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Le donne maquila
Ovvero del prezioso contributo neoliberista all'emancipazione femminile in El Salvador...
 

di SIMONA BARUZZO

    "Maquila" non e' il nome di un'ennesima etnia maya. Le "maquilas" sono le "zone franche" in Centro America, tanto preziose per il "libero" commercio, dove Nike, Adidas e molte altre multinazionali hanno stabilito buona parte della loro produzione nel settore tessile. Nelle maquilas lavorano quasi esclusivamente donne. Donne-maquila. Una stanza tutta per se' forse non ce l'hanno. Ma l'indipendenza economica si'. E' pur sempre questione di cio' che si pretende dalla definizione di "indipendenza". Fagioli e mais quotidiani, istruzione elementare, forse l'accesso a unita' sanitarie quasi funzionanti per se' e almeno uno dei propri figli. Non due, due non rientrano in questa definizione di indipendenza. Adidas e Nike sono solo due delle tante multinazionali che offrono questa indipendenza. In cambio godono dei paradisi fiscali che le maquilas costituiscono. Cosi' si parla di "industria maquila". I profitti delle maquilas non si traducono sostanzialmente mai in progresso per lo stato sociale dei paesi che geograficamente le ospitano. 

   Alcuni dati sulle maquilas in El Salvador. In alcuni casi, come in El Salvador (il paese centramericano che in questo articolo si esamina piu' da vicino), tutti i mezzi di produzione sono importati, come anche le materie prime, mentre i prodotti sono destinati alla  esportazione negli Stati Uniti, con pochissime eccezioni. Le fabbriche di per se' sono proprietarie delle macchine (importate) e dei locali. In piu' amministrano il personale. Ma il potere decisionale sulla produzione e' delle multinazionali che usano le fabbriche situate sulle maquilas. L'industria tessile gestita in una sorta di stile "maquila" venne introdotta negli USA con piccoli "sweatshop" alla fine del secolo scorso. I padroni dei "sweatshop" minimizzavano i salari per massimizzare i profitti. Noto assioma del "libero" mercato. Non esisteva allora come non esiste oggi alternativa per la sopravvivenza: il prodotto del lavoro in quel tipo di industria tessile e' costantemente sottoposto a una concorrenza durissima. Chiaro che gli sweatshop con manodopera statunitense non riuscirono a sopravvivere alla stagnazione economica degli anni '70. Le grandi industrie tessili di origine statunitense iniziarono a cercare nuove strade per incrementare i profitti. Nuove strade che ne portarono molte diritte a diverse zone "maquila" dell'Asia dove la manodopera era ed e' nettamente piu' economica. Si comincio' a parlare in modo sempre piu' estensivo di ripartizione internazionale del lavoro e decentralizzazione.

   All'alba degli anni '90 si presento' tuttavia un problema non indifferente rispetto alle fabbriche in maquilas asiatiche: le quote d'importazione negli Stati Uniti ponevano un chiaro limite alla produzione. Cosi' inizio' a crescere l'interesse per l'America Centrale e i Caraibi: regioni molto piu' vicine geograficamente, il che non e' un particolare trascurabile quando la moda nel campo dell'abbigliamento  cambia cosi' rapidamente. La produttivita', i costi e la qualita' del lavoro non sono propriamente competitivi con quelli in Asia, ma questi svantaggi sono compensati ampiamente dai rapidi tempi di trasporto e consegna. Nei primi anni '90 El Salvador era governato dal partito di destra ARENA, il quale stava elaborando soluzioni per la crisi economica nel paese in piena fase post-bellica. Le proposte della grande industria tessile in cerca di nuova forza lavoro in Centro America non potevano suonare piu' allettanti. Una delle soluzioni della crisi, in pieno "stile ARENA", divenne l'istituzione di zone franche, esenti o quasi da tasse e imposte, create apposta per soddisfare le esigenze delle multinazionali del settore tessile.

