di Riccardo Orioles *
Informazione. È nato, ovviamente in America, il giornale perfetto. Si chiama Lucky, e’ un magazine a target medio-alto, stampa quasi un milione di copie e non ha una pagina che non sia di pubblicità. Tutti i contenuti giornalistici (reportage, articoli, inchieste, lettere dei lettori) sono stati completamente soppressi. In compenso, il lettore viene informato minuziosamente di tutte le offerte commerciali disponibili (quelle, beninteso, che il giornale ha scelto per lui) e viene scortato con la mano sulla spalla nell’affascinante mondo della pubblicità.
Ha diritto, se ha i soldi, a comprare tutto cio’ che gli vien messo davanti – se non ha i soldi non è un lettore – e, subito dopo, a lavorare alacremente (possibilmente in un settore vicino alla pubblicita’ o all’intrattenimento) per rimettersi in grado di comprare altre cose. Può esprimere le proprie opinioni – sugli oggetti in vendita, e solo su quelli – sbarrando le apposite caselle negli spazi segnati. Può anche provare emozioni (“Bello”, “Bellissimo”, “Meraviglioso”, “Boh”) e esprimere decisioni (“Compro subito”, “Appena ho i soldi”, “Per ora no”) come un qualunque altro essere umano.
Il lettore-tubo vuoto, riempito a un’estremità con gli spot ed evacuante dall’altra gli ordini d’acquisto, è dunque l’evoluzione finale del pubblico dei giornali. Modello televisivo? No, c’è qualcosa in piu’: il rapporto più rilassato e personale della carta stampata col suo lettore permette una manipolazione più intima della psiche del soggetto. Da cui, per prima cosa, vanno raschiate via tutte le incrostazioni culturali presenti fra uno sfintere e l’altro, affinché i contenuti pubblicitari vi scorrano attraverso senza intoppo.