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I tre atti di un rapimento oscuro

di Marco Cedolin
Quando quasi due mesi or sono si aprì la vicenda degli eroici ostaggi italiani, sequestrati nella straniera terra d’Iraq, non si poteva fare a meno di notare le tante incongruenze che, fin dall’inizio, le facevano da contorno.
Prime fra tutte l’annuncio del rapimento dato giorni prima e poi subito rientrato, nonchè l’assurda denominazione “brigate verdi di Maometto” attribuita al gruppo terroristico, una sigla che sembrava rifarsi molto più alle faccende di casa nostra, piuttosto che non a quelle della resistenza irachena. Poi ci fu l’esecuzione di Fabrizio Quattrocchi vissuta in diretta Tv, nel salottino buono di Bruno Vespa, con la straordinaria presenza del ministro Frattini e l’assenza altrettanto straordinaria (unici fra tutti i congiunti degli ostaggi) dei parenti del povero Quattrocchi.
Dal giorno della tragedia in poi, tutta la vicenda iniziò a sfumare verso il parossismo, in un teatrino dell’assurdo, vissuto sull’onda emozionale dell’apprensione per i nostri compatrioti ed inframmezzata soltanto dalla comparsata dei tre, ripresi in videocassetta mentre consumavano il desco.

Tutto il quadro generale della rappresentazione si divide organicamente in tre parti ben distinte fra loro, anche se ovviamente interdipendenti l’una dall’altra.
La tragedia – Le richieste dei rapitori – La liberazione degli ostaggi –

La tragedia, iniziata con il rapimento e culminata con l’assassinio di Quattrocchi aveva il chiaro scopo di far traslare gli umori dell’opinione pubblica italiana verso posizioni di antipatia o di vero e proprio odio nei confronti del mondo islamico in generale e della resistenza irachena in particolare. L’equazione iracheni terroristi assassini che uccidono un nostro compatriota uguale necessità di mantenere in Iraq il nostro contingente militare, atto a preservare la pace e punire chi ha osato tanto, è di una semplicità disarmante.
L’uccisione di Quattrocchi, più di ogni altra vicenda ha contribuito a mantenere un consenso nei confronti della missione militare italiana, proprio in un momento topico, nel quale questo consenso si stava inesorabilmente sgretolando, anche grazie alla coraggiosa decisione di Zapatero.

Le richieste dei rapitori: prima il ritiro del nostro contingente dall’Iraq e poi una grande manifestazione pacifista a Roma, apparvero fin dall’inizio prive di ogni senso e logica, nonché inspiegabilmente legate alla realtà socio politica italiana.
Qualunque cellula terroristica avrebbe avanzato richieste realistiche che rivestissero per la resistenza irachena un’utilità tangibile: del denaro, la liberazione di prigionieri, armi o quant’altro.
Le brigate verdi no! Loro domandavano il ritiro di un intero contingente militare, mandato in Iraq dalla decisione di un parlamento, in cambio di 3 ostaggi. Neanche la più fervida fantasia avrebbe potuto sperare fosse soddisfatta una richiesta del genere, non essendo mai accaduto nulla di simile a memoria d’uomo.
Poi, non contenti chiedevano una manifestazione pacifista, per strana ironia della sorte proprio nella settimana deputata ad ospitare le celebrazioni del primo maggio, che si sapevano improntate alle richieste di pace in Iraq e ritiro del contingente italiano dallo stesso. Che utilità avrebbe mai portato ai terroristi richiedere una manifestazione che già era programmata, in cambio della sorte degli ostaggi?

Le assurde richieste dei rapitori hanno avuto come scopo quello di creare una ragione che non c’era per giustificare la permanenza dei nostri soldati in Iraq:
i terroristi ci chiedono di andare via uguale cedere alle richieste del terrorismo, mai!
Creare un parallelismo fra i pacifisti italiani ed i terroristi iracheni, screditando i primi con facilità:
voi manifestate per la pace, i terroristi chiedono manifestazioni per la pace, uguale, chi manifesta per la pace fa il gioco dei terroristi e la pensa come loro.

La liberazione: dopo aver ottenuto il risultato voluto, attraverso la tragedia e le richieste, si trattava ora di riuscire nel difficile compito di traghettare l’intera commedia per una quarantina di giorni fino al momento delle elezioni.
L’uovo di colombo che ha permesso questo avvenisse è stato in verità di una semplicità disarmante, essendosi trattato di una semplice “censura a fin di bene”. E’ bastato suggerire ai media di non dare più risalto alla vicenda, perché questa cadesse improvvisamente nel dimenticatoio e con essa il tempo che passava.

E siamo arrivati ad oggi, martedì 8 giugno: liberati gli ostaggi, senza spargimento di sangue, arrestati i rapitori, Silvio Berlusconi può finalmente dichiarare nel suo spot elettorale meglio riuscito «Non posso che essere felice perché abbiamo scelto la giusta strategia, quella del silenzio assoluto e quella di non fare nessuna trattativa con i terroristi»

Tutto come in una fiaba… e sabato si vota.

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