   USAID ("The US Agency for International Development", un nome che a molti arriva diritto al cuore) esorto' il governo in El Salvador ad investire nell'industria maquila. USAID desiderava dare cosi' il suo contributo alla riattivazione della debole economia da dopoguerra. Ma nel 1996 gli USA (anche questo un nome dal simbolismo non indifferente, almeno nella nostra lingua: non capisco perche' li si chiamino Stati Uniti) decretarono la fine del sostegno diretto all'industria maquila, come conseguenza della pressione fatta da diversi sindacati americani che desideravano proteggere l'industria dell'abbigliamento nazionale. Prima del "boom maquila" (che ebbe luogo attorno al 1992), l'industria aveva in tutto El Salvador solo 5000 dipendenti. Oggi (1999) ci sono circa 79000 lavoratori industriali, cioe' piu' del 10% di tutta la popolazione in eta' lavorativa, in primo luogo come conseguenza dell'esistenza delle maquilas. L'80% delle fabbriche sono situate all'interno dei confini della capitale El Salvador. E' chiaro che il fenomeno e' prettamente urbano.
Per essere piu' corretti conviene sottolineare che la realta' maquila in El Salvador si e' sviluppata in due tipi di zone: le "zone franche" cioe' non soggette a tassazione e le zone a tassazione limitata dette "recintos fiscales". Entrambi questi tipi si identificano con zone geografiche precise dove si sono stabilite sia ditte nazionali che straniere. Le ditte localizzate sulle maquilas non pagano ne' tasse sulla proprieta', ne' sull'importazione e esportazione, cosicche' i proprietari sono liberi di trasferire e reinvestire i profitti fuori dello stato salvadoreno. L'unica differenza tra le zone franche e i recintos fiscales e' che questi ultimi hanno un divieto totale di vendita dei loro prodotti all'interno de El Salvador. Le zone franche hanno invece un accesso al mercato salvadoreno sotto forti restrizioni. Ci sono (nel 1999) solo 43 fabbriche nelle zone franche e di queste solo un terzo e' di proprieta' di salvadoreni. Pero' avendo circa 587 lavoratori ciascuna queste fabbriche impiegano di fatto il doppio di quelle sulle zone a tassazione limitata. Su queste ultime si trovano 186 fabbriche-maquila, di cui il 77% e' in mani salvadorene. 

   Donne maquila, conflitti maquila. Il 90% della forza lavoro nelle maquilas e' di sesso femminile. Per queste "donne-maquila" il lavoro significa un maggior grado di disponibilita' economica e di indipendenza. Un tentativo irrinunciabile per la strada verso l'emancipazione. L'organizzazione femminile MAM, che si occupa dei diritti umani delle "donne-maquila", sottolinea che il lavoro salariato e' importante per acquistare maggiori autostima e rispetto. Il lavoro permette l'accesso ad un certo limitato benessere sociale, tra cui il diritto all'assistenza sanitaria presso cliniche ospedaliere pubbliche. Le donne-maquila non si sentono costrette ad emigrare, come molte altre loro compagne di vita. Ma lo sviluppo del settore maquila non e' stato un processo senza problemi. Questa branca e' stata al centro di alcuni degli scontri piu' violenti sul fronte del lavoro e impiego in El Salvador dal 1992. I padroni delle fabbriche sono stati accusati dell'esistenza di troppi operai e impiegati sottopagati e della costrizione a lavoro straordinario non retribuito. In piu' le giornate lavorative vanno dalle 8 alle 10 ore, e sono continuamente riportate violazioni della legge sull'ambiente di lavoro. Nel 1997 il Ministero del Lavoro ha inoltrato 875 accuse di violazione dei diritti dei lavoratori in piu' di due terzi delle fabbriche maquila del paese. Una legge del 1996 da' al governo la possibilita' di tagliare i vantaggi fiscali alle maquilas nel caso in cui esse violino la legge. Questa legge non e' mai stata chiamata in causa e per questo si accusa il governo di voler proteggere e favorire l'industria maquila piu' delle sue lavoratrici. Minacce e attacchi fisici e psicologici si verificano regolarmente nelle fabbriche maquila, cosi' come licenziamenti arbitrari di donne in gravidanza e restrizioni nell'accesso ai servizi igienici.

   Le maquilas non offrono alcun centro di aggregazione per le operaie. La costituzione di gruppi che rivendichino diritti sul posto di lavoro e' proibita. Nel 1995 solo l'1,25% delle lavoratrici era organizzato. I sindacati hanno provato, in alcuni casi particolari,  a mobilitarsi nelle maquilas, ma molti di questi tentativi sono finiti con licenziamenti e rappresaglie, nonche' la perdita di membri per i sindacati.
Va da se' che le donne-maquila non hanno il diritto di scioperare. A loro viene assicurato solo un salario minimo che nel 1999 ammontava a 1260 Colones (circa 240000 lire). Lo stipendio mensile medio e' di 1922 Colones. Ma un nucleo famigliare di 5 membri che viva in una zona urbana necessita circa 5000 Colones al mese per coprire i bisogni di base. 

