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Direttiva Bolkenstein e paradigma liberista nella Ue

L’Unione europea sta discutendo la direttiva, proposta dell’ex commissario Frits Bolkenstein (liberale olandese) durante la presidenza di Romano Prodi, sulla deregolamentazioen del mercato dei servizi. Come scrive il sito Web Stop Bolkenstein , tale direttiva europea, se sarà adottata, avrà come conseguenza che tutti i servizi forniti dai 25 stati membri dell’Unione europea saranno considerati come prodotti economici ordinari. Di conseguenza, settori essenziali, quali la cultura, l’istruzione, le cure sanitarie e tutti i servizi relativi ai sistemi nazionali di protezione sociale potranno
essere soggetti alle stesse forme di concorrenza economica delle merci.
Ecco altre informazioni e il testo della petizione proposta da Stop Bolkenstein. A seguito dell’iniziativa dell’ex commissario europeo Frits Bolkenstein (liberale olandese), è attualmente in discussione un progetto di direttiva (legge europea) sulla libera circolazione dei servizi in seno all’Unione Europea (testo del progetto di direttiva).
Tale direttiva europea, se sarà adottata, avrà come conseguenza che tutti i servizi forniti dai 25 stati membri dell’Unione europea saranno considerati come prodotti economici ordinari. Di conseguenza, settori essenziali, quali la cultura, l’istruzione, le cure sanitarie e tutti i servizi relativi ai sistemi nazionali di protezione sociale potrannoessere soggetti alle stesse forme di concorrenza economica delle merci.
Un tale cambiamento implica inevitabilmente un deterioramento dei sistemi legali legati alle pensioni, all’assistenza sociale o alla copertura delle cure sanitarie a vantaggio dei sistemi privati. Significa altresì la deregolamentazione dei nostri sistemi educativi e la fine di tutte le forme di diversità culturale. Inoltre, l’applicazione di questa direttiva comporterà la rimessa in discussione dei diritti dei lavoratori, così come sono garantiti dalle leggi nazionali dei paesi dell’Unione europea.
Dal marzo scorso, alcuni partiti politici e diverse istanze nazionali ed europee associazioni, sindacati e così via) hanno suonato il campanello di allarme, chiedendo la mobilitazione delle forze progressiste per lottare contro questo progetto di direttiva sinonimo di regressione sociale. Nonostante le proteste, una larga maggioranza degli Stati membri sembra essere favorevole all’adozione rapida di questo progetto di direttiva. Si tratta di una decisione per la quale l’umanità non è stata interpellata e nessun governo, e con maggior ragione nessun partito politico, può impedire da solo l’adozione di questa direttiva. Solo una forte mobilitazione della società civile in seno all’Unione europea potrà quindi impedire un tale cambiamento.
Occorre agire in fretta. Vi invitiamo pertanto a dire chiaramente NO a un’Europa della regressione sociale firmando la petizione elettronica e facendo circolare il presente messaggio.
È inoltre possibile scaricare le versioni cartacee della petizione oppure richiederle chiamando il numero 02/5483211.

ALTRE INFORMAZIONI

Contesto e precedenti Secondo il suo autore, la direttiva ha lo scopo di stabilire un quadro giuridico per eliminare gli ostacoli alla libertà di insediamento dei prestatori di servizi e alla libera circolazione dei servizi in seno agli Stati membri. Di conseguenza, la proposta mira a sopprimere tutte le barriere che impediscono l’effettivo esercizio di queste due libertà fondamentali del trattato europeo. In realtà , è subito stato chiaro che tale direttiva, se dovesse venire adottata, avrà come conseguenza la commercializzazione di tutti i servizi all’interno dell’Unione europea, compresi i settori essenziali, quali i servizi sociali, la cultura, l’istruzione e la sanità. Si ricorderà che lo scorso marzo è stato suonato il campanello di allarme ed è stato lanciato un appello alla mobilitazione alle forze progressiste europee per lottare contro questo progetto di direttiva, sinonimo di regressione sociale. Una serie di istanze nazionali ed europee (sindacati, associazioni, ONG, partiti politici e così via) si è mobilitata e ha mostrato gravi riserve sul progetto di direttiva. Malgrado questa importante mobilitazione, una larga maggioranza degli Stati membri sembra essere favorevole all’adozione rapida di questo progetto di direttiva. La proposta è stata presentata al Consiglio Competitività (incaricato di questo dossier) nel marzo 2004.
Il gruppo di lavoro del Consiglio ha proceduto alla revisione del testo in due passaggi, analizzando ogni singolo articolo e fornendo un’opinione iniziale sulle difficoltà politiche e tecniche degli Stati membri. Il Belgio ha mostrato le riserve maggiori al momento della prima discussione presso il Consiglio, mentre gli altri Stati membri hanno dato il proprio appoggio almeno in linea di principio. All’epoca del Consiglio Competitività del novembre 2004 Belgio, Portogallo, Grecia e Francia hanno attaccato le questioni relative al principio del paese di origine o dei settori da escludere dal campo della direttiva. Le formazioni successive dello stesso Consiglio saranno tenute sotto presidenze di stati, Lussemburgo e Regno Unito, che sono ferventi sostenitori della proposta della Commissione. Per quanto riguarda la direttiva, sappiamo che il testo viene analizzato contemporaneamente al Consiglio da più commissioni del Parlamento europeo (in particolare tramite delle audizioni).
La direttiva è a codecisione e deve essere approvata sia dal Consiglio che dal Parlamento. Quindi anche quest’ultimo dovrà dare la propria opinione e pronunciarsi sulle modifiche possibili alla proposta della Commissione. Da parte sua la Commissione ha annunciato un determinato numero di emendamenti, di portata limitata, in seguito a certe osservazioni fatte contro la direttiva, soprattutto da parte del Belgio (lavoro interinale, sicurezza privata, applicabilità ai settori delle reti, fiscalità e così via). Tali emendamenti non sono in alcun modo sufficienti per modificare la natura fondamentalmente criticabile del progetto di direttiva. È da notare che il calendario iniziale previsto dalla Commissione per l’adozione della direttiva (prima della fine del 2005) sembra adesso difficilmente rispettabile. Adesso occorre rilanciare la mobilitazione. II. Analisi e obiezioni fondamentali La proposta di direttiva è assolutamente inaccettabile.

