È passata un’altra Giornata della memoria e l’Italia ha perso un’altra buona occasione per gettare lo sguardo un po’ oltre e per limitare il rischio che quasi tutto si risolva in una stanca ritualità.
Si continua in buona misura a ignorare il bisogno civile di verità, l’obbligo etico di uno sforzo collettivo per fare luce sulle colpe del passato e sgomberare l’orizzonte dalle omertà della storiografia. Indagare le microstorie, mettere a nudo le responsabilità, comprendere i meccanismi che possono rendere i più conniventi dell’orrore. Accadde nell’Italia della fascistizzazione nazionale, delle guerre coloniali, delle leggi razziali, della segregazione dei “diversi”, delle deportazioni, del collaborazionismo, dei “pentimenti” fuori tempo massimo e del trasformismo. Ombre gravide di inquietudine, agli occchi della rara, rarissima onestà intellettuale e politica del giorno d’oggi. Ombre che si proiettano sinistre sull’Italia del 2006, del razzismo, dei Cpt, dei voltagabbana per il potere, delle complicità col padrone, della giustizia fai-da-te, dei mass media deboli con i potenti e forti con i poveracci, dei silenzi di chi dovrebbe gridare il bisogno di verità (a volte basterebbe dire “qualcosa di sinistra” per risvegliare intelligenze anestetizzate dalla tv e dai suoi emuli).
Perciò, riteniamo utile riproporre, quale spunto di riflessione, questo articolo che racconta un libro, un libro singolare, frutto dell’indignazione e della passione, un testo purtroppo estremamente attuale: “I lager in Italia. La memoria sepolta nei duecento luoghi di deportazione fascisti” di Fabio Galluccio (Nonluoghi Libere Edizioni, settembre 2002, p. 226, euro 13).
È un libro sui generis: più che un saggio storico un diario di viaggio nella memoria tragica delle leggi razziali e nel territorio che ha ospitato i luoghi della vergogna. Luoghi nella gran parte dei casi dimenticati: caserme, ex conventi, ville fatiscenti, sedi di vari istituti oggi non ricordano neanche con una misera targa l’orrore che si consumò tra quelle mura.
Ma nemmeno dei campi che Mussolini fece costruire ad hoc la Repubblica democratica ha conservato la memoria, salvo rare eccezioni come Ferramonti di Tarsia (Cosenza) che prima fu sovrastato dall’autostrada e offeso dai suoi viadotti, ma in un secondo tempo divenne oggetto dell’impegno di una Fondazione guidata dallo storico Carlo Spartaco Capogreco, autore della prefazione al libro di Galluccio.
Ad Alatri, vicino a Roma, per esempio, le baracche sono ancora in piedi e al visitatore si presenta una visione spettrale il cui significato non è indicato da nessuna targa, come ha spiegato l’autore presentando in anteprima il libro alla Fiera dei piccoli editori a Belgioioso.
«Ho girato l’Italia ha raccontato Galluccio alla ricerca di questi luoghi che oggi sono quasi sempre difficili da individuare, sia nei paesini sperduti tra le montagne sia nelle città. Ho parlato con la gente, ho cercato di ricostruire la storia e la vita di questi lager; ma è una memoria in buona parte rimossa. Ho cercato i sindaci, i parroci, ho chiesto che almeno si pensasse di mettere un cartello per ricordare quei fatti orribili di sessant’anni fa. Per ricordare che in quei luoghi furono rinchiuse migliaia di persone. Ebrei, dissidenti politici, zingari, stranieri, omosessuali. Molti da quei luoghi furono trasferiti ai lager e ai campi di sterminio nazisti e non tornarono mai a casa».
Galluccio riapre una pagina inquietante della storia italiana, una pagina vergognosamente coperta dall’omertà storiografica e politica nel dopoguerra, quando l’Italia doveva rifarsi una verginità, evitare i tribunali internazionali e alimentare la leggenda degli “italiani brava gente”. Il libro di Galluccio racconta il crescendo propagandistico razzista, le leggi del ’38 e la loro applicazione dalle prime discriminazioni alle deportazioni verso i campi che ogni prefetto avevfa ordine di istituire e l’autore cerca di indagare e ricostruire e le condizioni di vita in una parte di queste prigioni per innocenti.