   Il settore maquila in El Salvador richiede solo una minima specializzazione se non semplicemente manodopera totalmente non specializzata. Questo implica che le donne vengono private di ogni possibilita' di sviluppo personale e ulteriore educazione. Si impiegano soprattutto ragazze, quando queste sono in una fase di vita che sarebbe ideale per progredire nella propria educazione. Le operaie vengono purtroppo considerate come meno produttive dopo alcuni anni di lavoro. E' dopo alcuni anni che il rischio di essere licanziate aumenta notevolmente ed allora non si ha niente su cui fare affidamento, non avendo avuto la possibilita' di un'educazione media o superiore. Le maquilas non offrono alcuna forma di sicurezza o stabilita' per le proprie lavoratrici. Non esistono regole che definiscano ragioni legittime per i licenziamenti, e il lavoro si perde facilmente a causa di comportamenti poco graditi ai capi o a causa produttivita' diminuita o definita troppo bassa. In particolare in El Salvador.

   In Costa Rica quasi il 90% dell'industria maquila e' basata sulla tecnologia, il che rende necessaria un'educazione speciale per gli impiegati. Questo porta a positivi effetti a catena per altri settori importanti per l'economia del paese, come per esempio l'industria informatica. L'industria tessile in El Salvador e' invece basata sul lavoro intensivo e non stimola a nessun miglioramento o sviluppo della manodopera locale. Di solito quando ci si riferisce ai guadagni nel settore maquila, si intendono i guadagni brutti (lordi), senza considerare le spese per l'importazione di mezzi indispensabili alla produzione. Siccome l'industria maquila importa sostanzialmente tutti i mezzi di produzione, essa offre ben pochi risvolti positivi per altri tipi di industria esistente sul territorio locale. I guadagni netti si aggirano solo sul 5,5% (l'87% dei costi del prodotto finito sono per l'importazione dei mezzi di produzione). Il 45% di tutti i guadagni derivanti dall'esportazione in El Salvador derivano dall'industra maquila.

   L'economista Salvador Aries, che lavora per FUNDESCA,  sottolinea che siccome l'industria maquila non paga tasse ne' sull'importazione, ne' sull'esportazione, ne' sulla proprieta', lo stato guadagna pressoche' nulla dalle maquilas. Lo stato guadagna anche molto poco dalla tassazione sui patrimoni dei padroni delle fabbriche, visto che essa e' bassissima in El Salvador. La piu' cospicua fonte di guadagni dal settore maquila per lo stato e' la tassazione sui salari dei lavoratori e dei padroni. Ma il livello di tassazione piu' alto concesso in El Salvador e' tuttavia 25%. Allo stato salvadoreno arriva percio' ben poco anche dopo che i padroni hanno pagato le loro tasse. Aries afferma senza ombra di dubbio che le maquilas non offrono al paese alcun futuro e alcun miglioramento della situazione attuale.

   Maquila come parte di un mercato mondiale. In un sistema di commercio internazionale le fabbriche maquila devono mantenere i costi di produzione bassi per poter stipulare contratti con le multinazionali. I contratti e gli accordi di mercato internazionali sono il fondamento dell'industria maquila. Se le congiunture internazionali non sono piu' favorevoli o le multinazionali trovano aree a manodopera ancor piu' economica, con migliori infrastrutture o con assetti piu' stabili, le fabbriche maquilas rischiano il collasso. Grazie al sistema dei subcontractors, le multinazionali prendono distanza dai rischi associati agli oneri della produzione. Esse possono legalmente allontanarsi dalla responsbilita' per violazioni della legge sul lavoro o dei diritti umani, pur essendo perfettamente a conoscenza del fatto che il prezzo pagato per prodotto finito e' cosi' basso che sono assolutamente necessari sia salari minimi che lo sfruttamento della manodopera.

