affaristica nel nostro paese?).
«I figli dei notai fanno troppo spesso i notai, quelli dei manovali i manovali. Troppo, troppo spesso». E neppure i figli di Craxi, ci consenta, smentiscono l’assioma…
«Siamo nell’economia della conoscenza. La conoscenza è il bene principale, la fonte di tutti gli altri. E allora spetta ai socialisti distribuire equamente innanzitutto la conoscenza, secondo i meriti e i bisogni, come un tempo si diceva per i beni materiali». Ohibò, qui riecheggia nientemeno che il vecchio Marx: ma non era superato da… Proudhon?
«La conoscenza è di per sé meritocratica. Paul Drucker è morto il mese scorso a oltre novanta anni. E’ stato l’inventore del management moderno. Si è scritto di lui: “Churchill ha salvato il mondo libero, Drucker lo ha fatto funzionare”». Se è per questo, un partigiano comunista ha salvato Churchill: concluda pure Lei il sillogismo, se ha una logica!
«Ebbene, Drucker ripeteva: “L’azienda deve considerare i suoi lavoratori non come un peso, ma come un patrimonio”. Drucker ripeteva: “Il numero uno dell’azienda non deve guadagnare più di cinque volte quanto guadagna un dipendente medio”. Altro che il signor Consorte il quale guadagnava un milione e mezzo di euro di solo stipendio all’anno. Quello non in nero».
Citazione puramente “casuale”, non c’è che dire: il “rosso” (per via dei conti) Consorte come uomo-simbolo del padronato italico… Suvvia!
«I socialisti vogliono spirito liberale e non liberista. E vogliono parlare francamente anche del caso Unipol»: si capisce che la lingua batte sempre dove il dente duole, anche se in questo caso il sillogismo appare un po’ oscuro.
«Dopo la caduta del muro è tutto cambiato». Appunto, e a 17 anni dalla scomparsa del “comunismo” sarebbe ora di mettere in soffitta anche la vecchia solfa “anticomunista”! «La politica (o i suoi alleati) non devono tentare di occupare le case matte della società civile (come teorizzava Gramsci) né i santuari del potere economico, ovvero le banche». Niente da fare! La citazione gramsciana è in realtà la citazione di una citazione di Berlusconi, con intenti esattamente sovrapponibili ai danni dei Ds, accusati non di essere ormai dei moderatissimi centristi, ma di rimanere i soliti irriducibili comunisti che vogliono ancora l’“egemonia” e, naturalmente, mangiano ancora i bambini.
«Bush non è un campione delle libertà, anche perché è a favore della pena di morte e contro l’aborto. Ma i Bush passano e l’America resta». Fedeltà “atlantica” a prescindere! Evviva “lamerica”!
«Il mondo è troppo piccolo e insicuro per rinunciare a un’alleanza occidentale tra Europa e Stati Uniti (…). Accettiamo la globalizzazione». E chi ne dubitava? «Non è al sicuro la ricchezza in un mare di povertà. Non è al sicuro la libertà in un mare di tirannia». E per salvare ricchezza e libertà faremo per caso la guerra a poveri e tiranni? Di certo non sarà questa la chiusura dell’ennesimo sillogismo intiniano, ma le premesse (bisogna dirlo) sono alquanto equivoche. E meno male che c’è la Rosa nel Pugno per “riequilibrare” il centrosinistra; non solo e non tanto rispetto al peso clericale, no: «Riequilibrio con l’iniezione di spirito liberale e occidentale rispetto al comunismo (sic). Che c’è e che rischia di allontanare possibili elettori. E’ incredibile. C’è paura nel centro sinistra di noi, del liberalsocialismo, più che del comunismo. Il riequilibrio rende più credibile e vincente tutto il centro sinistra». Riequilibrare il “comunismo”? Ma da dove spunta questa Rosa nel Pugno, dal suolo lunare?
Ah, i bei tempi del garofano… «Il garofano e il passato sono cari anche a me. Ho contribuito a mettere un mazzo di garofani sulla scheda elettorale nel 1996. Allora aveva un senso, era una scelta difficile, quasi disperata, perché tutti, a sinistra, a destra e al centro criminalizzavano il nostro garofano e calpestavano la nostra storia (..) Il garofano è stato troppi anni accanto ai simboli della destra ». Insomma i vecchi fiori sono appassiti; i vecchi uomini invece no, benché per “troppi anni” siano stati a destra insieme ai loro fiori!
«Questa Rosa creata 35 anni fa da Mitterand è nata fin dall’inizio socialista, radicale, laica, liberale. E’ la Rosa delle libertà. E’ la Rosa della giustizia. E’ la Rosa dei diritti». Già, il problema è vedere cosa diventerà adesso dopo quest’ultimo, discutibile innesto.

Giancarlo Iacchini
Responsabile cultura – Radicali di sinistra

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