di Paolo Trezzi
L’Ulivo sembra nato per deluderci.
Meccanico di questa politica che si limita a pescare dalla stessa scatola degli attrezzi della destra.
Eccoci, infatti, nuovamente con la Lista unitaria nell’Ulivo che di nuovo, anche sul modo con cui si è formata ha, purtroppo, ben poco.
Mancano pezzi di Ulivo storico ma la cosa è secondaria, dicono, e può essere. Ebbene, ammesso e concesso che dall’altra parte c’è probabilmente il peggio degli ultimi decenni –
non fascismo ma postdemocrazia è quasi certo come dice in questo sito Alberto Castelli – credo che una scelta consapevole debba basarsi su ragioni che non contemplino, ancora una volta, la necessità del meno peggio.
Proprio per questo è inutile fare trionfalismi, come avvenuto a Roma alla Convention con Prodi.
Su che basi nasce, infatti, questo nuovo Ulivo?
La memoria è una forza della sinistra da sempre e questo centrosinistra di potere aveva scelto, da tempo, la via giudiziaria come arma di lotta politica.
Ha puntato e punta, sulla pena, sulla rivalsa, sulla paura della criminalità, dello straniero, ha fondato centri di detenzione per immigrati, ha la responsabilità dell’affondamento della sgangherata caravella albanese nel Canale d’Otranto e la successiva sequenza di silenzio. Contro la Bossi-Fini da subito è scesa nelle strade solo la politica nata e manifestata a Genova, dai lillipuziani ai disobbedienti, non quella di potere.
Da quel lato della carreggiata non è stato rilevato alcun sussulto a proposito del proiettile flipper che ha ucciso il ragazzo Carlo Giuliani.
Genova è stata tradita, nascosta, allontanata da questo Ulivo di potere almeno fino a quando non è stato conveniente ricordarsene.
Il programma elettorale del ’96 sulla Giustizia di Flick è stato messo in un cassetto per attuare quello di Previti. I magistrati sono diventati da arbitri a paladini della riscossa. Il patto di stabilità economico europeo viene prima – e forse è il solo – di quello dello stato sociale.
La mancata Legge sul conflitto d’interessi, l’accordo sulla Bicamerale, il non voto agli immigrati, l’illusione delle sirene del neoliberismo ammesse – fuori tempo massimo – a Roma da D’Alema, le privatizzazioni di aziende e servizi pubblici, l’appoggio alle avventure militari, all’uso della guerra, il silenzio sulla modifica, peggiorativa, della Legge sul commercio d’armi, l’astensionismo annunciato sull’Iraq di questi giorni, hanno completato lo sfiguramento del suo volto e la sua storia di fraternità.
Se la sinistra sono questi, sono i movimenti e quelli come me, allora il nome ha perduto i bordi e s’è squagliato. E non basta essere certi che la luna di miele tra gli elettori italiani e il gran pifferaio del successo personale è finita. Non i processi ma i conti, le ragioni dell’economia domestica disaffezionano l’elettore che ha scelto di farsi governare dal più ricco di tutti. Non è merito di altri.
Ma purtroppo è bene ricordarsi e vedere che questo nuovo Ulivo ha nelle facce, nei protagonisti le stesse facce, ma proprio tutte, quelle che ci hanno portato a questo punto. E non è un bel vedere.
Tanto più che non si parla – a nessun livello – di forme di democrazia partecipata, di economie solidali fondate sulla valorizzazione delle risorse locali, di gestione pubblica e partecipata dei servizi, di produzione e gestione di beni collettivi, di pratiche per una società cosmopolita, di rifiuto della guerra e democrazia dal basso, ma solo che Uniti si vince, a prescindere.
Ed il problema è questo. L’Ulivo vuole sostituirsi al venditore di sogni, solo raccontandoli meglio.
Se questo Ulivo e l’opposizione a queste destre in genere si presentano con un profilo simile ed incerto su quella che è la propria idea di come cambiare l’economia e la società, di come interrompere il declino (provinciale) italiano ed europeo, non sarà più tempo di legittimi compromessi ma, ancora una volta, di opache convenienze; e non sarà nemmeno questo un bel vedere.
* Centro Khorakhané – Lecco