Dopo la guerra, fu minimizzata la responsabilità del popolo italiano e persino quella del regime fascista: si tentò di accollare ai nazisti anche la responsabilità dei lager in Italia. Eppure, come confermò lo stesso De Felice, erano centinaia (per il noto storico del fascismo 400, comprendendo però anche i luoghi di confino) i campi di concentramento voluti da Mussolini. Galluccio, nel suo libro, ricostruisce il percorso che condusse all’orrore: mette a nudo non solo la cinica crudeltà degli uomini del regime (ministri, sottosegretari, prefetti…) ciecamente asserviti alla ragion di Stato, ma anche l’ambiguità della Chiesa cattolica (presente in molti campi forse per evitare le efferatezze che invece si tolleravano altrove, come in Germania e in Polonia) e più in generale la connivenza di una società che assistette senza reagire all’apoteosi razzista, celebrata per anni sulle prime pagine dei giornali “ariani” che avevano costruito ad arte l’idea collettiva del “pericolo del diverso”.
L’Autore, nel corso di due anni, ha girato l’Italia, dall’Alto Adige alla Calabria, per un’indagine che ha avuto quasi sempre come unico sostegno documentale delle pubblicazioni locali sconosciute ai più, opera di storici dilettanti. Il diario di questo percorso fa da contrappunto alla ricostruzione storica e accompagna nella lettura, pagina dopo pagina, sviscerando fino in fondo la doppia colpa di un popolo che prima ha sbagliato e poi, diversamente da quanto hanno fatto i tedeschi, ha preferito sorvolare e rimuovere tutto. Con rischi sociali che si proiettano anche sul presente.
Le centinaia di lager istituiti in tutta Italia (e in ex Jugoslavia e Albania), infatti, secondo l’Autore, sono una pagina che va indagata sia per onorare le vittime di quell’orrore sia per
comprendere fino in fondo i meccanismi che lo resero possibile. Sessant’anni fa tutto avvenne quasi sfuggendo alla percezione collettiva dei più; eppure i giornali per anni scrissero nelle prime pagine – con toni agiografici – delle leggi razziali, della loro applicazione, dell’istituzione dei lager e di altre nefandezze compiute nel nome della “Legge” e contro il pericolo straniero, ebreo, comunista, americano…
Per questa ragione, come spiega l’autore, il libro di Galluccio vuole essere anche un monito sul rischio che anche nell’Italia di oggi si mettano in atto iniziative legislative, con la complicità di un’opinione pubblica addomesticata o vile, che con forme nuove e molto più striscianti e inafferrabili calpesti la dignità degli esseri umani – oltre che ogni principio di giustizia e di Diritto naturale – siano essi immigrati stranieri o zingari.
Sia pure evitando azzardati e fuorvianti parallelismi storici, l’Autore invita a riflettere sul rischio che il formarsi di una percezione collettiva di “pericolo” proveniente da un’idea del “diverso” alimentata dalle istituzioni politiche e amplificata dai mass media, possa assecondare la codificazione di norme apparentemente “difensive” e obbligate da fenomeni preoccupanti, ma in realtà invasive e contrastanti con i principi universali del rispetto della persona umana.
Il rischio di morte civile per qualche gruppo sociale, in altre parole, è sempre in agguato, anche se i suoi strumenti e le sue forme cambiano radicalmente nelle varie epoche. Questo sembra dirci un libro che copre, con un grido, un vuoto storiografico e si propone come spiega Galluccio di fungere da stimolo agli storici accademici affinché il tema dei lager italiani venga indagato e fatto riemergere per consegnarlo al dibattito collettivo e rendere possibile un tentativo di rielaborazione della colpa. Il che non sarebbe poco, data l’aria che tira per vari gruppi sociali deboli anche nell’Italia di oggi.