   L'industria internazionale dell'abbigliamento, che quasi nella sua interezza e' strutturata in sistemi sul "modello maquila", puo' essere visualizzata come una piramide economica, dove la base e' costituita dalle migliaia di operaie nelle fabbriche. Sul livello successivo si trovano le maquilas e su quello ancora successivo si trovano le multinazionali che posseggono il brevetto del marchio. Al culmine della piramide c'e' la rete di distribuzione dei negozi e punti vendita. Le donne-maquila non traggono pressoche' alcun beneficio dai profitti. Alle maquilas va il 14% dei profitti totali, alle multinazionali il 30% e quasi il 60% va alla rete dei punti vendita. Si direbbe che i consumatori abbiano un potere enorme, e in realta' e' cosi', ma come riconoscere una maglietta-maquila? E una volta riconosciuta, che fare?
Che cosa e chi puo' migliorare la situazione nelle maquilas?

   Affinche' le operaie divengano piu' consapevoli dei loro diritti e delle dichiarazioni contenute nella legge sul lavoro, l'organizzazione femminile MAM si dedica a un capillare lavoro d'informazione. La conoscenza delle leggi e dei propri diritti sono la chiave per il cambiamento, secondo MAM. Per presentarsi con piu' forza e autorita', MAM desidera poter trattare direttamente con i padroni, e costituire una rete di donne-maquila che comprenda piu' fabbriche. I sindacati esistenti piu' auteroveli non lavorano in modo particolare col problema delle maquilas. MAM li accusa di non avere un'adeguata comprensione della realta' di vita delle donne-maquila e di provocare conflitti (che finiscono in rappresaglie e licenziamenti) piu' che soluzioni.
Un' alternativa alle azioni sindacali tradizionali, vista positivamente da MAM, e' l'inserimento in fabbrica di osservatori indipendenti ("monitoreo independiente" ) che garantiscano il rispetto dei diritti internazionali dei lavoratori, delle leggi nazionali e dei criteri di comportamento ("Codigos de conducta") propri di ciascuna fabbrica.
L' esperienza positiva della maquila Mandarin, che ha da un po' di tempo adottato il sistema del "monitoreo independiente", conferma l'esistenza di metodi pratici e validi per migliorare l'ambiente di lavoro.

   L'esempio della maquila Mandarin: "Codigos de conducta" e "Monitoreo independiente". I conflitti tra i lavoratori e la leadership nella maquila Mandarin iniziarono nel 1995 quando, tra le altre cose, le donne furono sottoposte a restrizioni nell'accesso ai servizi igienici, costrette a lavorare fuori orario senza retribuzione, e a subire il divieto di organizzarsi in sindacati. Dopo scioperi e proteste quasi tutte le lavoratrici furono licenziate e il conflitto ottenne l'attenzione dei massmedia nazionali e internazionali. Organizzazioni e sindacati si impegnarono e per la prima volta una societa' multinazionale fu manifestamente accusata della responsabilita' per le condizioni di lavoro presso una delle sue fabbriche fornitrici subappaltate.
Il caso fini' con Mandarin costretta a ridare lavoro alle lavoratrici licenziate, ad introdurre criteri di comportamento ("Codigos de conducta", adesso presenti anche in altre maquilas) e osservatori indipendenti col compito di garantire i diritti dei lavoratori ("monitoreo independiente"). Al posto di osservatori "nazionali indipendenti", alcune multinazionali desidererebbero avvalersi esclusivamente di osservatori "internazionali dipendenti". NIKE, Liz Claiborne e Adidas hanno firmato contratti con societa' come Verite, Pricewaterhouse Coopers e Ernest & Young perche' queste forniscano osservatori ("internazionali dipendenti") che monitorino le condizioni di lavoro nelle fabbriche-maquila subappaltate. Ma questi osservatori "internazionali dipendenti" sono stranieri con una povera conoscenza delle leggi e tradizioni locali, in piu' sono chiaramente dubbie la loro neutralita' e oggettivita'. Gli inviati di Verite' etc. non sono riusciti a raggiungere un livello di dialogo soddisfacente con le lavoratrici e le possibilita' di verificare efficacemente il rispetto dei codici del diritto internazionale del lavoro nelle fabbriche-maquila sono state molto limitate. Si rischia che la presenza di osservatori ingaggiati dalle stesse multinazionali diventi un bene per la loro immagine il cui prezzo e' fissato dal mercato.  L'economista Aries recentemente ha espresso timori rispetto al fatto che solo le maquilas migliori vengano scelte come zone di osservazione e controllo.
Aries critica anche che la maggior parte del dibattito abbia avuto luogo in USA, e sottolinea che le organizzazioni in Centro America mancano di una strategia per lo sviluppo del servizio di monitoraggio. C'e' poco da dubitare sul fatto che oggi le organizzazioni, gruppi e associazioni salvadorene non siano in grado di offrire osservatori indipendenti che diano garanzie di oggettivita'. Inoltre non e' certo che tutte le maquilas vogliano accettare l'inserimento di un tale sistema. Le fabbriche-maquila hanno porte di norma serrate per i non dipendenti o chi non gode di  permessi speciali. Il servizio di vigilanza e' estremamente rigido. Per questo MAM vorrebbe tentare un' altra soluzione, peraltro parecchio discutibile, alternativa a quella di osservatori esterni. Si tratta di un modello di monitoraggio basato sull'introduzione di "spie". Le spie sarebbero donne dipendenti delle maquilas, che in piu' avrebbero il compito di rivelare e denunciare, in qualita' di testimoni diretti, attacchi e minacce contro le operaie. 