Riassumendo, abbiamo tre obiezioni fondamentali:
1) La proposta considera allo stesso modo tutti i servizi, sia che si tratti o meno di servizi di interesse generale. In particolare, non tiene conto delle esigenze specifiche in termini di sicurezza, sanità, garanzia di accessibilità e di finanziamento, preservazione della diversità o della sottrazione alle regole della concorrenza, che sono indispensabili in determinati settori. Considera altresì le cure mediche, la cultura o l’insegnamento come servizi economici in concorrenza, allo stesso modo della riparazione di un’automobile. Abbiamo insistito e insisteremo ancora perché la specificità dei servizi di interesse generale e, in particolare, dei servizi pubblici sia tenuta in considerazione. Sopratutto perché, senza essere formalmente un testo di liberalizzazione, la proposta, se dovesse essere adottata, avrà l’effetto di sottoporre determinati servizi pubblici a una concorrenza maggiore e non inquadrata. Prima di poter creare un vero mercato interno di servizi, è prioritario avere una direttiva quadro sui servizi di interesse generale che consenta agli Stati membri di definire loro stessi i servizi che considerano di interesse generale e per i quali devono quindi essere preservate delle regole di libera concorrenza. Tale direttiva quadro deve allo stesso modo garantire la libera scelta da parte delle autorità pubbliche dei sistemi di finanziamento e di organizzazione dei servizi di interesse generale.
2) La proposta limita severamente la capacità degli Stati di regolamentare, o anche di controllare, le attività dei servizi sul proprio territorio. Ancora una volta, alcune delle attività devono essere soggette a un inquadramento in nome dell’interesse generale. A titolo esemplificativo, questa volontà di semplificazione amministrativa rimetterà in discussione le norme essenziali per il buon funzionamento della sanità: esigenze legate al numero minimo di dipendenti, alle tariffe obbligatorie, ai limiti fissati in funzione della popolazione o della distanza geografica minima. Questa sarà la fine del nostro sistema attuale di copertura delle cure sanitarie. Una soluzione alternativa, che sarebbe stata altresì più efficace per costituire un mercato europeo senza ostacoli, sarebbe stata l’adozione di regole minime a livello europeo in vari settori. Tuttavia, tale proposta di direttiva rinuncia sostanzialmente a tale possibilità.
3) Sempre all’interno di questa stessa logica, la proposta prevede il principio del paese di origine. Ciò significa che il prestatore di servizi è soggetto unicamente alla legislazione del paese in cui è stabilito. Tale principio favorisce il prestatore del servizio, che non dovrà far altro che stabilirli all’interno dello Stato dell’Unione europea più lassista a livello sociale e fare di tale paese la propria base per agire all’interno di tutti gli altri Stati membri sfuggendo alle regolamentazioni più rigide. Gli Stati, per evitare decentramenti e una crescita del tasso di disoccupazione, rischiano di intraprendere un percorso che porterà a un regime meno rigido e allo smantellamento dei sistemi di protezione dei cittadini, dei consumatori e dei lavoratori in vigore. Inoltre, la proposta di direttiva ha delle ripercussioni importanti sul funzionamento del mercato del lavoro. Due in particolare sono piuttosto inquietanti. In primo luogo, la proposta interessa i lavoratori distaccati. In questo modo, lo Stato membro di distacco si vede proibire tutta una serie di misure dirette, rendendo impossibile il controllo delle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati. A titolo esemplificativo, uno Stato membro non potrà più imporre al lavoratore distaccato di tenere dei documenti sociali sul proprio territorio. In secondo luogo, poiché la proposta mira a sopprimere tutte le barriere per la libera circolazione di servizi, convenzioni collettive e accordi settoriali o l’intesa sociale potranno essere considerati ostacoli ed essere soppressi. Riassumendo, la proposta privilegia la libertà di instaurazione e di circolazione in relazione ad altri imperativi legittimati dal trattato, quali la sicurezza, la sanità, il funzionamento dei servizi di interesse generale e così via. III. Conclusione e richiesta della petizione La proposta di direttiva