di Marco Cedolin
Negli ultimi anni mi sorprendo sempre più spesso a domandarmi quale sia la linea di demarcazione che separa la realtà dalla finzione e quanto ci sia di reale nelle rappresentazioni degli accadimenti che giungono fino a noi così ottimamente sceneggiati, interpretati, plausibili.
Già, plausibili, la realtà, in natura, quando esiste libera di fluire senza la forzatura di un copione, senza dover sottostare alle leggi dell’audience, senza la costrizione di dover creare in chi la osserva del pathos, non sempre è plausibile, né perfetta, né tantomeno spettacolare. Ma la nostra realtà sì. Nella nostra realtà nulla sembra lasciato al caso e all’imponderabile, tutto ciò che accade (o viene fatto accadere, o sembra essere accaduto, fate voi) è figlio illegittimo di un abile sceneggiatura, volta a massimizzare l’effettismo degli eventi. Ogni cosa accade nella maniera più spettacolare, nei tempi giusti, nei modi più appropriati, senza sbavature, senza contrattempi, come in un film.
La vicenda delle quattro guardie private rapite e tenute in ostaggio in Iraq e l’uccisione di una di esse nella persona di Fabrizio Quattrocchi è ad esempio una di quelle che lasciano perplessi per i tanti aspetti che la fanno somigliare più ad un B-movie americano piuttosto che non ad un fatto di cronaca appartenente alla realtà
Tutti i pezzi del mosaico sembrano disposti ad arte nel rappresentare una realtà al contempo plausibile, drammatica, straziante e coinvolgente; ma resta come sottofondo una nota stonata, come la sensazione di trovarsi di fronte ad un reality show e non ad un vero accadimento di cronaca.
Le Falangi Verdi di Maometto, il fantomatico gruppo dei sequestratori non lo avevamo in verità mai sentito prima, non ha una storia né un’identità, ma il nome così altisonante e “islamico” sembra ottimo per porsi al centro della scena.
In egual misura la richiesta dei rapitori per la liberazione degli ostaggi è di quelle improponibili, seppure di grosso effetto. Pretendere il ritiro del contingente militare italiano (e non la liberazione di qualche prigioniero politico come è realmente varie volte accaduto in passato) equivale alla pretesa ridicola di 200 milioni di dollari e un elicottero per non distruggere il mondo, leitmotiv di tanti telefilm sui generis.
Sulla stessa lunghezza d’onda anche la risposta del governo italiano che anziché proporre toni morbidi nell’intento di prendere tempo e consentire eventuali trattative segrete, come sempre avviene in questi casi, ha preferito esternare un’intransigenza tronfia e caricaturale, non preoccupandosi minimamente di far ricadere gli effetti del proprio malestro sulla sorte degli ostaggi.
La sensazione di trovarsi dinanzi ad una pellicola ha poi raggiunto il proprio acme durante la serata di mercoledì, quando la rappresentazione è sembrata dipanarsi a meraviglia in virtù di un meccanismo ben oliato studiato fin nei minimi dettagli.
La serata nel teatrino di Porta a Porta, ormai assurto a succedaneo del parlamento, del Quirinale e di ogni altra istituzione dello stato italiano. Una serata insolitamente in diretta, quasi la drammaticità del divenire fosse stata subodorata in precedenza.
Ospite fra gli ospiti nientemeno che il ministro degli esteri Frattini, uomo che avrebbe dovuto trovarsi ben lontano dagli schermi TV, impegnato allo spasimo nel compiere il proprio lavoro, che consisteva nel seguire la grave vicenda dalla sede deputata ad impegni di questo tipo.
Gradita la presenza in sala di alcuni parenti dei malcapitati ostaggi, tranne per una strana ironia del destino i parenti del povero Quattrocchi.
La notizia dell’uccisione vissuta, per un altro scherzo del fato, incredibilmente in diretta, veicolata presso l’emittente araba Al Jazeera da una di quelle videocassette che oramai sembrano l’unico anello di congiunzione fra l’immaginario collettivo e la realtà dei fatti, una realtà comunque sempre filmica in quanto impressa sopra ad un nastro VHS.
Il lungo pathos che aleggia fra gli ospiti dello studio nell’attesa di una conferma o smentita dell’uccisione, con il ministro Frattini nell’inusuale veste di spettatore fra gli spettatori, lui che la logica avrebbe voluto in prima linea profondersi nell’appurare i fatti.
Poi lo sgomento, i pianti, la disperazione dei parenti degli altri ostaggi, tutto in diretta TV, tutto parte di un reality show nel quale anche le pause, le notizie, le attese, le lacrime sembravano frutto di un’attenta regia; ogni cosa al momento giusto, ogni cosa al punto giusto, senza sbavature.
Avete presente quando si esce da una sala cinematografica e si percepisce come una piccola sensazione di esaltazione? Se abbiamo visto un film di azione viene quasi voglia di menare le mani, un film ispirato ai buoni sentimenti ci rende per qual che momento più inclini alla bontà, uno d’amore ci istiga a donarci all’anima gemella e così via.
Ecco dopo l’overdose emozionale del Porta a Porta di mercoledì sera sentiamo chiaramente di poter discernere la verità con una chiarezza mai sperimentata prima.
In Iraq non esiste un popolo in rivolta ma solo terroristi sanguinari. Il terrorismo va combattuto ed è giusto che i nostri soldati (che lo combattono) restino là tutto il tempo necessario.
Fabrizio Quattrocchi è stato ammazzato dagli arabi ed è morto come un eroe invocando il nome del suo paese. E gli arabi che stanno tentando d’invaderci (come asserisce il futuro premio Nobel Oriana Fallaci) dovranno passare sul cadavere di noi tutti prima di riuscire a farlo.
Che belle queste pellicole che ricordano i cinegiornali del ventennio, ma qualcuno di voi riesce a rammentare in che anno la colonia d’Iraq è stata annessa alla madrepatria?