Nel pieno della crisi degli ostaggi, Silvio Berlusconi va da Putin e afferma che la presenza militare Usa in Iraq e la fedelissima partecipazione italiana dovranno continuare anche dopo il 30 giugno (data di un passaggio di poteri pro forma dall’amministrazione americana a un governo nazionale).
Non solo: il capo dell’inneffabile governo italiano sottolinea che l’Onu non potrà affatto prendere il comando militare e politico in Iraq, perché non ne è in grado. Oltre a una serie di considerazioni sulla linea inquietante dell’esecutivo che sembra esporre in modo crescente il nostro Paese in un conflitto dal quale gli assennati fuggono, vien fatto di interrogarsi sull’opportunità temporale di queste disarmanti dichiarazioni ufficiali del premier bellico italiano nel quadro della trattativa per il rilascio delle tre guardie private in mano a un gruppo di sequestratori pare ancora non bene identificato.
C’è solo da augurarsi che queste incaute dichiarazioni non abbiano l’effetto tragico che una settimana fa ebbe l’improvvida frase “del ritiro delle truppe non si parla nemmeno” proncunciata da Berlusconi in riferimento a una delle richieste dei rapitori. I quali, 48 ore più tardi, uccideranno Fabrizio Quattrocchi richiamando quella frase infelice nel messaggio che accompagnava il video della barbara esecuzione.
La cautela dello statista dovrebbe suggerire, in frangenti delicatissimi come l’attuale, molta prudenza dialettica. Ma che cosa aspettarsi da chi, in un consesso internazionale, non al Bar Sport, proclama la superiorità della civiltà occidentale su quellla islamica?
Per salvare le vite degli ostaggi è decisamente più utile evocare valutazioni e confronti che tagliar corto dicendo che non si tratta. Cosa peraltro, che l’Italia ora, con altre tre persone da salvare, sta facendo attivamente, sia pure in uno scenario surreale di comunicazioni ai mass media.
Circa 24 ore fa lo stesso Berlusconi parlava di una svolta imminente, aspettava una comunicazione “tra poche ore”. L’amico di uno dei rapiti informava la stampa dell’avvenuta conclusione della trattativa: “Ora manca solo l’accordo sulle modalità del rilascio”. E anche altri esponenti istituzionali rilasciavano dichiarazioni apertamente ottimistiche.
Tanto che a leggerle si poteva quasi supporre che in realtà i tre ostaggi fossero già in mani sicure, sembrava l’unica spiegazione della sicurezza che traspariva da quelle dichiarazioni pubbliche. Ci siamo addormentati immaginando che al mattino i giornali radio ci avrebbero svegliati con la notizia del rilascio. E invece, nulla.
Oggi le cose sembrano precipitare e nulla viene più dato per così certo o imminente. Escludendo che si tratti di un espediente per un clamoroso colpo di scena da consumare a “Porta a porta” (abbiamo già dato), inquieta non poco un govenro che si lascia andare a una giornata di dichiarazioni in libertà mentre la trattativa è in corso e la situazione sul terreno in Iraq si aggrava.
A proposito, mentre si sta materializzando l’effetto Zapatero, con nuovi ritiri di truppe, utili ripensamenti e rimescolamento di carte diplomatiche, il nostro amministratore delegato non fa neanche mezzo passetto indietro e anzi rilancia sulla presenza militare italiana in Iraq (riesce a irritare persino i suoi fidi alleati della Lega Nord…). Fiero di essere ora il più fedele alleato del duo pinocchiesco Bush-Blair, la terza B dell’Asse del Bene sentenzia anche l’incapacità dell’Onu di prendere in mano il vero comando della transizione irachena.
Naturalmente i Tg si sprecheranno in dichiarazioni governative sulla richiesta di una nuova risoluzione Onu entro maggio avanzata dal ministro degli Esteri Frattini, per “coinvolgere le Nazioni unite”.
Coinvoglere? Qui si gioca con le parole e l’inviato Onu in Iraq Brahimi lo sa e per questo mette i puntini sulle i. Bush e colleghi, disperati ma testardi nel pantono di sangue e petrolio, dall’Onu vorrebbero una legittimazione completta e un sostegno indiretto sul fronte militare.
Chi invece onestamente invoca l’Onu, come i movimenti contro la guerra, intende che la transizione politica sia gestita dalla comunità internazionale (non dall’amministrazione Bremer e poi dall’elefantiaca, futura ambasciata Usa di Baghdad guidata dal discusso Negroponte, con 3 mila dipendenti, la più grande al mondo, a significare un governo e ministeri ombra). E che all’Onu passi anche il comando di una forza militare di diversa composizione e attitudine nei riguardi di un Paese dilaniato e caratterizzato da una estrema complessità sociale che bisogna cercare pazientemente di comporre, non di spingere nella spirale bellica.
Dopo aver trasformato l’Iraq da regime liberticida e assassino a territorio di guerra infestato da terroristi, chi pensava che tutto si risolve con le armi del più forte non si arrende nemmeno alla tragica videnza. E continua i suoi giochi sporchi.
Berlusconi insiste con le frasi celebri
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