è assolutamente inaccettabile. Una direttiva sui servizi nel mercato interno potrà essere concepita solo a tre condizioni: il suo campo di applicazione deve essere limitato e fare una distinzione tra i servizi di interesse generale e gli altri tipi di servizio 1. gli Stati devono essere in grado di regolare e controllare effettivamente le prestazioni di determinati servizi sul proprio territorio 2. deve imporre ai prestatori di servizio di essere soggetti alle regolamentazioni dello Stato in cui prestano effettivamente i propri servizi. Inoltre, una tale direttiva può essere concepita solo parallelamente all’adozione di una direttiva quadro sui servizi di interesse generale all’interno dell’Unione. Solo con queste garanzie minime, può essere creato un vero mercato interno di servizi nell’interesse dei cittadini. Facciamo appello alla mobilitazione elettronica per difendere gli interessi dei cittadini europei e belgi. Vi invitiamo a firmare la nostra petizione internazionale contro l’adozione del progetto di direttiva, chiamato “Bolkestein”. IV. Lettura degli articoli chiave della direttiva Articolo 2: la presente direttiva si applica ai servizi forniti dai prestatori stabiliti in uno Stato membro. Eccezioni: servizi finanziari, reti di comunicazione elettronica, servizi di trasporto qualora siano disciplinati da direttive specifiche e servizi prestati direttamente e gratuitamente dalle autorità pubbliche o che partecipano all’esercizio dell’autorità pubblica (servizio di interesse generale non economico). Articolo 4: un servizio è qualsiasi attività economica non salariata di cui all’articolo 50 del trattato che consiste nel fornire una prestazione dietro un corrispettivo economico. Articolo 6: gli Stati membri provvedono affinché un prestatore di servizi possa espletare presso un punto di contatto denominato “sportello pubblico” le procedure e le formalità necessarie per poter svolgere le attività di servizio e le domande di autorizzazione necessarie all’esercizio delle attività di servizio di sua competenza. Articolo 9: gli Stati membri possono subordinare l’accesso ad un’attività di servizio e il suo esercizio ad un regime di autorizzazione soltanto se sono soddisfatte le condizioni seguenti: il regime di autorizzazione non è discriminatorio, la necessità di un regime di autorizzazione è obbiettivamente giustificata da motivi imperativi di interesse generale, l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva. L’articolo 10 impone i criteri su cui deve basarsi il regime di autorizzazione nazionale. Sono stati aggiunti tre requisiti rispetto all’articolo 9: precisi e inequivocabili, oggettivi, resi pubblici in precedenza. L’articolo 11 stipula che l’autorizzazione non deve avere durata limitata, ad eccezione di tre casi: rinnovo automatico, numero di autorizzazioni limitato, motivo imperativo di interesse generale. L’articolo 14 enumera i requisiti vietati. L’articolo 15 enumera i requisiti da valutare. Gli Stati membri verificano se il loro ordinamento giuridico subordina l’accesso a un’attività di servizio o il suo esercizio al rispetto dei requisiti non discriminatori (restrizioni quantitative o territoriali, statuti giuridici particolari, detenzione del capitale, qualifiche professionali, numero di dipendenti, tariffe). Gi Stati membri inoltrano quindi un rapporto alla Commissione, che esaminerà la compatibilità delle disposizioni con il diritto comunitario e deciderà se vi sono le basi per sopprimerle. Articolo 16: gli Stati membri provvedono affinché i prestatori di servizio siano soggetti esclusivamente alle disposizioni nazionali dello Stato membro d’origine applicabili all’ambito regolamentato. Lo Stato membro d’origine è responsabile del controllo dell’attività del prestatore e dei servizi che questi fornisce, anche qualora il prestatore fornisca servizi in un altro Stato membro.

Gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolar modo imponendo i requisiti seguenti: l’obbligo per il prestatore di disporre sul loro territorio di un recapito, di un rappresentante, di un’infrastruttura o di un domicilio, l’obbligo per il prestatore di essere in possesso di un documento di identità specifico, i requisiti relativi all’uso di attrezzature.

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