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L’ora di italiano

di Riccardo Orioles *

L’ora di italiano. “Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi…”. Un momento: che vuol dire “presidente del Consiglio”. Chi e’ Berlusconi, lo sappiamo: ma di che consiglio si tratta? E’ una cosa politica, vero? Io guardo la televisione (tranne il telegiornale), a volte trovo Leggo in treno, ma poi tempo per leggere non ne ho. E anche se l’avessi, dovrei perdere troppo tempo, a ogni riga, a farmi spiegare tutte le parole difficili: finanza, verifica, rimpasto, maggioranza, opposizione… Che vogliono dire? Ok, tu sorridi. Ma un terzo degli italiani e’ cosi’ (un terzo che non sta in internet, naturalmente). Ventidue milioni e mezzo di cittadini sanno leggere si’, ma non fare il riassunto di una frase. Capiscono un “divieto di sosta” (anche perche’ c’e’ il logo) ma non un “obliterare il biglietto prima di salire sul mezzo”.

Le cifre del vero e proprio analfabetismo di ritorno (difficolta’ anche solo a leggere) sono meno precise, ma si puo’ valutarle fra il dieci e il venti per cento della popolazione: sono cifre che crescono, comunque (per strana coincidenza, la regione con la maggior percentuale di laureati, la Calabria, e’ anche quella con piu’ analfabeti: i due estremi). La popolazione e’ sempre piu’ alfabetizzata sul piano televisivo, distingue fra Bonolis e Ricci, fra la Carra’ e la Cuccarini; ma lo e’ sempre meno sul piano della scrittura. In una qualunque discussione di bar, troverete sempre qualcuno che sa (per esempio) che Emilio Fede e’ di destra e Santoro di sinistra; ma solo alcuni hanno sentito parlare di Montanelli, e nessuno di Pintor o di Pansa. Cosi’, in questo momento, noi – qui ai giardinetti – stiamo parlando solo fra una parte della gente che ci e’ vicina. Un sacco di gente entra ed esce dal giardino, magari passa proprio davanti alla nostra panchina, e resta astralmente lontana da noi, come fra terrestri e klingoniani.
Teniamone conto, quando parliamo di politica: ci sono due partiti in realta’, il Partito dell’Alfabeto e quello senza. Se apparteniamo al primo, non consideriamoci autosufficienti, ne’ “importanti”.

La politica consiste essenzialmente nell’alfabetizzare la gente. Non educare, che e’ un’altra cosa. Nessuno puo’ insegnare a un altro, senza essere presuntuoso, dei contenuti: i contenuti seri, non strettamente specialistici, si scoprono da se’, e analfabeta non vuol dire affatto stupido ne’ ignorante. Si possono insegnare invece le tecniche per tirar fuori i *propri* contenuti: che sono sempre immensi, in ogni essere umano. La vecchia sinistra, nel sud, insegnava a leggere e scrivere nelle sezioni, metteva i compagni in grado di leggere l’Unita’ ma anche Manzoni, Grandhotel, l’Origine della specie e la Gazzetta. La Dc, alla tv, aveva il maestro Manzi.

L’Italia nel suo insieme, cattolici e communisti, aveva Don Milani. Tutti i “politici” di base di allora, dal parroco al segretario di sezione, erano essenzialmente dei maestri di scuola. Adesso, il messaggio va solo a senso unico, nessuno insegna piu’ alcuna tecnica, s’impongono dall’alto direttamente i contenuti. E tutto cio’ e’ sistematico, e’ un’ideologia. Dall’eliminazione della scuola pubblica al misero cinque per cento (scandalo fra le nazioni) stanziato per l’istruzione, tutto va coscientemente e cinicamente nel medesimo verso: disalfabetizzare le classi povere, rendere un privilegio lo strumento-lingua italiana.

A volte, fra le maglie del Sistema di Dealfabetizzazione, qualcosa riesce a passare, clandestina: il rumeno che legge attentamente, faticosamente ma la legge, la pagina sportiva sul metro’; il ragazzino che, provando e riprovando, e’ riuscito a mandare alla sua ragazzina un sms da cui forse lei capira’ quanto lui le vuol bene. Il che e’ gia’ fare una poesia, anche se lui lo ignora. La Lingua Italiana, passando sul ragazzino e sul rumeno, li guarda affettuosamente e sorride: come quando, in qualche rozzo villaggio del medioevo, qualcuno improvvisamente vergo’ “Adalbertos komis kurtis…”.

