(Riceviamo e volentieri pubblichiamo)
Sulla gestione dei rifiuti in Italia è ancora aperta la discussione su incenerire sì, incenerire no.
Per anni, e ancora adesso, la lobby dei costruttori e dei gestori ha indicato il resto dell’Europa, in particolare Germania e Danimarca, come esempio da seguire, perché l’incenerimento occupava una fetta notevole della modalità di smaltimento. Da un anno il governo italiano ha concesso il massimo dei contributi (certificati verdi) all’incenerimento con recupero energetico dei rifiuti considerandoli fonte energetica rinnovabile, in contrasto con le direttive europee che ammettono al massimo a tali contributi solo la parte biodegradabile.
Questo contributo, pari a circa? 40 per ogni tonnellata di rifiuto indifferenziato bruciato, trasforma la modalità più costosa di smaltimento in quella più remunerativa, e in particolare diventa concorrenziale alla raccolta differenziata e riciclaggio dei rifiuti, che le norme europee, quelle italiane, nonché i principi fondamentali di sostenibilità ambientale indicano come prioritaria rispetto all’incenerimento con recupero energetico.
In Europa, dopo anni di sostegno all’incenerimento, e un’attente verifica sui suoi effetti, si è scelto di cambiare direzione: i contributi sono stati diminuiti (in Inghilterra è meno della metà rispetto all’Italia) o, nella maggior parte dei casi, tolti; ma soprattutto nello stato preso per tanti anni come riferimento, la Danimarca, è stata introdotta una tassa sull’incenerimento, perequandolo sostanzialmente alla discarica.
Svezia, Olanda e Inghilterra stanno discutendo lo stesso provvedimento.
Quali le ragioni di questo ripensamento?
La prima motivazione è che si è constatato che l’incenerimento è un oggettivo ostacolo alla raccolta differenziata e al riciclaggio, pratica che anche sotto il profilo del bilancio energetico, oltre a quello ambientale, è vantaggiosa, perché il risparmio energetico dovuto al riciclaggio è maggiore dell’energia netta prodotta dall’incenerimento.
La seconda motivazione è che si è constatato che il rendimento degli inceneritori è scarso, per cui il generico incenerimento dei rifiuti non può considerarsi una forma di recupero, ma semplicemente una forma di smaltimento.
Infine vi sono motivazioni legate alla salvaguardia dell’ambiente e della salute dei cittadini.
Basta considerare alcuni dati:
a da uno studio in Germania, bruciando tutti i rifiuti di 1 milione di cittadini, si produce diossina quanto ne produce il traffico veicolare di 6 milioni, ma mentre non si può fare a meno della mobilità, e cambiare le modalità di trasporto richiede tempo, l’incenerimento ha da subito delle alternative;
b al primo inceneritore a cui sono state applicati rilevamento in continuo, sono stati riscontrati emissioni di diossine di oltre 80 volte superiori ai limiti, mentre prima ciò non era stato rilevato dalle analisi di routine,
c l’Organizzzione Mondiale della Sanità ha indicato in 280 picogrammi di diossina il quantitativo massimo assorbibile da una persona adulta: nelle migliori condizione di esercizio dell’ultima generazione di impianti, un inceneritore che brucia il rifiuto di 1 milione di abitanti produce circa 90 milioni di dosi all’anno, che si vanno a sommare a quelle rimaste degli anni precedenti perché la diossina ha un tempo di dimezzamenti di 5 anni.
Solo l’Italia va controtendenza, pensando all’incenerimento come panacea alla gestione dei rifiuti e alla produzione di energia.
Natale Belosi
Responsabile settore rifiuti Sinistra Ecologista
www.sinistraecologista.it