[Articolo tratto dal settimanale anarchico Umanità Nova].
Ogni Costituzione è un po’ come il vestito della festa di uno Stato; lo sappiamo bene in Italia dove da decenni le espressioni più o meno avanzate dello schieramento democratico continuano vanamente ad appellarsi ai governi e alle cariche istituzionali affinché sia rispettato il dettato costituzionale del 1948 in materia di guerra, lavoro, diritti o antifascismo. Le proclamate buone intenzioni, così come il rispetto dei diritti universali (comprese ovviamente le intoccabili proprietà privata e libera impresa!), sono da sempre specchietti per quanti credono ancora che il potere possa rispettare le regole che esso stesso scrive.
Non fa eccezione la Costituzione europea, recentemente affossata dai referendum in Francia e Olanda, contestata sia da destra che da sinistra con motivazioni opposte ma talvolta convergenti nel comune diffuso sentire “contro l’Europa delle banche”.
Molto ci sarebbe da dire sull’europeismo, ossia sul suo mito variamente declinato da destra come da sinistra, dai settori neonazisti che vorrebbero l’Europa Nazione sino alle aree new global che sognano l’Europa Sociale (basti pensare al celebrato teorico dell’Impero, l’ineffabile professor Negri, sostenitore del SI al referendum), ma ci preme sottolineare che la sbandierata affermazione dei NO al progetto di Costituzione europea ha in realtà un valore non molto superiore a quello di sondaggio d’opinione sul livello di gradimento verso l’integrazione europea.
Indubbiamente la nuova Costituzione europea mira a definire maggiori poteri delle istituzioni dell’Unione Europea anche su materie di esclusiva competenza degli Stati nazionali; ma sarebbe fuorviante pensare alla UE come ad una sorta di nuovo Stato nazionale “allargato” in procinto di prendere il posto di quelli attuali; semmai ci troviamo di fronte all’emergere di una forma di statualità diversa dalle precedenti ma non alternativa.
Così come è fuori discussione che l’attuale testo abbia contenuti pesantemente razzisti e autoritari, riproposti nella forma di una presunta specificità culturale “superiore” sviluppatasi sul continente europeo. Attraverso affermazioni retoriche e supponenti si vuole infatti imporre l’idea di un’Europa custode ed espressione della sua “civiltà” e dei suoi “valori” tali da presentarla come un’entità astratta “da sempre” presente nella storia dei “popoli dell’Europa”, un’entità sovrastorica definita da tradizioni piuttosto che determinata da secoli di conflitti, ultimo dei quali non si è concluso sessant’anni addietro ma soltanto sei anni fa, con la guerra nei Balcani che ancora oggi vede un’occupazione militare di quei territori.
È del tutto evidente che ci troviamo di fronte ad un processo di “invenzione della tradizione” del tutto analogo a quelli innescati da tutti i nazionalismi (basti pensare all’invenzione della Padania), un’operazione ideologica la cui infondatezza storica ed il cui carattere grottesco, non ne diminuiscono l’essenza reazionaria.
Il tentativo è infatti trasparente e tutt’altro che inedito: occultare l’essenza di classe della nuova forma del dominio, dandone una visione interclassista e pacificata, avviando un’operazione ideologica volta a far sì che gli sfruttati del continente si identifichino con l’imperialismo europeo, ne giustifichino le guerre di aggressione, collaborino di buon grado con chi li controlla ed opprime, in nome di quella “comune civiltà” che ha disseminato di cadaveri non solo il “nostro” continente ma tutto il pianeta, dall’Africa all’America Latina.
Tutto, sia chiaro, ben dentro le logiche e leggi dell’economia capitalista in quanto “nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e i interessi” (art. I-3, punto 4).
Infatti, anche senza aspettare di avere una Costituzione, l’indirizzo bellicista, con la quale l’Unione si sta dotando di una sua capacità militare offensiva, è ben dimostrato dalla creazione di forze speciali europee e dei dispositivi militari necessari affinché essa sia in grado “di lanciare un’operazione entro 5 giorni dall’approvazione del concetto di gestione della crisi da parte del Consiglio. Riguardo allo spiegamento delle forze, l’obiettivo è che le forze comincino ad eseguire la loro missione sul terreno al più tardi dieci giorni dopo la decisione della UE di dare avvio all’operazione. Sarebbero comprese le pertinenti capacità aeree e navali”.
E qui non siamo di fronte a pezzi di carta o a dichiarazioni d’intenti, dato che l’Unione Eurpea è già impegnata militarmente – con un esercito posto sotto il suo comando – in diverse zone del mondo. Certo, non si tratta ancora degli auspicati “pacchetti interforze ad alta prontezza”, ma militari che indossano tutti lo stesso elmetto blu con le dodici stellette dell’Unione sono già dispiegati: nell’ex repubblica jugoslava di Macedonia con l’operazione “Concordia”; nella repubblica democratica del Congo con l’operazione “Artemis”; in Bosnia-Erzegovina con la “missione di polizia” denominata “Eupm”; mentre è imminente l’avvio di un’altra “missione di polizia” sempre nell’ex repubblica jugoslava di Macedonia denominata “Eupol-Proxima”. A questo elenco, di per sé non completo, andrebbero aggiunte le svariate “missioni” che l’Unione Europea realizza indirettamente, attraverso l’azione coordinata degli Stati membri che la compongono, come in Afganistan.
Infine, ad ulteriore testimonianza di quanto essa in questo campo sia attiva, l’Unione Europea ha già avviato la definizione di una strategia industriale che le consenta di realizzare un’efficiente politica comunitaria in materia di produzione di attrezzature militari e armamenti, e quindi recuperare il divario che in questo settore la separa dalla concorrenza USA.
Constatazioni similari si potrebbero peraltro fare in materia di politiche del lavoro, in merito alla moneta comune, riguardo le direttive a favore delle privatizzazioni, sulle infami misure anti-immigrazione o attorno agli apparati della repressione sociale, già operanti nella cosiddetta Fortezza Europa.
Per fermare la macchina di guerra targata UE, occorrono ben altri inceppamenti e ben altri soggetti collettivi.
* Articolo tratto dal settimanale “Umanità Nova” numero 21 del 12 giugno 2005, Anno 85