L’ora di latino. Gli Dei greci erano persone abbastanza comuni, solo un po’ piu’ importanti. La loro principale virtu’ era di non esistere, ma la gente era abbastanza educata da rispettarli lo stesso. Insomma, se eri un greco, di Zeus e di Apollo potevi tranquillamente fare a meno: comunque, non te ne dovevi spaventare. L’unica cosa da temere veramente era la “hybris” (presunzione): ma questa colpiva gli dei esattamente come te. Per i romani, invece, gli Dei esistevano veramente: non Giove e Marte (ai quali facevano finta di credere per fare i progressisti) ma tanti deuzzi piccoli e incazzosi dei quali uno serviva a proteggere la porta di casa, un altro a non fare scappare i soldati, un altro a far spuntare i dentini al bambino…
Insomma, Dei burocratici e seri e molto ma molto permalosi: Dei da starci in campana perche’ se s’incazzavano portavano *molta* sfiga. I greci, per decidere gli affari loro, bastava che si riunissero in assemblea: chi e’ favorevole? chi e’ contrario? Ok, approvato. Eleggevano qualcuno che badasse all’esecuzione di quanto deciso e poi se ne potevano tornare a casa tranquilli, dopo avere inventato la democrazia. Cioe’ semplicemente il modo di mandare avanti tutti insieme una citta’, una “polis”.

E i romani? Loro, poveracci, ogni volta dovevano trovare qualcuno che, parlando con gli dei, li convincesse a comportarsi da gentiluomini e non inondarli di sfiga. L’elezione non serviva a scegliere un sindaco, ma uno specialista anti-sfiga. Questa capacita’ di tener buoni gli dei si chiamava “imperium”: nessun politico ne poteva fare a meno, pena una colossale ondata di sfiga su tutta l’urbe. Capirete che i berlusconi e i d’alemi di quei tempi sgamarono subito che, per farsi gli affaracci loro, bastava che s’inventassero auspici sfavorevoli (“San Quirino e’ incazzato perche’ i sindacati fanno troppo casino”) e avevano partita vinta. Dal modo di fare dei greci e’ derivata la “politica”, che e’ una faccenda chiara e cittadina. Da quella dei romani l'”impero”, che non e’ affatto chiara (con tutti quei misteri di mezzo) e non e’ per niente cittadina. E siccome d’imperatori e d’impero, da un po’ di tempo, si torna a parlare fin troppo spesso, ci conviene decidere una volta per tutte se preferiamo essere greci o romani.

Questa faccenda “classica” di Atene e Roma, che noi europei abbiamo digerito da tanto tempo da trovarla ormai noiosa, e’ invece attualmente al centro del dibattito “alto” fra i politici americani: che sanno tutto di Pericle, di Silla, del post-Cartagine, di Ottaviano prima e dopo la presa del potere, e si compiacciono di citarli spesso e con gran serietà.

Due temi da seguire con attenzione, per quanto possibile qui da noi: la democrazia “comunitaria”, di dichiarato modello greco, substrato ideologico (non nuovo: Jefferson, Whitman, Thoreau) di quasi tutto il no global americano, trasversalmente fra sinistra e destra; e il dibattito fra impero “marittimo” (Mahon, ma in un certo senso già Monroe) e impero “alla romana” (Luttwark, e più recentemente Krauthammer) che e’ ormai denominatore comune nel nuovo ceto politico americano. Un dibattito decisamente di destra, a volte di destra estrema (Wolfowitz) ma piu’ frequentemente con toni realistici e moderati, in cui pero’ il concetto di impero in se’ non viene piu’ messo in dubbio da nessuno. Differenza con l’ideologia britannica dell’ottocento, in cui la parola “empire” veniva translata in “commonwealth” e non (salvo che fra i poeti) in “imperium”.

* Articolo tratto dalla e-zine “Tanto per abbaiare”, per iscriversi basta scrivere a riccardoorioles@libero.it

* Questo articolo è tratto dalla Catena di SanLibero del 24 giugno 2002 n° 132, e-zine diffusa da Riccardo Orioles alla quale si può iscriversi inviando un e-mail: ricc@libero.it.

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