   Boicottaggio? Per il momento sindacati statunitensi e salvadoreni stanno preparando sia azioni di boicottaggio dei prodotti provenienti dalle maquilas salvadorene, sia accuse allo stato salvadoreno per la violazione della legislazione internazionale sul lavoro. Ma il boicottaggio come forma di reazione non e' un buon metodo, dicono MAM e i partiti politici PD, ARENA, FMLN e PDC. Un'azione che dia come risultato la perdita di posti di lavoro e l'allontanamento dell'industria non migliorerebbe le condizioni di vita delle donne-maquila. Cio' che limita i guadagni che lo stato salvadoreno puo' trarre dall'industria maquila è l' importazione totale dei mezzi di produzione, cosa che certamente non stimola lo sviluppo dell'industria nazionale. MAM considera positivamente una legge che dica che per es. il 60% dei mezzi di produzione debbano essere prodotti in El Salvador, e che percio' una quota equivalente si possa vendere all'interno dei confini salvadoreni. L'economista Aries sostiene l'argomentazione sull'importanza dell'introduzione dell'uso di mezzi di produzione acquistati dall'industria nazionale, ma e' contro l'idea che l'industria maquila ottenga il permesso di vendere i suoi prodotti in El Salvador. Aries sottolinea che la piccola e media industria del paese cadrebbe vittima della concorrenza con i prodotti provenienti dalle maquilas, e che questa concorrenza potrebbe addirittura segnare la fine della piccola industria.

   Proposte. E' importante che l'industria-maquila reinvesta una parte piu' grande dei suoi profitti a favore delle sue dipendenti e del paese che la ospita geograficamente, dicono piu' voci. Una piu' grande quota dei mezzi di produzione dovrebbe essere prodotta dall'industria nazionale salvadorena. I partiti dell'opposizione e illustri economisti sono anche nettamente a favore di una strategia che favorisca un tipo di industria tecnicamente piu' avanzata rispetto a un'industria basata sul lavoro intensivo, cosi' da creare posti di lavoro piu' specializzati e qualificati nonche' ripercussioni positive per altri settori contribuenti allo sviluppo economico del paese.
Noi in qualita' di consumatori, dall'alto della punta della piramida economica alla cui base stanno le donne-maquila, possiamo fare pressione sulle multinazionali come Nike e Adidas perche' si assumano le proprie responsabilita' riguardo alle violazioni della legge sul lavoro e soprattutto dei diritti umani che accadono presso le fabbriche che esse subappaltano per la produzione. 
  Ma questo non deve accadere, se possibile, con campagne di boicottaggio, dicono le donne di MAM. Le stesse donne di MAM e altre fra diverse organizzazioni, associazioni e partiti in El Salvador ci esortano a stimolare i governi dei nostri rispettivi paesi ad includere all'ordine del giorno la complicata questione delle maquilas. 
   Come? Ogni proposta e' la benvenuta. Le donne-maquila chiedono aiuto.


o Parola chiave consapevolezza.
Nella dettagliata inchiesta di Simona Baruzzo sulle maquilas, la forma-fabbrica  oggi più in uso nel secolare conflitto capitale-lavoro, si chiede consapevolezza da parte delle donne lavoratrici per
i loro diritti e consapevolezza 
da parte di noi consumatori sui nostri doveri. Innazitutto sul dovere di guardare, al di là dei prodotti, i processi produttivi. 
Magari incominciando da quello che succede in El Salvador.

Simona Baruzzo, torinese,
vive ad Oslo

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sul commercio
equo e solidale
nel sito di
Ctm-Altromercato
 
 
 
 
 
 

 

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