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Italia, l’offensiva clericale

di Massimo Ortalli *
Non c’è niente da fare. Il Vaticano sta a Roma e la sua ingombrante presenza non manca di soffocare quanto lo circonda. Sicché, quando si tratta di assecondarne gli umori e la volontà, non c’è santo che tenga, la pretesa laicità dello stato va a farsi, è il caso di dirlo, benedire, e le figure da utili idioti cui si sottopongono i “rappresentanti” del popolo italiano si susseguono con una costanza degna di miglior causa. Si sa che il calare le brache è un passatempo italico fra i più diffusi e praticati dai campioni di un opportunismo che nasce da una lettura mal digerita di Machiavelli; e quello del lacchè è tuttora uno dei mestieri più in voga e onorati fra gli inquilini del Palazzo. E purtroppo si fanno sempre più frequenti le occasioni di verifica di quanto detto.

Nella recente discussione parlamentare in merito all’approvazione della legge sulla fecondazione assistita, che i bigotti non a caso si ostinano a definire “procreazione”, sembrava di essere in un quagliodromo, tanto era praticato il salto della quaglia. Indifferenti ad ogni altra considerazione di schieramento, quelle per le quali in altre occasioni vorrebbero far credere di scannarsi a sangue, pressoché tutti i cattolici presenti hanno infatti trovato una compattezza spiegabile solo con l’umiliante desiderio di prostrarsi, in posizione quanto mai imbarazzante, dinanzi al prete. Non preoccupandosi minimamente, pur di accondiscendere ai desiderata della sacra pantofola, di approvare un provvedimento così inutilmente punitivo ed eticamente infame, quale quello illustrato da Rosaria sul numero scorso di Umanità Nova.
Questo episodio, del resto, non è che l’ultimo atto, ma solo per il momento, di una offensiva condotta con subdola determinazione dalle gerarchie ecclesiastiche. Le quali, spinte dalla emulazione, sul loro stesso terreno, dei cosiddetti integralisti islamici, si relazionano, nei confronti della società civile, con lo stesso spirito fondamentalista e totalitario che per altri versi, non senza ragioni, denunciano. Rendendo evidente, con ciò, che quel preteso ecumenismo di cui si è fatta vanto la chiesa di Wojtila, altro non è che un grottesco mascherone dietro il quale si cela l’inestirpabile assolutismo dei preti. La tolleranza è una preziosa vetrina che va esibita a ogni piè sospinto, ma se il vento cambia e dovesse diventare un impiccio, va tolta di mezzo. E basta!

Quanto è successo in questi giorni in Senato, come è facile immaginare, non lascia presagire nulla di buono. Se l’orgogliosa visita del papa in Parlamento aveva lasciato intuire una ripresa dell’invadenza clericale, le più recenti vicende del no al “divorzio breve” e della rimozione del crocifisso hanno mostrato il ricompattarsi trasversale dello schieramento cattolico, sul carro del quale, come al solito, sono saltati anche i Franceschi Nutelli di turno, impazienti di rifarsi la verginità perduta nella lontana gioventù. Nonostante la conclamata secolarizzazione della società, la capacità del clero di condizionare grosse fette dell’elettorato è ancora notevole, per cui che male c’è nel mostrare le vergogne una volta di più?

Diventa pertanto facile ipotizzare che, a breve, non mancheranno altre manovre con le quali i preti cercheranno di recuperare le posizioni perse negli anni in cui la società italiana aveva deciso di regolarsi scegliendo, fra i vincoli della fede e i valori della coscienza, solo questi ultimi. L’appetito viene mangiando e quello del prete, come si sa, è proverbiale. Trasformati in legge quelli che sono solo contenuti fideisti, anche se mascherati da pseudoscienza, si apre così la strada per rimettere in discussione la possibilità di abortire senza ricorrere in sanzioni. E qualche fanatico entusiasta, anche se prudentemente ripreso dalle gerarchie ecclesiastiche che, come si sa, amano muoversi coi piedi di piombo, ha già detto chiaramente che quello sarà il prossimo passaggio.
La religione, dunque, e i suoi metafisici contenuti, intesi ancora una volta come momenti di esclusione ed emarginazione, le convinzioni individuali che devono diventare regole generali, la libertà di coscienza destinata a cedere il passo alla volontà collettiva. È già abbastanza pesante tollerare lo stato, figuriamoci ora uno stato etico!

Spesso interessati detrattori hanno cercato di far passare l’anticlericalismo degli anarchici come l’anacronistico residuo di una cultura formatasi ai tempi del potere temporale della chiesa. E questa vulgata avrebbe una qualche spiegazione, se ci fossimo limitati a denunciare le malefatte, le incoerenze e le ipocrisie di chi “sparge l’impostura avvolto in nera veste”. Ma la nostra opposizione all’ingerenza del clero ha voluto affermare, soprattutto, la volontà di non dovere uniformare le nostre vite a principi e valori nei quali non ci vogliamo riconoscere. Una battaglia di libertà, dunque, la libertà per i credenti di credere nel loro dio, la libertà per i non credenti di non dover sottostare a credenze che rifiutano. Una battaglia necessaria, dunque, come i fatti, purtroppo, continuano a dimostrarci.

* Tratto dal settimanale Umanità Nova – www.ecn.org/uenne

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